di Salvatore Sfrecola
Cambierebbe molto se si votasse anticipatamente rispetto alla scadenza naturale del 2023? Non è facile una previsione su un elettorato che si è dimostrato volatile e in molti casi condizionato da un consistente assenteismo in tutti i segmenti della popolazione. Anche tra i borghesi, i più danneggiati dalla crisi economica originata dalla pandemia e, poi, dalla guerra, sfiduciati da tempo della capacità dei partiti di rispondere alle istanze di gran parte degli italiani. Del resto la sfiducia nei partiti è all’origine dell’affermazione del Movimento 5 Stelle che nel 2018 aveva raggiunto consensi tali da farne il partito di maggioranza relativa. Cosa poteva convincere la classe media a votare una schiera di giovanotti di buona volontà senza alcuna esperienza politica e professionale se non il ripudio totale della classe politica? Chi ha votato M5S non ha evidentemente ritenuto che fosse possibile scegliere un altro partito. Ed ha optato per chi si presentava col programma di spazzare via la vecchia politica riassunta nella famosa espressione di Grillo che si riprometteva di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.
La delusione è stata grande. Neppure un cambio di passo, come sanno bene i romani che hanno avuto per cinque anni un sindaco del tutto inconsistente, assolutamente incapace di avviare a soluzione neppure uno dei tanti problemi della Città. Non quello del traffico, della raccolta dei rifiuti, della tutela del verde delle strade e dei parchi. Virginia Raggi e le sue parole al vento, quello che secondo lei stava cambiando. Incapace totale, ma non meno incapaci i partiti che non hanno saputo condurre una opposizione che facesse emergere idee nuove e personalità capaci di impersonarle.
In queste condizioni quali le prospettive della prossima competizione elettorale? Che giunga alla scadenza naturale della legislatura, nel 2023, o prima probabilmente non cambierebbe molto. È probabile qualche piccolo spostamento soprattutto in favore di Fratelli d’Italia, premiato per essere da sempre all’opposizione.
Scostamenti significativi rispetto alle previsioni di questi giorni non si possono obiettivamente immaginare. Anche se la volatilità del voto rappresenta un elemento di complessità per i partiti che devono fare i conti con il cambiamento del proprio elettorato, la difficoltà di individuare proposte da indirizzare ai segmenti sociali che li compongono e di creare conseguentemente strategie comunicative efficaci.
Secondo Nando Pagnoncelli-Presidente, Ipsos, che ne ha riferito sul Corriere della Sera per ciascun partito la percentuale delle diverse componenti socio-demografiche va confrontata con il peso di quella stessa componente sulla totalità degli elettori. E fa l’esempio dei due principali partiti, Partito Democratico e Fratelli d’Italia.
Secondo i sondaggi Ipsos il PD ha un elettorato prevalentemente maschile, di età più matura (il 60% ha più di 50 anni vs. il 54,6% della totalità degli elettori), più istruito (61% è diplomato o laureato, 10 punti più della media), di condizione economica elevata/medio alta (42%, 15 punti più della media). Uno su tre (32%) è pensionato, il ceto impiegatizio e quello dirigente sono più presenti rispetto alla media degli elettori (33%, +10%) mentre operai e disoccupati sono sottorappresentati (16% contro 26,4%).
Anche tra gli elettori di Fratelli d’Italia è più presente la componente maschile (54%) rispetto a quella femminile, inoltre prevalgono le classi centrali di età, tra i 35 e i 64 anni (pesano per il 62% vs. il 51,3% della media italiana), mentre il livello di istruzione non si discosta molto dalla media nazionale (con una maggiore accentuazione dei diplomati 38% vs. 34,4%), come pure le persone che hanno una condizione economica media (35% vs. 30,1%) e gli appartenenti al ceto impiegatizio o hanno un lavoro autonomo (29% vs. 23,4%); e i ceti non occupati sono molto meno presenti rispetto alla media (46% vs. 54,3%).
