sabato, Novembre 23, 2024
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Ucraina 2022: uno scenario già visto. La storia che non insegna

di Salvatore Sfrecola

“Si vis pacem, para bellum”. Così a Roma, il più grande impero di tutti i tempi, si concepivano i rapporti con i vari popoli. Non per fare necessariamente la guerra, ma per tentare di evitarla. Perché se sei pronto a farla, se sei armato, il più delle volte eviti che qualcuno ti usi violenza. La storia ci dice, infatti, che i prepotenti si esercitano soprattutto nei confronti di quanti appaiono deboli e continuano fin quando non trovano chi li mette a posto. E chi scatena la guerra è sempre convinto di vincerla e rapidamente. Così Napoleone nell’Ottocento, così Hitler nel Novecento. In entrambi i casi si è visto che i calcoli erano sbagliati. Quelle guerre sono durate più del previsto e sono costate milioni di morti. Il Generale De Gaulle ha detto che Napoleone ha lasciato la Francia più piccola di come l’aveva trovata. Lo stesso si può dire di Hitler che ha lasciato solamente macerie, materiali e morali.

Accade tra le persone che i violenti si esercitino, come dimostrano le baby gang, ad aggredire giovani, anziani, disabili per il solo gusto di malmenarli. Autentici vigliacchi. Accade fra gli stati e le comunità, con la sola differenza che questi per motivare le loro aggressioni spesso fanno ricorso a rivendicazioni che possono sembrare perfino nobili. Come parve a molti l’intenzione di Hitler di intervenire in Cecoslovacchia in favore dei “tedeschi dei Sudeti”, la popolazione di origine tedesca residente nelle regioni di confine nel nord e nell’ovest, che lamentavano discriminazioni. Le potenze occidentali, che pure erano state messe in allarme a seguito dell’annessione (anschluss) dell’Austria nel 1938, accuratamente preparata attraverso disordini organizzati da un partito filonazista, non ebbero la forza di opporsi. Anzi parve a molti dei governanti, a Londra ed a Parigi, in particolare al Primo Ministro britannico, Neville Chamberlain, che le richieste dei tedeschi dei Sudeti fossero giuste, abilmente presentate da Berlino come applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli enunciato dal Presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, in occasione del Trattato di Versailles, quando fu definito nuovo assetto europeo a seguito della dissoluzione degli imperi centrali, Austria e Germania.

In ogni caso la preoccupazione dei governi era quella di evitare la guerra. Con l’effetto di rinviarla soltanto, e di affrontarla in condizioni più difficili, vinta soprattutto grazie alla potenza industriale degli Stati Uniti la cui industria bellica, lontana dai fronti di guerra potè produrre indisturbata quanto occorreva ai combattenti di tutti gli eserciti alleati.

Il fatto è che nei rapporti tra stati, quando il prepotente, come spesso accade, è un dittatore, questi ha il vantaggio di non dover rispondere ad un parlamento né all’opinione pubblica. Per cui la forza delle democrazie, il consenso popolare, si rivela un motivo di debolezza, soprattutto quando la classe politica di governo non ha il coraggio di rischiare l’impopolarità per far valere le ragioni del diritto.

Nel 1938 le democrazie occidentali, fedeli alla politica dell’appeasement, cioè della ricerca dell’accordo politico a tutti i costi, per lo più al prezzo di gravi concessioni, credettero di aver raggiunto un compromesso per una pace duratura accontentando le mire espansionistiche di Hitler. E fu un errore. Probabilmente se avessero mostrato il volto delle armi avrebbero convinto Berlino a più miti consigli. Invece l’opinione pubblica, soprattutto britannica, ritenne che un accordo con il dittatore nazista avrebbe garantito la pace. E fu Monaco, la conferenza che segnò una netta sconfitta delle democrazie liberali che si sarebbero presto accorte che con quell’accordo Hitler aveva testato l’incapacità di Londra e Parigi di fermare la crescente aggressività della Germania nazista. La Gran Bretagna, come aveva ripetutamente denunciato Winston Churchill, aveva ridotto il numero e la consistenza di reparti dell’esercito e dell’aeronautica. Pesavano ancora gli effetti della “grande depressione” del 1929, ed i governi britannici erano impegnati nelle spese necessarie per garantire la stabilità economica ed il benessere sociale.

Anche nei giorni scorsi c’è stata una Monaco, una conferenza ministeriale straordinaria del G7 richiesta da cancelliere tedesco Olaf Scholz alla quale sono intervenuti Canada, Francia, Italia, Regno Unito e USA, una conferenza inutile perché, invitata, la Russia ha scelto di non intervenire, avendo evidentemente Putin testato la capacità dell’Occidente di difendere il diritto dell’Ucraina ad esistere. E, verificato che nessuno era pronto a reagire, ha dato ordine alle sue truppe di invadere lo stato sovrano suo confinante.

Del resto, l’incapacità politica dell’Occidente era stata dimostrata pochi mesi fa in Afghanistan, quando gli Stati Uniti hanno abbandonato in fretta e furia un paese nel quale erano presenti da anni con l’impegno di favorire l’affermarsi di istituzioni democratiche. Non ci sono riusciti, meglio non sono stati capaci di farlo. Ma fuggire in modo ignominioso ha dato al mondo un’immagine negativa della capacità di reazione americana e ancor più della inaffidabilità di quel paese perché dopo Kabul nessuno più si potrà fidare degli americani, leader incerti della comunità degli stati democratici.

Ho aperto con una massima romana. Concludo con altro evento storico, in un momento di incertezza della repubblica romana, la vicenda di Sagunto, città fedele a Roma, accerchiata dai cartaginesi guidati da Annibale. Aveva chiesto aiuto al Senato di Roma che tardava a decidere, non per ragioni di democrazia, come accade oggi, ma di valutazione dei rischi e delle convenienze. Tardò a decidere il Senato. Ne discuteva ma non decideva. Sicché, “dum Romae consulitur, Sanguntum expugnatur” dopo otto mesi di assedio. E questo darà ad Annibale il senso dell’impunità e lo convincerà che avrebbe potuto vincere. Non accadrà, ma Roma soffrirà a lungo per non essere stata pronta a reagire quando il pericolo sembrava lontano dal Campidoglio.

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