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24 maggio 1915 – 24 maggio 2021: il ricordo e la speranza

di Salvatore Sfrecola

Questa mattina ho postato su Facebook un ricordo del 24 maggio 1915, quando l’esercito dei nostri nonni e bisnonni “marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera”, come racconta la Leggenda (o Canzone) del Piave. Non pensavo che questo mio ricordo avesse un particolare riscontro. Invece, al di là del numero di quanti hanno messo like, mi ha colpito il commento di molti che hanno voluto dire dei loro nonni impegnati in quella che, per coloro che credono nella Patria unita, ha significato la conclusione di uno straordinario momento storico, di quel “miracolo del Risorgimento”, come lo ha definito Domenico Fisichella in ragione della convergenza di persone di pensiero e di azione di ogni idea politica, repubblicani e monarchici, di destra e di sinistra, provenienti da ogni angolo della nostra terra, desiderosi di fare l’Italia una, come da secoli auspicavano gli uomini di cultura ed i politici più accorti.

In particolare, mi ha colpito nella partecipazione di molti, uomini e donne, giovani e meno giovani, il ricordo affettuoso dei loro nonni e della consapevolezza che per loro è stato un momento esaltante, di condivisione, diffuso non solamente nelle classi borghesi, che bisognasse completare, con l’annessione di Trento e Trieste, l’unità d’Italia, la quale con questa prova, difficile e dolorosa, sarebbe dovuta diventare quel “grande Stato” che Camillo di Cavour aveva immaginato entusiasmando la Camera quel 25 Marzo 1961, a pochi giorni dalla istituzione del Regno d’Italia, venendo a parlare della “questione romana” perché “senza Roma l’Italia non si può fare”. E Roma deve diventare la capitale di “un grande Stato”

In sostanza, in molti di coloro che sono intervenuti su Facebook si è notato un sentimento patriottico importante, sia pure mediato da un ricordo familiare. Un sentimento che, se affiora, vuol dire che è presente nel cuore e nella mente. E se non è ordinariamente esplicitato è perché si è fatto di tutto, dal 1946 in poi, per cancellare il ricordo di questo fatto collettivo straordinario che è stato il Risorgimento, che, come ha scritto Indro Montanelli, è stato l’“unico tradizionale mastice della sua unità” per aver tenuto insieme gli italiani “da secoli/calpesti, derisi” perché “divisi” come sentiamo nell’Inno nazionale, il Canto degli italiani, l’Inno di Mameli. Ed è importante l’affiorare di un sentimento di Patria, di identità culturale che non si identifica in un partito politico, ma che è, o dovrebbe essere, di tutti, ferma restando, poi, ogni possibile distinzione su come si ritiene debba essere governata L’Italia.

Direi, dunque, che è un fatto positivo quello che ho constatato oggi, che evidentemente è percepito anche da chi ha fiuto politico perché se il ricordo dell’evento di 106 anni fa lo ha manifestato Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia, partito per il quale il ricordo patriottico è naturale, è significativo che Matteo Salvini, erede di quelli che volevano l’“indipendenza della Padania”, abbia scritto di Patria su Facebook. Il che significa che quello della identità è un valore attuale e potenzialmente diffuso. Lo avrà detto magari per contrastare il Partito Democratico e la sua azzardata proposta di introdurre lo ius soli, eufemisticamente barattato come ius culturae, ma da inguaribile ottimista credo sempre che ogni manifestazione pubblica di fede nella Patria sia da accogliere nella fiducia e nella speranza che dalle parole si passi ai fatti, alla consapevolezza che alle vicende del mondo globalizzato si può partecipare con maggiore successo se si afferma una identità che si confronti con l’identità di altri, che non è scontro di nazionalismi, come qualcuno interessato a pescare nel torbido va dicendo, ma ricerca di una convivenza pacifica in un contesto di libertà e di reciproco rispetto.

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