di Cristiano Turriziani
Dopo una serie di rinvii e rimpalli all’incirca da due anni da domanda presentata, causa influenza poi degenerata in pandemia e ora chissà, il valente Ministero dell’Istruzione senza troppa pubblicità e senza alcun particolare anticipo visto il gioco in precedenza adottato, ha indetto con la solita circolare le date delle prove per suddetto concorso che ha visto anche la partecipazione del sottoscritto.
Il famigerato e chiacchierato “Concorso ordinario della scuola per l’insegnamento nella secondaria” che mi ha visto in lizza ha suscitato un paio di considerazioni che vado qui di seguito a svolgere.
Provengo da una facoltà come quella di Filosofia vecchio ordinamento – così denominato dopo la “laurea” 3+2 – in cui ovviamente dei venti e più esami sostenuti per la maggior parte annualità, ognuno ha avuto il suo peso sia per la preparazione, sia perché ovviamente aveva necessità di un periodo di studio e di approfondimento; corsi universitari in cui professori che svolgevano il corso relativo, facevano si che vi fosse sempre una interazione di “materie” e che proprio per questa ragione, prevedevano di conseguenza lo stesso ampliamento prima che della “offerta formativa” della rete neuronale quella che al pari di riforme oggi in auge fatte solo di “contenutistico burocratese” pare ridotta a meno di un granello di sabbia.
A seconda degli argomenti che venivano svolti nella lezione stessa, vi si forniva sempre una metodologia di fondo oltre un aumento della possibilità di interazione data dalla metodologia del “dubbio” oggi latitante nella maggioranza dei luoghi di concentrazione.
Finita la stessa ci si ritrovava goliardicamente al bar e dinnanzi ad un calice di vino o ad una tazzina di caffè si dibatteva applicando tutte quelle regole che i “lor signori” vorrebbero sostituite da un TFA o da dei FIT che altri non sono che la brutta copia di esami di pedagogia e psicologia applicata.
Perché lì, in realtà, noi in un certo qual modo “coltivavamo” quella lezione portando avanti indirettamente il discorso relativo a come sarebbe stato l’insegnamento sia a nostri pari universitari, sia agli allievi di una eventuale secondaria e facevamo questo lavoro perché eravamo consapevoli del fatto che il nostro unico sbocco sarebbe stato quello relativo all’insegnamento o, per chi non ce l’avesse fatta, a un lavoro impiegatizio nella PA usando con ogni probabilità, la stessa metodologia che ne nella primaria ne nella secondaria la scuola istituzionalizzata ci aveva fornito nei suo svariati “corsi di aggiornamento”.
È bastato quindi un intervallo di decreti, assunzioni sempre più approssimative nate da graduatorie in cui si applicava la trasparenza solo per essere a posto con la coscienza e il rispetto delle leggi – di cui nessuno di noi è stato mai un vero e proprio Solone – per smantellare fior fiore di progetti alla Don Milani o Montessori o Rinomata Pizzigoni o altri maggiori o minori e via discorrendo; quel tipo di “scuola” dedita al “coltivare” più che al “colonizzare”; quella scuola che se fatta applicare con i dovuti decreti sarebbe stata davvero “ buona” e dell’inclusione e non solo una scuola che su carta veniva in aiuto alle esigenze di genitori e Presidi; scuola con cui formare comunità e quindi dare anche un diverso tipo di classe dirigente ad un Paese come il nostro sempre più allo sbando.
E invece senza se e senza ma, senza possibilità di confronto ne di replica, con un buffet di 50 quiz presi da un algoritmo si “vince” l’idoneità per entrare nel mondo scolastico.
Cinquanta forche Caudine in cui vengono messi sullo stesso piano il noto pensiero sul Tempo in Agostino (si badi non da farci su una sorta di disquisizione teoretica ma un abbinamento di frase con quattro opzioni di filosofi) con le date relative alla guerra di Corea o il piano Roosevelt in barba a quello che lo stesso genio di Pasolini diceva in una intervista rilavata a Enzo Biagi sulla quella scuola sessantottina che aveva avuto l’ardire di aver debellato il mero nozionismo ridotto alla mnemotecnica; dalla presa HDMI per collegare una periferica di un pc, ad un brano di comprensione della lingua inglese estrapolato senza nemmeno tener conto del periodo della frase (che in barba al liquid brain della liquid gender esiste, c’è!) ad altre castronerie degne della settimana enigmistica de “noantri” con l’unica differenza che mentre in questa si aguzza l’ingegno e si impara anche un po’ con i sopra menzionati quesiti non solo si “vince” un posto di lavoro a 1000 euro lordi mensili (tra i peggio pagati in Europa) ma ci si assicura un annichilamento cerebrale tra ADHD Bes e atri disturbi veri e presunti, la richiesta di carta igienica e una LIM per far si che la lezione non faccia annoiare i pargoli ma sia molto più interattiva, molto più smart e molto più “DAD”.
