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La polemica sulle parole di Berlusconi a proposito del presidenzialismo: sembra una bufera ma è una bufala

di Salvatore Sfrecola

Presente nei titoli e negli articoli di gran parte della stampa ancora oggi la parola “bufera”, a proposito della dichiarazione di Silvio Berlusconi che ha ipotizzato le dimissioni del Presidente Mattarella, ove fosse approvata la riforma della Costituzione sulla forma presidenziale dello Stato, in realtà sembra una grande bufala, per chiunque osservi serenamente i fatti e non sia obnubilato dalla, pur comprensibile, passione politica.

Il leader di Forza Italia ha detto una cosa sostanzialmente elementare, quella che, in caso di riforma costituzionale con previsione della elezione del Presidente della Repubblica direttamente da parte del popolo, Sergio Mattarella potrebbe essere indotto a dimettersi. Non perché sia un atto di sfiducia nei suoi confronti ma perché, essendo cambiato il sistema di elezione, probabilmente sembrerebbe ai più logico che si dimettesse. Potrebbe ovviamente non farlo e rimanere in carica fino alla scadenza naturale del suo mandato, dopodiché il successiva presidenza sarebbe assegnata con una elezione diretta.

Questa, in poche parole, la sostanza della bufera che dimostra la pochezza di chi ha sviluppato questa polemica alla ricerca disperata di un argomento per attaccare l’avversario. Perfino il cauto Corriere della Sera “le parole di Berlusconi sono un caso”. Per Emiliano Fittipaldi, che ne ha scritto per Domani, “l’attacco di Berlusconi a Mattarella non è casuale”. Mentre Enrico Letta, intervistato da Luca Monticelli per La Stampa, rincara la dose. Per il Segretario del Partito Democratico le parole di Berlusconi sono “un preavviso di sfratto”. E aggiunge “andiamo alle elezioni perché la destra ha deciso di far cadere Draghi, e ora la campagna elettorale comincia con la destra che attacca il Quirinale”. Un’evidente forzatura. Perché, come dice Alfonso Celotto, Professore di Diritto costituzionale a Roma Tre, intervistato da Claudia Osmetti per Libero, “il Cavaliere è stato male interpretato”. E il governo è caduto perché gli ha tolto la fiducia il partito di maggioranza relativa e forse il Presidente Draghi non è stato così dispiaciuto di passare al disbrigo degli affari correnti in un momento nel quale sono all’orizzonte problemi non lievi che volentieri, immaginiamo, trasferirebbe al prossimo governo. In ogni caso le elezioni sono state anticipate di 7-8 mesi. Dov’è il problema?

Nel dibattito elettorale ci sta ovviamente che la polemica assuma toni elevati ma dovrebbe svilupparsi sui temi della proposta politica che le varie forze in campo e in competizione presentano. Sta benissimo, ad esempio, la polemica sulla flat tax, sull’immigrazione, sulla riforma dello Stato, sulle pensioni, sulla scuola, tutti i temi che dividono le forze che si contrappongono e che chiedono il voto in vista del 25 settembre. Ma questa bufera, che potremmo anche definire una tempesta in un bicchier d’acqua, dimostra che si ricorre a un argomento che non è significativo come invece scrivono alcuni giornali di un senso autoritario della destra. Di “democratura” parla Andra Orlando, Ministro del lavoro, intervistato da Monica Guerzoni per il Corriere della Sera, secondo il quale l’intervento di Berlusconi “oggettivamente suona come un attacco irresponsabile al Colle” nell’ambito di un disegno secondo il quale “la destra vuole una concentrazione di poteri e un equilibrio diverso rispetto alla tradizione delle democrazie europee”.

Non è certo quel che ha detto Berlusconi che può far ritenere che dietro l’iniziativa di proporre la repubblica presidenziale vi sia un disegno autoritario. Lo dico io che non posso essere accusato di compiacere chi propone la riforma costituzionale, essendo noto ai lettori di Un Sogno Italiano che io sono nettamente contrario a questa riforma perché prediligo un ordinamento parlamentale e perché credo che, al fondo, i problemi di funzionamento del sistema politico in Italia vadano ricercati nella inadeguatezza della classe politica che si seleziona con sistemi sbagliati, soprattutto con una legge elettorale che non fa emergere un contatto diretto fra eletto ed elettore.

I partiti italiani, che nella stragrande maggioranza propendono per un sistema elettorale proporzionale, da un lato mettono in evidenza e prendono atto della varietà delle offerte politiche presenti sul tavolo, dall’altro, tendono a due risultati, quello della moltiplicazione dei partitini e quello della scelta degli eletti da parte delle segreterie di partito, per cui con la legge attuale, il rosatellum, l’elezione avviene sulla base di scelte delle segreterie di partito, della posizione che il candidato assume nella lista per cui nell’elezione è sostanzialmente ininfluente la scelta dell’elettore che vota un partito ma non il candidato, situazione aggravata dalla recente riforma del numero dei deputati e senatori che ha creato circoscrizioni talmente estese che nessun elettore conoscerà gli eletti. Insomma, abbiamo un Parlamento di nominati anziché di eletti, come vuole la democrazia rappresentativa. 

Conclusivamente io ritengo che il vero problema della nostra democrazia sia la legge elettorale. Per i fautori del presidenzialismo l’idea di bypassare i partiti nella scelta popolare del presidente è una pia illusione, perché il presidente sarà sempre eletto sulla base delle candidature e della capacità dei partiti di sostenerle. Inoltre, i partiti trascurano che l’esperienza dei sistemi presidenziali, esclusi gli Stati Uniti d’America, che sono uno stato federale nel quale il potere è articolato anche su base territoriale in modo molto significativo, spesso hanno dato luogo ad una sorta di monopolio nella gestione del potere da parte di un partito o di una serie di partiti che è difficile scalzare. Tanto è vero che oggi su La Verità una volonterosa Signora, Flaminia Camilletti, nello scrivere di presidenzialismo, fa l’esempio di alcuni paesi che agli occhi di un liberale non sono proprio un esempio di democrazia. Infatti, conclude il suo articolo affermando che “sono ben 43 i paesi del mondo che hanno una Repubblica presidenziale. Tra i più importanti ci sono l’Argentina, il Cile, il Brasile il Messico, l’Uruguay, il Costa Rica e la Corea del Sud”. 

Non vado oltre perché, da liberale, già sento un principio di orticaria.

È vero che tra i paesi a regime semipresidenziale c’è la Francia, ma lì il sistema costituzionale ha funzionato bene solamente quando il Presidente ha avuto la maggioranza nell’Assemblea Nazionale. Adesso che le cose non sono più così Emanuelle Macron ha qualche problema.

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