domenica, Novembre 24, 2024
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Il “topo” di Siviglia (ovvero: siamo alle solite)

di Dora Liguori

Ho sempre pensato che non esistano limiti alla rappresentazione dell’orrido ma quello che è stato propinato, prima al pubblico romano, ed oggi in televisione, questo limite non solo lo ha raggiunto ma anche sorpassato. E tanta era la bruttezza che veniva celebrata che persino la musica di Rossini era quasi impossibile riconoscerla, né il direttore Renzetti si sforzava molto in questa impresa.

Ovviamente la critica ufficiale, in illo tempore, parlò di dissensi in sala, ovvero: è caduto giù il teatro per i fischi e le urla del pubblico. Per questi motivi era lecito pensare che lo spettacolo, come dire, fosse… parce sepulto! E invece?

Invece, l’incriminato lavoro del regista Davide Livermore, per la “gioia” di noi poveri viventi, ci è stato ri-propinato in tutto il suo “splendore”.

Detto questo, non ci resta, per quanti avessero avuto la fortuna di non vederlo, di raccontare con parole acconce quanto intervenuto sul povero palcoscenico del Costanzi nel 2015

Ma, prima di procedere, forse sarebbe più giusto, fare una semplice domanda? Che esigenza aveva il Teatro dell’Opera di procedere ad un nuovo costoso allestimento di Barbiere, chiamando un signore che ha pressoché distrutto quest’opera? E cosa ancor più grave, detto scempio, è stato fatto per celebrare i due secoli dalla prima rappresentazione a Roma al Teatro Argentina del capolavoro rossiniano. Poveri noi!

E ancora: perché il Ministro Franceschini (visto che i soldi sono dei contribuenti), dopo i tanti vilipendi operati in questi ultimi anni avverso i capolavori della musica non interviene mettendo un freno?

In ultimo: perché se uno sfregia “La pietà” di Michelangelo o “La Gioconda” di Leonardo commette un reato e chi sfregia un’opera lirica no?

La chiamata in causa del ministro Franceschini è obbligatoria essendo lui che governa i criteri di nomina di determinati Sovrintendenti e Direttori artistici. E in virtù di questo potere, viste le improponibili scelte che costoro fanno, qual è il grado di preparazione loro richiesto?

Ahimè” Già lo sappiamo la domanda resterà ovviamente elusa. Infatti ce lo vedete il Ministro Franceschini che, come logica vorrebbe, chieda conto a certi teatri dello sperpero di denaro pubblico che, appunto, fanno ingaggiando determinati personaggi?

E se poi il pubblico si ribella… che importa? Alla fine se l’improponibile spettacolo frana, il torto non sarebbe di chi lo ha voluto e messo in scena ma di chi dissente, in quanto costoro (i dissenzienti) sono notoriamente gente incolta e incivile che vive nel buio, priva com’è dell’illuminata percezione avuta, invece, da taluni geni circa la metafisica introspezione che si asconde nelle riposte pieghe simboliche di determinate partiture (chiedo scusa ma questi sono i termini che certi registi usano nelle varie interviste per illustrare i loro parti artistici). Infatti, essi affermano: determinate partiture senza il nostro apporto, mai sarebbero state svelate, non solo al volgo ma anche all’autore. Il tapino, spesso non sa accogliere i simbolismi che “motu proprio” esistono; simbolismi che, addirittura a sua insaputa, possono essersi intrufolati nel lavoro.

Insomma ci voleva Livermore per far capire al poco accorto Rossini il suo “Barbiere”.

Peccato che il pubblico, in probabile accordo con Rossini, fischiando, si sarà chiesto: signor Ministro, visti i risultati, come già detto, in base a quali criteri sono stati nominati i vertici del teatro, responsabili di tanto etc etc…?

Una domanda che potrebbe apparire ingenua essendo dette motivazioni più o meno note a tutti: ma, a parte sparute eccezioni, quali sono i criteri che sovrintendono (è il caso di dire) alle nomine dei sovrintendenti? A quanto ci è dato vedere esse rispondono a tante esigenze, tranne che al bagaglio di professionalità e competenza che occorrerebbe per dirigere un teatro.

E allora, come diceva un passato presentatore, la domanda sorge spontanea: per quanto tempo ancora il pubblico dovrà sopportare simili scelte?

