domenica, Dicembre 22, 2024
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La questione fiscale

di Salvatore Sfrecola

Quando il 25 settembre gli italiani entreranno nella cabina elettorale con la scheda sulla quale dovranno tracciare il segno che esprime la scelta del partito da mandare in Parlamento ed al Governo avranno ancora ben presente l’ultimo impegno fiscale, il modello F24 con il saldo e l’anticipo d’imposta. E faranno i conti, perché quel 41% di pressione fiscale, ricordato di recente dal Procuratore Generale della Corte dei conti, Angelo Canale, per aggiungere che è eccessivo e concorre ad impedire una vera lotta all’evasione fiscale, sarà per molti di più, molto di più. Soprattutto per i liberi professionisti oberati da una serie di impegni anche nei confronti dei rispettivi ordini professionali. E per gli artigiani e i piccoli imprenditori che costituiscono una parte importante dell’economia del Paese.

Imposte che si aggiungono agli altri balzelli che la fantasia dei nostri governanti ha istituito nel tempo, come nel caso delle accise sui carburanti che cumulano antichi tributi, di volta in volta istituiti in occasione di guerre, calamità naturali ed altre evenienze.

È giusto, dunque, che al centro del dibattito politico un ruolo fondamentale lo abbia l’imposizione fiscale perché, a differenza di quanto si legge ancora su molti manuali di scienza delle finanze, le imposte non sono solamente il mezzo col quale gli stati acquisiscono risorse per far fronte alle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni. I tributi, in particolari quelli indiretti, come l’imposta sul valore aggiunto, l’IVA, hanno una funzione di regolazione dell’economia e dei consumi. Nel senso che il livello dell’imposta facilita o limita i consumi, con effetti sulla produzione di determinati beni e servizi, con conseguente effetto sull’occupazione.

Insomma, il sistema fiscale è al centro dell’economia di uno stato ed è, dunque, logico che nel dibattito elettorale, quando i partiti presentano le loro idee sul futuro del Paese, il sistema tributario abbia un ruolo centrale che viene enfatizzato o compresso a seconda della cultura politica dei partiti, della loro visione della società e, pertanto, del ruolo del pubblico che, se più vasto, richiede una imposizione fiscale più forte.

“Meno stato, più mercato”, è una frase che si sente ripetere spesso, soprattutto in ambienti che si ispirano ad idee liberali. Come spesso accade, quel principio va “declinato”, come si usa dire oggi, con riguardo ad una misura equilibrata di autonomia privata e di intervento pubblico che sia capace di facilitare le attività industriali e commerciali. Un esempio evidente è dato dal trasporto pubblico, di persone e merci, che lo Stato in qualche modo, direttamente o indirettamente, assicura al sistema dell’economia, garantendo la distribuzione delle merci a costi che rendano competitivi i prodotti. Allo stesso tempo il trasporto passeggeri mette a disposizione di una vasta utenza, dai pendolari ai vacanzieri, servizi che rendono appetibili attività di interesse generale. Si pensi solo al turismo.

Le imposte, dunque, al centro dell’offerta elettorale. Ad iniziativa soprattutto del Centrodestra che da sempre chiede la riduzione del carico fiscale. “Alleanza antitasse”, titola oggi il Giornale, che pubblicizza la c.d. flat tax, la tassa piatta che da anni è proposta, una “rivoluzione” (per Il Tempo) a torto o a ragione criticata da chi ritiene sia troppo costosa (“la flat Tax di Salvini costa 80 miliardi”, scrive in prima pagina La Stampa) o in contrasto con la norma costituzionale la quale, all’art. 53, comma 2, statuisce che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Criterio che sarebbe violato da un’aliquota uguale per tutti i contribuenti, che, invece, i proponenti ritengono garantito da un sistema di deduzioni e detrazioni che determinerebbero comunque un effetto progressivo.

Comunque, quello delle imposte è il tema della campagna elettorale. Per restituire capacità di spesa alle persone, soprattutto a quelle più svantaggiate, e stimolare produzioni e consumi così facilitando un incremento dell’occupazione.

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