di Salvatore Sfrecola
L’Agenzia delle entrate è stata ancora una volta bacchettata dalla Giustizia amministrativa per questioni di gestione di un concorso per posizioni dirigenziali. Infatti, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Seconda Sezione-ter, chiamato a giudicare sulla richiesta di annullamento della graduatoria finale di merito della selezione pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di 175 dirigenti di seconda fascia, bandito il 29 ottobre 2010, ha deciso (sentenza n. 14859 del 14 novembre) che quella graduatoria è frutto di marchiani errori nella valutazione dei titoli, al punto da alterare lo stesso spirito del Bando. Un Bando, peraltro, già oggetto di un complesso contenzioso per essere stata inizialmente prevista la possibilità di valorizzare, tra i titoli valutabili, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato conferiti a funzionari dell’Agenzia non titolari di qualifica dirigenziale, sulla base di una norma di legge (l’art. 8, comma 24, del decreto-legge n. 16/2012), dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 37 del 2015 per aver contribuito al protrarsi nel tempo di una assegnazione temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.
Il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza 7636 del Tar del Lazio e confermato la illegittimità del bando di concorso che prevedeva la possibilità di valorizzare, tra i titoli valutabili, gli incarichi dirigenziali conseguiti ai sensi della norma dichiarata illegittima.
La procedura selettiva ha, quindi, ripreso il suo corso e, in data 10 febbraio 2016, la Commissione esaminatrice ha definito i criteri di valutazione dei titoli. I ricorrenti ne hanno contestato la legittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere, per manifesta irragionevolezza e illogicità, avendo la Commissione minimizzato il “peso” dei titoli nella valutazione dei candidati, in violazione del Bando, rendendo in pratica impossibile raggiungere il punteggio massimo dei titoli ivi stabilito, così finendo per trasformare una procedura caratterizzata dalla paritaria rilevanza dei titoli e della prova orale in una procedura il cui esito è dipeso quasi esclusivamente dalla prova orale. È stata anche contestata la valutazione dei titoli, in concreto attuata.
Il TAR ha ritenuto fondate le doglianze dei ricorrenti per aver la Commissione realizzato una generalizzata contrazione del punteggio per i titoli con l’effetto che nella graduatoria finale di merito vi sono candidati che, pur non avendo presentato titoli valutabili o avendo, di conseguenza, conseguito a riguardo un punteggio pari a 0 (zero) si trovano in posizione utile e poziore di appena circa due punti rispetto a chi ha presentato titoli validi.
Il Tar ha ritenuto che il ricorso dovesse essere accolto avendo ritenuto che “l’attività di individuazione del punteggio da attribuire ai singoli titoli valutabili, svolta dalla Commissione, nonché quella, conseguente, di materiale attribuzione dello stesso, siano state compiute in violazione delle regole fissate dal Bando di concorso e che inoltre le stesse, pur nella doverosa considerazione della discrezionalità tecnica che tipicamente contraddistingue l’operato delle commissioni di concorso, risultino manifestamente contrarie ai principi di ragionevolezza e logicità dell’azione amministrativa”. Il bando, infatti, prevedeva che il concorso si dovesse svolgere “mediante valutazione dei titoli e verifica dei requisiti e delle attitudini professionali integrato dal colloquio” e che la stessa lex specialis attribuiva “perlomeno tendenzialmente pari rilevanza alla valutazione dei titoli posseduti dai candidati e alla verifica dei requisiti e delle attitudini professionali integrata da colloquio”. In sostanza, secondo la sentenza, l’Amministrazione aveva “chiaramente inteso affidare la selezione dei candidati meritevoli ad un equilibrato bilanciamento tra, da un lato, il percorso formativo e professionale degli aspiranti (espresso dalla valutazione dei titoli puntualmente individuati nell’art. 7 del Bando, quali i titoli accademici e di studio, i titoli di servizio e gli incarichi conferiti da pubbliche amministrazioni, nonché le pubblicazioni scientifiche e accademiche) e, dall’altro lato, le competenze acquisite, le capacità manageriali e la preparazione teorica dei medesimi (da valutare, per contro, nell’ambito della prova orale)”. Come, del resto, confermato dalla previsione che durante il colloquio ai candidati fosse richiesto di esporre il proprio percorso formativo e professionale “(vale a dire quello oggetto della valutazione per titoli), appunto al fine di accertare le competenze acquisite il possesso delle capacità manageriali, per valutare l’attitudine allo svolgimento delle funzioni dirigenziali”.
E proprio dal Bando che i giudici amministrativi hanno individuato “la volontà dell’Amministrazione di selezionare i candidati anche in virtù del percorso formativo e professionale svolto e, quindi, il perlomeno tendenziale equilibrio nel rilievo dei due profili valutativi indicati dal Bando, come due distinti – ma insuperabilmente connessi – aspetti del bagaglio personale e professionale dei candidati ai quali infatti, come detto, era assegnato identico peso in termini di punteggio complessivo rilevante per la valutazione finale”.
