di Salvatore Sfrecola
Il Ginnasio – liceo Terenzio Mamiani, storico istituto romano del quartiere Della Vittoria, erroneamente indicato come Prati, “restituito dagli studenti dopo 10 giorni (di occupazione) è in condizioni disastrose”. Così titola La Repubblica, un giornale che in varie occasioni ha giustificati la protesta degli studenti che quei locali hanno sottratto alla normale attività didattica. “Cicche a terra, water otturati, rifiuti e scatoloni schiacciati, scritte sui muri come “Balduina regna” e “free party is not a crime”. E c’è da chiedersi cosa c’entri l’occupazione della scuola e soprattutto il danneggiamento di un bene pubblico, che appartiene alla comunità e quindi anche agli studenti e alle loro famiglie, con la protesta che ha le connotazioni evidenti di una posizione politica che poco o niente ha a che fare con i problemi reali della scuola. Quella scuola che il governo Meloni intende emancipare dall’esperienza degli ultimi decenni nei quali si è progressivamente abbassato il livello dell’insegnamento, così realizzando quella che è stata definita una scuola “di classe” perché non garantisce una par condicio agli studenti, di fatto favorendo solamente coloro i quali hanno alle spalle una famiglia che assicura loro quel complemento di istruzione oltre la scuola per assicurare ai giovani una preparazione di base idonea a farli emergere negli studi universitari e, poi, nelle professioni.
Il Governo intende valorizzare il merito, migliorando l’offerta formativa, così consentendo a quanti attuano un particolare impegno di conquistare livelli più alti del sapere. In sostanza, assicurata a tutti una pari condizione di partenza, servizi adeguati e un insegnamento qualificato, potrà emergere chi avrà dimostrato di impegnarsi. In questo modo la scuola offrirà un servizio di qualità del quale tutti potranno avvantaggiarsi in relazione all’impegno di ciascuno, in vista della partecipazione alla vita sociale e di lavoro.
Non si comprende, dunque, il motivo della protesta per un indirizzo didattico che non toglie nulla a nessuno, anzi intende stimolare un impegno che è la ragione della scuola pubblica, quella di contribuire a formare i cittadini ed i futuri professionisti.
In. ogni caso, anche se la protesta fosse giustificabile sotto il profilo di alcuni denunciati tagli alla didattica o dello stop all’alternanza scuola lavoro, che certamente il ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, non avrà difficoltà a valutare, l’occupazione ed il danneggiamento dei locali costituiscono condotte illecite, che integrano fattispecie delittuose che l’ordinamento prevede e punisce. In particolare, il danneggiamento, oltre a prevedere una sanzione penale comporta un obbligo di risarcimento dei danni provocati.
Ho scritto in proposito altre volte che l’occupazione delle scuole è un atto illegale, fin qui tollerato dall’autorità governativa e di pubblica sicurezza all’evidente scopo di evitare scontri con gli studenti. È un reato, perché interrompe un pubblico servizio. Ed è un comportamento che dovrebbe essere estraneo al mondo della scuola perché impedisce ai docenti di svolgere il lavoro per il quale sono retribuiti, ed agli studenti che volessero assistere alle lezioni di esercitare quello specifico diritto.
L’interruzione del servizio, inoltre, costituisce un danno per lo Stato per la parte di retribuzione che si riferisce a prestazioni (le lezioni) non potute effettuare. A questo danno, che si configurerebbe anche in assenza di danneggiamento dei locali, si aggiunge il costo del ripristino degli ambienti e la sostituzione delle suppellettili deteriorate, un costo che non può rimanere a carico dei bilanci delle istituzioni scolastiche. Perché la regola “chi rompe paga” impone di individuare i responsabili che non possono che essere gli studenti che hanno partecipato all’occupazione. Non è escluso che possa essere astrattamente individuata anche una responsabilità della dirigenza della scuola che avrebbe dovuto impedire l’occupazione, anche chiedendo l’intervento della forza pubblica, ma in concreto, sicuramente di coloro i quali hanno partecipato all’occupazione dei locali.
La scuola dovrebbe procedere a chiedere il risarcimento ai genitori dei ragazzi.