Non resta che pazientemente attendere che il futuro si “disveli”!

Comunque, dopo le dovute lagnanze e annesse domande alle quali nessun ministro mai risponderà, è giunto il momento di fornire un piccolo assaggio dello, chiamiamolo, spettacolo.

Come noto “il barbiere” ha inizio con una scintillante sinfonia, in genere eseguita a sipario chiuso … e invece no! Il grande sipario è stato aperto per dare spazio alla passeggiata di un enorme topo (in italiano colto “pantegana” e in italiano meno colto … zoccola) che ha attraversato l’intero palcoscenico (deliziando tutti) per lasciare poi spazio (a conforto della cena) alla visione proiettata di una serie di busti di dittatori e non, i quali, gentilmente, venivano decapitati, con ovvio e poco piacevole spargimento di sangue. Tra le tante teste tagliate c’erano pure quelle di Francisco Franco, il dittatore spagnolo (morto invece nel suo letto) e del giornalista commediografo Beaumachais (autore del “barbiere”) anch’egli morto nel suo letto.

Ma é probabile che di questi “insignificanti” particolari storici nessun abbia informato il regista Livermore.

L’opera è poi continuata in quasi oscurità per via delle scene dai toni di nero e grigio (causa probabile stato depressivo dello scenografo), mentre ad arricchire lo spettacolo c’erano costumi bruttissimi, spruzzati qui e là di sangue, indossati da una serie di signori attornianti (inutile dire fastidiosamente) i poveri cantanti; signori che, sempre per gradire, si dimenavano senza testa. Tutto questo “Amba Aradam” (altopiano etiope divenuto sinonimo di caos) era coronato, sul fondo, dalla visione di un orso (notoriamente Siviglia pullula di orsi) posto a presidiare gli avvenimenti.

Ma non basti: alla fine di ogni parte dell’opera, gloriosamente, riemergeva l’enorme topo che in tutta tranquillità riattraversava il palcoscenico dando il via (almeno questa ci è parsa la recondita sua funzione) a un salto di epoca. Insomma il barbiere, così contrassegnato dalla zoccola, aveva inizio nel settecento e finiva negli anni 1980, con il povero mezzosoprano (non proprio una silfide) che pagava il pedaggio maggiore, costretta come era a cantare infagottata in orripilanti costumi, compresa una minigonna degli anni ’80.

Che altro dire: vista la quasi oscurità e i toni della scenografia e della regia, più che ad un liberatorio Barbiere, sembrava di assistere alla pubblicità televisiva di quel signore che, avendo mangiato pesante, si svegliava nella notte ritrovandosi con un cinghiale sullo stomaco…insomma un incubo notturno!

In questo incubo, quasi impossibile parlare della resa dei cantanti, se non per dire che, in Italia, di mezzosoprani o meglio di contralti rossiniani e di tenori, ce ne sono di migliori rispetto alla Amaru e al Rocha. Bravissimo il basso D’Arcangelo (don Basilio) e il baritono Del Savio, costretto a interpretare, sempre per illuminata intuizione della regia, un don Bartolo centenario e paralitico con tanto di carrozzella.

Cari amici, come dice la povera Mimì della Boheme “altro di me non vi saprei narrare… se non che, essendo da anni un’abbonata sia al teatro della capitale che alla televisione, dopo simile spettacolo, non solo rivorrei i soldi spesi per l’abbonamento ma anche ottenere dei danni avendo teatro e televisione, nel propinarmi un simile spettacolo, offeso anche la mia intelligenza di spettatrice. Stessa cosa debbono averla pensata gli spettatori presenti in sala che, una volta tanto e in perfetto accordo, hanno giustamente protestato, scatenando l’inferno … mentre i colpevoli (dicasi regista etc) impassibili a momenti ringraziavano, sorridendo pure. Forse, avendo intascato non pochi “spiccioli” per una simile prestazione, sorridevano (a ragione) della dabbenaggine degli italiani. E vai a dargli torto!

P. S. Con grande sforzo di fantasia sono riuscita a capire la recondita, nonché metafisica e temporale, funzione del topo a Siviglia ma… l’orso? Chissà la soluzione dell’enigma, prima o poi Livermore, o per lui il sovrintendente dell’opera, o anche i funzionari RAI, potrebbero spedirmela a casa… resto in attesa!

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