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Pro memoria per il Prof. Draghi. L’Italia ha bisogno di un “Ministero del mare”

di Salvatore Sfrecola

In vista della formazione del nuovo governo, per il quale si suggeriscono, da parte di alcune forze politiche, modifiche all’impianto delle amministrazioni pubbliche, con attenzione speciale all’ambiente, vorrei ricordare una iniziativa antica ed una più recente che con l’ambiente hanno a che fare, con grandi prospettive di carattere economico ed occupazionale. Mi riferisco ad una iniziativa assunta nei primi anni ’90 dall’allora Ministro della Marina mercantile, Giovanni Prandini, senatore democristiano di Brescia, il quale aveva avviato, con la collaborazione dei suoi uffici e dei suoi consiglieri, una iniziativa alla quale credeva molto, l’istituzione del “Ministero del mare”, che riteneva necessario in un Paese che ha circa ottomila chilometri di coste, che, dunque, vive sul mare, che significa relazioni interne e internazionali attraverso i porti, l’industria cantieristica, della pesca e del turismo. Lo ha spiegato bene Limes, la rivista di geopolitica orgogliosamente “italiana”, che ha titolato un recente fascicolo “L’Italia è il mare”, un è accentato a rimarcare la stretta connessione tra territorio e mare.

Di recente, ma recuperando una sua precedente intuizione, anche il senatore Adolfo Urso, parlamentare di Fratelli d’Italia, si è fatto promotore di un disegno di legge (Atti Senato, n. 917) che istituisce il “Ministero del mare”. Il Sen. Urso è sulla stessa linea del ministro Prandini e ripercorre, nella relazione che accompagna il disegno di legge, i temi dell’economia del mare nei vari settori, che vanno dalla filiera ittica (che comprende le attività connesse con la pesca, la lavorazione del pesce la preparazione di piatti a base di pesce), a quella della cantieristica (attività di costruzione di imbarcazioni da diporto e sportive, cantieri navali, fabbricazione di strumenti per navigazione, installazione di macchine e apparecchiature industriali connesse); dall’industria delle estrazioni marine (sale, petrolio, gas naturale) alla movimentazione di merci e passeggeri (attività di trasporto via acqua di merci e persone, sia marittimo che costiero, connesse attività di assicurazione di intermediazione degli stessi trasporti e servizi logistici) ai servizi di alloggio e ristorazione alle attività sportive ricreative (tour operator, guide e accompagnatori turistici, parchi tematici, stabilimenti balneari e altri ambiti legati all’ intrattenimento e divertimento, discoteche, sale da ballo, sale giochi eccetera) ma anche le attività legate all’istruzione (scuole nautiche). Senza dimenticare, poi, il settore della ricerca e della tutela ambientale che include le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie marine e delle scienze naturali legate al mare più in generale, assieme alle attività di regolamentazione per la tutela ambientale e nel campo dei trasporti e delle comunicazioni.

Dell’importanza strategica, politica ed economica del mare fu strenuo promotore il più grande statista italiano, anzi europeo secondo Clemente Lotario di Metternich, Camillo Benso di Cavour che scrisse dell’Italia: “la sua posizione al centro del Mediterraneo, o, come un immenso promontorio, sembra destinata a collegare l’Europa all’Africa, la trasformerà incontestabilmente, quando il vapore la attraverserà in tutta la sua lunghezza, il cammino più breve più comodo dall’Oriente all’Occidente. Non appena ci si potrà imbarcare a Taranto o a Brindisi, la distanza marittima che ora bisogna percorrere per recarsi dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania in Africa o in Asia, sarà abbreviata della metà. È dunque fuor di dubbio che le grandi linee italiane serviranno allora a trasportare la maggior parte dei viaggiatori e alcune merci più preziose che circoleranno in queste vaste contrade. Italia fornirà anche il mezzo più veloce per recarsi dall’Inghilterra all’India e in Cina; cosa che rappresenterà ancora una fonte abbondante di nuovi profitti”. Straordinario questo statista che scriveva nel 1846!

Prandini non riuscì ad istituire il ministero, per le consuete resistenze burocratiche e le gelosie dei colleghi di governo. Tuttavia, operando con uno strumento amministrativo, un decreto interministeriale, d’intesa con il Ministro della difesa, diede vita all’istituzione della “Guardia Costiera”, con funzioni di polizia marittima e di controllo del mare. D’intesa con il Ministro dei beni culturali, poi, fu assicurata una collaborazione a fini di tutela del patrimonio storico artistico sommerso, uno straordinario “museo subacqueo” di enormi proporzioni e che continuamente rivela sempre nuovi segreti. Prandini usò la legge sulla difesa del mare, che dotava il ministero di importanti risorse, e mise in piedi un ingente piano di ristrutturazione e potenziamento delle caserme delle Capitanerie di Porto, uno dei Corpi nei quali si articola la Marina Militare Italiana, alle dipendenze organiche del Ministero della difesa e funzionalmente del Ministero della Marina Mercantile, oggi delle infrastrutture e dei trasporti.

La “Guardia Costiera” è cresciuta costantemente nell’apprezzamento degli utenti del mare ed ha assunto un ruolo importante nella difesa delle coste e nel controllo del rispetto delle condizioni di sicurezza delle barche di varie dimensioni ai quali gli italiani, e quanti navigano nelle nostre acque, devono prestare attenzione.

Tornando al disegno di legge del Senatore Urso la relazione illustrativa sottolinea come “i settori in cui è più forte allargamento della base imprenditoriale, in termini percentuali, sono le attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale (più 34,6%) e i servizi di alloggio e ristorazione (più 23%) mentre tra le diverse ripartizioni territoriali l’incremento maggiore del numero delle imprese della blue economy si riscontra nel Mezzogiorno e nel Centro Italia che rappresentano, appunto, le due macro-ripartizioni a più alta concentrazione delle imprese di blue economy, con un’incidenza del 4,1% del 4,2% sui rispettivi totali imprenditoriali”. Parliamo, dunque, di una forza imprenditoriale che rappresenta un rilevante motore per la produzione economica, il cui valore aggiunto è arrivato nel 2017 (il disegno di legge è stato presentato nel 2018), a 45 miliardi di euro pari al 2,9% del totale dell’economia, con un aumento di circa 5,9%, raddoppiando la variazione del resto dell’economia.

Quanto alla forza lavoro gli occupati sono 880.000, pari al 3,5% dell’occupazione complessiva nazionale, con un incremento percentuale del 4%, a fronte di una crescita di solo 1% del resto dell’economia. “Imprenditorialità, produzione e occupazione – spiega Urso – a cui va ad aggiungersi la competitività in campo internazionale, perché l’export della cantieristica e quello del settore ittico, nel suo insieme, ha toccato nel 2017 quota 5,1 miliardi di euro”.

È proprio vero che “il futuro dell’Italia è nel mare. Una sfida, una opportunità, forse anche una missione”, conclude la relazione Urso, assai più – aggiungiamo noi – della “vocazione” mitteleuropea di alcune aree del Nord.

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