Di contro, la sentenza rileva come la Commissione esaminatrice, nello stabilire i criteri di valutazione dei titoli e, in particolare, nell’indicare il punteggio da attribuire alle singole voci valutabili “ha operato in sostanziale difformità dalle chiare indicazioni” contenute nel Bando, “così pervenendo, nella pratica, a tradire le disposizioni” dello stesso e le sue finalità. Infatti era previsto che la Commissione esaminatrice dovesse individuare “il punteggio da attribuire ai titoli nell’ambito delle sotto indicate categorie, nel limite dei seguenti punteggi massimi attribuibili: a) Titoli accademici e di studio: fino a 20 punti; b) Titoli di servizio: incarichi di direzione e gestione di uffici, di consulenza, di studio e di ricerca, presso soggetti pubblici o privati: fino a 30 punti; c) Incarichi conferiti formalmente da amministrazioni pubbliche: docenze, commissione d’esame, nuclei di valutazione e altri incarichi assimilabili: fino a 10 punti; d) Pubblicazioni scientifiche e accademiche attinenti alla materia tributaria e all’attività istituzionale dell’Agenzia: fino a 10 punti; e) Partecipazione documentata a commissioni o gruppi di lavoro o comitati presso amministrazioni pubbliche attinenti alla materia tributaria e alle attività istituzionali dell’Agenzia: fino a 15 punti; f) Giudizio globale culturale e professionale: fino a 15 punti”. Tuttavia, richiamando il verbale n. 2 del 10 Febbraio 2016 il Giudici amministrativi hanno contestato alla Commissione di aver “talmente diluito il peso in termini di punteggio attribuibile, da rendere, nella pratica, impossibile non soltanto il conseguimento, in una delle sottocategorie, del punteggio massimo previsto dal Bando, ma pure il conseguimento di un punteggio anche soltanto significativo rispetto al valore assegnato dal medesimo Bando alla valutazione dei titoli, sia con riguardo al peso ponderato delle categorie di titoli, che con riguardo al peso dei titoli sulla valutazione finale”. Lo dimostra il fatto che il candidato che ha conseguito il più alto punteggio per titoli ha ricevuto una valutazione di 11,60 su 100, pari ad appena poco più del 10% della valutazione astrattamente conseguibile per i titoli e, addirittura, pari ad appena il 5% sulla valutazione complessiva che il Bando richiedeva di esprimere “in duecentesimi”.
Ad esempio, nell’ambito dei titoli accademici e di studio, per i quali il Bando stabiliva il punteggio massimo di 20, la Commissione ha deciso di attribuire ad ogni laurea magistrale ulteriore rispetto a quella utilizzata come requisito di accesso al concorso, se conseguita in materie attinenti alle attività istituzionali dell’Agenzia, il punteggio di appena 0,5, per ogni master universitario di secondo livello e di primo livello rispettivamente i punteggi di 0,75 e 0,5. “Pertanto – si legge nella sentenza – un candidato teoricamente in possesso di 16 lauree avrebbe conseguito un punteggio di 15 punti su 20”. La stessa discrasia si è verificata per le pubblicazioni per le quali nel Bando era previsto un punteggio massimo di 10 punti. La Commissione ha indicato il punteggio di 0,6 per ciascun “Libro” pubblicato come “Autore”, e 0,3 per ciascun “Libro” pubblicato come “Coautore”, e 0,05 per ciascun “articolo” pubblicato su “riviste di settore” e quello di 0,01 per “pubblicazioni in atti congressuali”. Ciò significa in altri termini – si legge nella sentenza – “che pure se si fosse verificata l’ipotesi, in verità di scuola, di un candidato che avesse scritto e pubblicato 5 monografie come unico autore e 3 monografie come coautore, 40 articoli e 50 pubblicazioni in atti congressuali, tutti attinenti alle materie rilevanti, lo stesso non avrebbe comunque conseguito il massimo punteggio previsto”.
Tutto in contrasto con la lettera e con lo spirito del Bando, con la conseguenza, già rilevata, che la selezione dei candidati in concreto si è svolta sulla valutazione conseguita nel colloquio orale tant’è che effettivamente nessun candidato ha superato la soglia dei 100 punti sui 200 a disposizione, “il che significa che la valutazione selettiva chiesta dal bando è stata in sostanza dimezzata”. La sentenza chiarisce che pur nella discrezionalità propria della Commissione di concorso “essa incontrava innanzitutto il limite delle previsioni della lex specialis, che non potevano essere disattese e che avevano delineato una procedura selettiva per titoli e colloquio con ripartizione del peso del relativo punteggio”. In sostanza, “le scelte della Commissione divergono dall’invece necessario canone di razionalità operativa”.
Trattasi di una deviazione della lettera e dalle finalità del Bando che non poteva sfuggire alla direzione dell’Agenzia in sede di approvazione della graduatoria di merito. Ciò che getta un’ombra sull’attività della medesima direzione la quale diventa colpevolmente complice degli svarioni della Commissione e delle conseguenti responsabilità, anche sul piano del probabile danno erariale prodotto, oltre che dalla condanna alle spese processuali, dal vistoso “disservizio” che si è venuto a determinare. Infatti, l’annullamento della graduatoria ha l’effetto, per coloro i quali hanno assunto le funzioni, di determinare la sospensione delle stesse. Insomma, quei dirigenti, dal momento della notifica della sentenza non possono sottoscrivere atti. Non sappiamo al momento se l’Agenzia delle entrate ricorrerà al Consiglio di Stato ma, di fronte a fatti eclatanti, chiarissimi nella loro illegittimità, se lo farà darebbe soltanto una prova di arrogante persistenza nell’errore, così marchiano da non essere ammissibile per chi svolge una funzione pubblica.