di Salvatore Sfrecola
L’immagine dell’incontro tra il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sullo sfondo del Villino Algardi e del suo splendido giardino, sede di rappresentanza del Governo italiano, all’interno di Villa Dora Panphilj (184 ettari), riporta immediatamente il ricordo ai tanti episodi che la storia della “diplomazia dell’accoglienza” ci ha tramandato nel corso dei secoli, quando papi, sovrani e principi ospitavano i loro pari nelle meravigliose dimore fuori città delle quali è ricco questo nostro Paese, un’abitudine che forse a Palazzo Chigi dovrebbero pensare di recuperare.
Il Villino Algardi è un pezzo di cultura e storia romana. I lavori iniziarono qualche anno dopo l’acquisto, nel 1630, da parte di Panfilo Panphilj, di un appezzamento agricolo fuori delle mura gianicolensi, immaginato come una nuova residenza di campagna. Fu Papa Innocenzo X (Giovanni Battista Panphilj) a far edificare negli anni successivi quello che sarà definito il “Casino del Bel Respiro”. Del progetto furono incaricati lo scultore Alessandro Algardi e il pittore Giovanni Francesco Grimaldi, con la collaborazione del botanico Tobia Aldini, che si incaricherà del giardino e del parco. Il risultato è la splendida costruzione che abbiamo visto nelle immagini televisive, in un contesto ambientale straordinario.
Ecco dunque che tra affreschi, statue, stemmi gentilizi, queste dimore fuori città, sempre arredate e ornate dai maggiori artisti dell’epoca, hanno accolto nel corso dei secoli personalità eminenti provenienti da ogni angolo d’Europa che i padroni di casa volevano stupire con la magnificenza dell’arte in un ambiente naturale sempre straordinario per predisporle ad una condivisione di iniziative politiche nell’ambito di relazioni internazionali sempre complesse.
È quel che facevano, ad esempio, i Savoia con la Casina di caccia di Stupinigi, splendidamente arredata ma soprattutto invasa dalla luce, come solo un architetto siciliano, naturalmente amante del sole, Filippo Juvarra, poteva immaginare attraverso le grandi vetrate che fanno risplendere arazzi, affreschi e il ricco mobilio. Palazzina di caccia, allora lo sport preferito dalle classi elevate, con l’annesso parco naturale, lì i duchi di Savoia e poi i Re di Sardegna ospitavano sovrani e principi europei con i quali desideravano intrattenere relazioni amichevoli e favorire alleanze utili agli obiettivi politici della Casata che gestiva un territorio a cavallo delle Alpi, al confine tra potenze desiderose di espandersi. Da sempre un ruolo difficile, quello degli stati cuscinetto, che riuscivano a rimanere autonomi ed a mantenere una certa indipendenza con iniziative politiche spesso spregiudicate, non di rado caratterizzate da repentini cambi di fronte nelle alleanze militari o commerciali.
Una politica di relazioni internazionali che il governo italiano, oggi guidato da una personalità di elevata esperienza nelle più significative assise europee e mondiali, dovrebbe riprendere su vasta scala. È certamente un impegno notevole, ma ritengo che ritagliarsi una o due fine settimana al mese ospitando qualche personalità straniera, con la quale si desidera stringere o migliorare relazioni politiche od economiche, potrebbe essere estremamente utile. Ovunque nel nostro Paese sono immobili storici splendidi in ambienti naturali di grande attrattiva, al mare e in campagna, in riva a un lago, in prossimità di una area archeologica, tutte location, come oggi si dice, capaci di stupire. In tale contesto l’accoglienza favorisce rapporti che le fredde carte diplomatiche spesso non riescono a realizzare. È certo che i rapporti personali tra le autorità coinvolte diventerebbero più stretti. E ne risulterebbe avvantaggiato anche il nostro turismo, perché l’immagine dei luoghi dell’incontro, trasmessa dalle televisioni del paese dell’ospite, capo di Stato, primo ministro, ministro degli Esteri, o altro di interesse, indubbiamente porterebbe lustro all’Italia del turismo ambientale, ma soprattutto artistico.