E che poi magari ci si faccia due domande sul perché oltre a non sapere – non chi ha scritto ma che cosa c’è scritto su “ La Repubblica” di Platone – i nostri pargoli abbiamo sempre più disturbi dell’ apprendimento e siano – ultimamente e grazie anche alla pandemia – affetti da disturbi sociali che detto in parole povere non è che non vogliano andare a scuola ma se ne disinteressino completamente, sembra essere scontato.
In barba ai “sani princìpi” con cui dicono di “formare” didatticamente, antropologicamente e pedagogicamente intere schiere di insegnanti, ecco che – con buona pace di sindacati collusi anche loro con gli interessi di “marca” e partiti disinteressati all’argomento – noi versiamo in una situazione che è divenuta con il tempo parossistica.
Certo dalla Coppino alla Gentile (parlo di riforme per chi non fosse addentro a questo magico mondo) ne è passata di acqua sotto i ponti (crollati tra parentesi) ma se si fosse centellinata forse non bene avremmo avuto dei benefici anche noi? Se avessimo dato retta anche all’allora metodo Brocca che proprio così negativo non era e avessimo lasciato perdere la lotta Morattiana delle materie scientifiche “più belle buone e brave” di “quelle letterali” considerando entrambi come costole di un solo corpo e ridando invece una centralità umanistica alle stesse oggi ci porteremo ancora dietro da parte in prima serata di docenti e poi anche di discenti questo analfabetismo funzionale generalizzato o le sorti del nostro Paese/Patria Italia verserebbero in una misura un po’ differente e magari con una classe politica un po’ più politica rispetto ad un “bivacco di manipoli”?
Ai posteri (se vi saranno ahinoi) l’ardua sentenza … Noi intanto facciamo fede in qualche Ministro che si renda conto che sebbene un concorso per l’abilitazione debba essere anzitutto “punitivo” per generazioni dedite ancora “all’intrallazzo e alla copiatura” come i padri della prima repubblica ci hanno insegnato, quanto meno vi si dia (perché anche in termini giurisprudenziali è così), “vostro onore” la possibilità di ricorrere in appello o di presentarsi dinnanzi ad una commissione per la prova orale (così da far lavorare anche parecchia gente che sta per strada con laurea in mano ) e con la stessa come l’esame di “maturità” ad esempio fare una media tra ciò che ha scritto sotto le forche Caudine di cui prima e la capacità di giustificare le sue scelte indotte allo scritto con la capacità di far interagire persino gli stessi errori trasformandoli in una possibilità non di giustificazione ma di capacità di insegnamento che – si badi – non è un ripiego ma che dovrebbe essere considerato al pari di una vocazione.
Per troppo tempo la scuola ha accolto gente che non è riuscita a fare “la professione”; per troppo tempo quelli delle “ lauree forti” (ingegneria, architettura, giurisprudenza, informatica) hanno penato e lasciato che le commissioni preposte alle aberranti riforme pensassero che gli USR altro non fossero che le sponde dell’Acheronte di chi non avrebbe saputo fare un kaiser nella vita e quindi andava riversato nel contenitore scuola e ciò è rimasto ahimè con l’unica aggravante che nel frattempo magari più di qualcuno c’ha trovato guadagno o l’escamotage per sanare debiti causati da dipartimenti universitari sempre più esosi perché sempre più improntati alla logica dello sperpero dell’individuo sulla comunità; e qui mi taccio perché se parlassi ve ne potrei raccontare parecchi di questi fatti a me ben noti.
Insomma, per farla breve, si è cercato di portare avanti “l’industria culturale” come al solito quella si, davvero “secondaria” all’artigianato e ciò che ci troviamo oggi non è che l’esempio asettico di ciò che dovranno costruire in cattedra; tanti piccoli burattini sindacalizzati pronti a fare il bidet a quello o a quell’ altro ministro e ad un signorsì generalizzato che compiaccia tanto i Presidi quanto il DSGA e proprio colleghi allineati alla volgare vulgata comune lì dove scuola un tempo non lontano, significava ascolto, dialogo confronto, dibattito vero è scontro costruttivo anche da posizioni diverse finalizzato allo stimolo vero che il Sapere (materia Universale) avrebbe dovuto portare tanto al discente quanto al docente.
Ed oggi in una piccola aula informatica di un liceo nel Viterbese, dopo una laurea in filosofia a pieni voti e “bacio accademico”, un dottorato di ricerca, un master in psicologia e altri titoli buttati in un cassetto di fronte ad uno schermo di un pc su cui “gira” ancora Windows 2007 ci si trova a rispondere a quattro domande sul probabile sesso degli angeli; e mentre si assiste inermi a crollo dell’ Impero dell’Ermeneutica, della Teoretica e perfino del semplice ragionamento si incrociano le dita davanti ad un impiegato che inserendo una pennetta come se fossero le analisi del diabete, ti dice se sei idoneo alla seconda prova o no mentre tu ti alzi e ti fa più schifo quel senso di “signorsì” di un minuto che “10 lunghi anni passati a sentire tutto e il contrario di tutto e a leggere decine e decine di tomi scritti fitti fitti e in lingua originale tanto di Heidegger quanto di Hegel e Nietzsche.
Per riprendere proprio il loro pensiero senti nelle ossa il nichilismo senza nemmeno il barlume di redenzione.