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Sul controllo dei fondi del Recovery Draghi guardi a Cavour, non a Conte

di Salvatore Sfrecola

Il richiamo fatto da Mario Draghi a Cavour dinanzi alle Camere, in occasione della presentazione del programma dell’Esecutivo, hanno convinto molti delle capacità di governo del nuovo Presidente del Consiglio. Ed oggi si augurano non sia stata un’illusione. La politica dello statista piemontese, con una straordinaria capacità di guardare all’Italia intera, di immaginare e realizzare le grandi riforme che, in pochi anni, hanno trasformato il Regno di Sardegna facendone il motore del Risorgimento nazionale e dello sviluppo dell’industria e dei commerci, sono un esempio permanente di attitudine a governare. Iniziando, in contemporanea ad un grande piano di infrastrutture ferroviarie, stradali, portuali, con una profonda riforma della Pubblica Amministrazione, nel senso di riordinare i ministeri e semplificare le procedure per fare presto e bene. Nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità e della legge, perché il denaro pubblico fosse speso per finalità coerenti al sacrificio richiesto ai cittadini con imposte e tasse. Per questo il Conte di Cavour, nella sessione straordinaria del Parlamento subalpino del dicembre 1852, insieme ai ministeri trasforma la Camera dei conti in Corte dei conti, perché controllasse, in un assetto di assoluta indipendenza, l’azione dei pubblici amministratori e funzionari.

Che Draghi abbia dimenticato quell’insegnamento? Che il richiamo a Cavour sia stato solo di facciata? Il dubbio è legittimo perché nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), occupandosi di semplificazioni, attese da anni, propone di confermare e prorogare al 2026 la norma del Conte 2 che ha escluso la responsabilità amministrativa per danno all’Erario a seguito di condotte illecite caratterizzate da “colpa grave”, cioè da macroscopica violazione degli interessi pubblici. In tempi nei quali i mezzi di informazione ci hanno detto di banchi con le rotelle acquistati e non utilizzati, di mascherine pagate più del dovuto, di sprechi di ogni genere, come accade spesso negli stati di emergenza, deresponsabilizzare i pubblici funzionari è un delitto contro i cittadini. Si dice che così si esorcizza il timore della firma. Non è vero. A temere di essere chiamati a rispondere delle malefatte sono gli incapaci ed i disonesti. Che non vanno certamente protetti.

Infatti “la deresponsabilizzazione della PA – ha fatto notare in un comunicato l’Associazione Magistrati della Corte dei conti – è un costo per i contribuenti”. È “una misura rozza (non si risolve il problema del traffico eliminando i vigili) ed errata” che “contrasta sia con la Costituzione che con il Regolamento europeo in tema di ripresa e resilienza, che impone un rafforzamento del controllo giurisdizionale sulla gestione dei fondi da erogare”. La misura che Draghi ha ereditato dal Conte 2 e che vorrebbe mantenere, si chiedono i giudici contabili, “pone a carico dei cittadini gli sprechi della deresponsabilizzazione, può essere definita positiva, rapida ed efficiente?”

Per combattere la “paura della firma”, come ha spiegato Luigi Caso, Presidente dell’Associazione, “occorre piuttosto affrontarne la causa principale, costituita dalla sempre crescente complessità del quadro normativo”. Aggiungendo che “la Corte dei conti può essere una risorsa per contribuire a sciogliere dubbi interpretativi e favorire la migliore e più efficace gestione delle risorse”.

Nasce male, dunque, il piano al quale gli italiani sono stati abituati a pensare come al principale strumento per uscire dalla grave crisi che ha accompagnato la diffusione del Covid -19, non solamente perché è, all’evidenza, assolutamente insufficiente rispetto alle aspettative di un Paese che, per tornare a crescere, ha estremo, urgente bisogno di grandi infrastrutture ferroviarie e portuali, oltre che di interventi manutentivi della rete stradale, autostradale ed acquedottistica, in un contesto nel quale l’acqua è tanta ma non si è capaci di raccoglierla e distribuirla. E l’acqua è espressione massima della civiltà, come insegnano gli acquedotti romani che quella illustre esperienza di governo dei popoli ricordano in Europa e nell’intero bacino del Mediterraneo.

Senza adeguati controlli e senza l’azione vigile dei giudici contabili l’Italia degli sprechi avrà via libera e Draghi corre il rischio di essere ricordato come colui che ha citato Camillo di Cavour senza seguirne l’esempio.

(da La Verità, 27 aprile, pagina 13)

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