Il partito più votato dai ceti dirigenti (imprenditori, quadri e liberi professionisti) è il Pd (24,2%) seguito da FdI (22,5%), Lega (11,5%) e Forza Italia (11,1%); mentre tra gli operai e i lavoratori esecutivi il partito più votato è la Lega (23,1%), seguita da FdI (21,9%), M5S (14,6%) e Pd (12,5%). Tra i lavoratori autonomi si impone nettamente FdI con il 24,8% dei consensi (10 punti di vantaggio sul Pd), mentre tra impiegati e insegnanti tornano a prevalere i dem (25,4% a 20,8% di FdI). Le casalinghe oggi prediligono il partito della Meloni (20,4%) che precede la Lega (17,8%), il Pd (16,5%) e Forza Italia (14,3%).
Tra i pensionati prevale nettamente il Pd con il 29,2%, seguito da FdI (19,4%) e dalla Lega (12,8%). Infine, anche tra i più giovani (18-35 anni) i dem sono in testa con il 19%.
Un altro elemento da considerare riguarda la situazione economica: il Pd prevale con il 31,4% tra i benestanti e con il 25,9% tra le persone di condizione economica medio alta, mentre tra i meno abbienti FdI prevale con il 21,5%, seguito dalla Lega (19,7%), dal M5S (18,6%) e da FI e Pd al10%.
Da ultimo un cenno agli astensionisti che hanno raggiunto livelli elevati (42,5%), rappresentando il «primo partito» del Paese. Il più delle volte gli astensionisti hanno una condizione economica bassa (54,8%) o medio-bassa (50,6%), le casalinghe (54%), le persone di oltre 65 anni (53,2%), i residenti nel Mezzogiorno (51,1%) i disoccupati (49,3%), le persone meno istruite (47,3%).
L’ultimo sondaggio politico di Bidimedia conferma quanto rilevato negli ultimi mesi nelle intenzioni di voto. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è sempre il primo partito con il 22,9%, in crescita del 2,9% rispetto a due mesi fa. A seguire c’è il Partito Democratico di Enrico Letta con il 22,3%, cristallizzato in quella posizione da due mesi. Terza la Lega di Matteo Salvini al 14,2%, che invece negli ultimi sessanta giorni ha perso il 3,6%. È il dato peggiore tra i partiti sondati in termini di crollo. Ancora più in basso c’è invece il Movimento 5 Stelle, che ha subito anche la scissione di Luigi Di Maio e negli ultimi due mesi ha perso il 2,0%. Giuseppe Conte e i suoi ora sono dati al 10,2%.
Forza Italia di Silvio Berlusconi cresce dello 0,4% in due mesi e torna al 7,2%, dimostrando di essere ancora fondamentale per la coalizione di centrodestra. Poi troviamo due federazioni: Azione e +Europa al 4,7%, Sinistra Italiana ed Europa Verde al 4,0%, entrambe in calo di un decimo di punto. Italexit di Paragone continua con il suo boom di consenso: più 0,6% e sale al 2,3%. E ancora, troviamo Italia Viva di Matteo Renzi al 2,0% e Articolo 1 – Mdp del ministro Speranza all’1,4%. Infine una serie di partiti neonati e progetti diversissimi tra loro: dal nuovo partito di Adinolfi con l’ex leader di Casapound, che si chiama Alternativa per l’Italia dato all’1,3%, a Insieme per il futuro di Luigi Di Maio che otterrebbe appena lo 0,7%.
Ebbene, tirando le somme dei numeri che abbiamo appena visto, che in politica hanno sempre poco senso, se ne ricava uno scenario niente affatto rassicurante per i due schieramenti. Se questi fossero i risultati Centrodestra e Centrosinistra si troverebbero a fare i conti con microstrutture che certamente rivendicherebbero posti di ministro e di consigliere di amministrazione qua e là negli enti pubblici e nelle imprese di stato. Un quadro niente chiaro, considerato che non si sa chi sarà il candidato Presidente del Consiglio che, a destra si continua a ritenere debba essere indicato dagli elettori attraverso il consenso al primo partito della coalizione, tesi che ben si comprende ma desta comunque qualche perplessità. E non tiene conto del fatto che la scelta del Presidente del Consiglio spetta ad un Capo dello Stato che è comunque espressione della cultura del cattolicesimo democratico da sempre orientato a sinistra. Sicché nella probabile impasse non è escluso che a Palazzo Chigi torni un governo Draghi, forse bis o ter.