di Salvatore Sfrecola
I referendum sulla Giustizia, promossi dai radicali, sono apparsi ben presto un sasso gettato nella piccionaia della politica, a seguito dell’adesione della Lega, partito di governo ed espressione significativa del Centrodestra. Un “azzardo” che immagino calcolato. Nel senso che Matteo Salvini sa bene che la raccolta delle firme è solo la prima fase di un complesso iter procedurale previsto dalla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, che ha dato attuazione all’art. 75, comma 2, Cost.. I quesiti e le firme vanno depositate entro il 30 settembre di ogni anno presso l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione per un primo vaglio di regolarità/legittimità dei quesiti (che possono essere integrati, rettificati concentrati in presenza di altre iniziate analoghe) e delle firme. La Cassazione decide entro il 15 dicembre e con ordinanza investe del giudizio di “ammissibilità” la Corte costituzionale che fissa l’udienza entro il 20 gennaio e decide entro il 10 febbraio. Se i quesiti sono “ammessi” l’iter referendario prosegue con la indicazione, da parte del Governo, della data della consultazione. Nel frattempo è probabile che le leggi aggredite dal referendum, o alcune di esse, siano state cambiate, così rendendo inutile l’apertura delle urne. Soprattutto nell’attuale contesto politico nel quale Governo e Parlamento devono soddisfare entro l’anno la richiesta di semplificazioni amministrative e giurisdizionali che l’Unione Europea ritiene necessarie per il finanziamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In sostanza, per rendere i tempi della Giustizia compatibili con le esigenze dell’economia ad una celere definizione delle controversie che interessano soprattutto le imprese. Esigenza che riguarda certamente il processo civile ma anche quello amministrativo. In entrambi i contesti, infatti, i diritti e gli interessi dei singoli e delle imprese rimangono ibernati a volte per anni, soprattutto su questioni di carattere contrattuale e di appalti pubblici.
Il pericolo è che, nella fretta di provvedere per soddisfare l’Europa, la materia della Giustizia, già di per sé complessa e intricata, in presenza di una ben nota varietà delle opinioni, che dividono i partiti, tra loro ed al loro interno, possa dar luogo a norme raffazzonate per cercare di evitare un esito referendario che può apparire scontato con effetti abrogativi delle norme che attualmente disciplinano la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.), la responsabilità civile dei magistrati, la separazione della carriera dei giudici da quella dei pubblici ministeri, la semplificazione delle norme processuali, la regolamentazione della posizione di chi rientra in magistratura dopo un’esperienza politica.
Matteo Salvini ha conquistato in questi giorni la scena della politica. Il complesso delle riforme sul tavolo del Ministro Marta Cartabia e del sottosegretario alla Presidenza del consiglio Roberto Garofoli, rispettivamente per la magistratura ordinaria e per quella amministrativa, è di tutto rispetto. L’importante è evitare di arruolare i maestri della disciplina dettagliata fino al cavillo, ciò che, ad esempio, ha reso del tutto impraticabile il Codice degli appalti, 220 articoli di norme che rendono il procedimento, sotto ogni versante, particolarmente farraginoso e fonte di allungamento dei tempi, a causa della preoccupazione dei funzionari di incorrere in responsabilità, soprattutto penali (il c.d. “timore della firma”), e del contenzioso dinanzi al Giudice amministrativo promosso dalla imprese escluse dall’assegnazione dell’appalto. La scelta, che mi permetto di suggerire, è quella di evitare il ricorso a leggi di delegazione e di privilegiare interventi diretti con legge ordinaria, magari anche con decreto-legge, capaci di effetti immediati, con semplificazione degli adempimenti oggi richiesti dai vari processi, anche sotto il profilo dei tempi, da quelli relativi alle istruttorie agli adempimenti decisori, compreso il deposito delle sentenze che, a volte, intervengono dopo mesi se non dopo anni. Infatti, a differenza di quanto sappiamo da una nota pubblicità di qualche anno fa, secondo la quale una telefonata “allunga la vita”, in materia processuale i tempi lunghi dei rinvii l’accorciano, tanto che le imprese serie, quelle che non ricorrono a “scorciatoie”, a volte, evitano di investire in Italia, soprattutto le imprese straniere.