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L’italiano, l’anima della nostra Nazione. L’intervista di Sangiuliano a Il Messaggero e lo scritto di Malgieri su Formiche

di Salvatore Sfrecola

“La lingua è l’anima della nostra nazione. Il tratto distintivo della sua identità. Il secolo scorso insigni studiosi del calibro di Croce, Gentile, Volpe hanno a lungo argomentato sulla circostanza che l’Italia sia nata molto prima della sua consacrazione statutaria e unitaria. l’Italia nasce intorno a quella che fu definita la “lingua di Dante”. Gennaro Sangiuliano, Ministro della cultura, giornalista e saggista, docente universitario, interviene, in un’intervista a Il Messaggero, in risposta all’invito del quotidiano romano che aveva sostenuto, a firma di Federico Guiglia, la necessità che la lingua nazionale sia indicata nella Costituzione, come avviene in altri ordinamenti. Del resto, lo era già nello Statuto Albertino il quale, all’articolo 52, aveva specificato che “la lingua italiana è la lingua ufficiale delle Camere”.

Non è, ovviamente, solamente una sollecitazione ad un dato formale. L’intenzione del giornale è quella di avviare una campagna sull’italiano, “come lingua non solo da difendere, ma anche da rilanciare, da promuovere, per farla diventare non solo un tratto caratteristico di una nazione ma anche di integrazione per chi viene nel nostro Paese”.

“Credo – dice in proposito Sangiuliano – che un certo abuso dei termini anglofoni appartenga ad un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana. E anche della sua lingua”. Che è molto più diffusa di quanto si ritenga. Perché l’italiano è la lingua non solo del “sommo Poeta”, ma anche di una fiorente letteratura, della poesia, dei filosofi e degli storici. L’italiano si accompagna ad una straordinaria produzione artistica e musicale. Il linguaggio dell’armonia delle note è italiano. Un complesso di valori per i quali la nostra lingua è ovunque all’estero tra le seconde scelte negli istituti di istruzione.

È sintomatico che il dibattito si sviluppi alla vigilia dell’anno nel quale sarà celebrato il centocinquantesimo della morte di Alessandro Manzoni (22 maggio 1873). Poeta e romanziere, ma anche patriota. Ricorda il figliastro Stefano Stampa, “prediceva che se l’Italia avesse raggiunto la sua unità ed ottenuta una gran capitale, questa, alla lunga sarebbe diventata il centro e la norma della lingua di tutta la nazione… E siccome in allora la speranza di aver capitale Roma sembrava una follia; il Manzoni si rallegrò quando la capitale fu trasportata a Firenze, perché sperava che sarebbe diventato più facile per l’Italia, l’ottenerne l’unità della lingua, preparatrice dell’unità politica”.

Del resto, il milanese Manzoni, che aveva attribuito al fiorentino Dante un ruolo essenziale nell’unificazione linguistica, sociale e culturale del Paese, nel 1827 si era recato a Firenze per “risciacquare i panni in Arno”, per sottoporre ad una definitiva revisione linguistica la sua opera, “I promessi sposi”, una tra le opere cardine dell’intera letteratura italiana. Non l’autore “dei giovani”, anche se si studia a scuola, come scrive Alberto Chiari, filologo e critico letterario, docente di lingua e letteratura italiana all’Università Cattolica del Sacro Cuore, in apertura di un volumetto di “classe unica” del 1960, la collana della RAI che tanto ha contribuito alla diffusione della cultura. Non è dei giovani “perché passa per troppo saggio, e quindi noioso; e troppo misurato, e quindi freddo; e per troppo semplice, e quindi privo di passione. Ed è invece, per chi ha maggior maturità di giudizio, una continuata meraviglia di comprensione e di partecipazione, intensissima, a tutti gli aspetti della vita. Solo che richiede, in principio, e almeno per alcuni, un po’ di confidente attenzione; e l’attenzione non tarderà a tramutarsi in ammirazione, altissima, perché Alessandro Manzoni è l’unico che, per grandezza e di mente e di cuore e d’arte, possa essere avvicinato al sommo di tutti, Dante Alighieri”.

Quello del ruolo della lingua non era occasionale in Manzoni. Il 19 febbraio del 1868 la Nuova Antologia pubblica “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla”, Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione “proposta agli Amici Colleghi Bonghi e Carcano, ed accettata da loro”. Nell’aprile dello stesso anno scrive a Ruggero Bonghi la “Lettera intorno al Vocabolario”.

Sollecitazioni che coglie il Ministro “della cultura” che condivide, con il Collega dell’istruzione, Giuseppe Valditara, anche se in forme diverse, il compito di assicurare l’unità della lingua e di diffonderla. E richiama il filosofo del diritto Felice Battaglia per il quale “la lingua che è forse uno dei fattori di quell’unità, perché mediazione di vita sociale, che facilita i rapporti collettivi, anzi li promuove, che lega le espressioni più alte dalle generazioni passate alle venture, che sublima il genio nella continuità d’una tradizione”.

E per evitare che il solito improvvido sinistro lo accusi di essere “un po’ reazionario” Sangiuliano richiama anche Antonio Gramsci che nell’opera “Letteratura e vita nazionale” poneva con estrema chiarezza il tema dell’unità organica tra letteratura e lingua nazionale da un lato, e lo sviluppo della nazione italiana dall’altro.

Nello stesso giorno dell’intervista a Sangiuliano, il 29 dicembre 2022, Gennaro Malgieri, una delle espressioni più lucide della cultura di destra, scrive su Formiche “Perché la lingua italiana va protetta”. Il suo è un “allarme” perché “la nostra identità si sta disfacendo, inutile negarlo, anche perché parliamo male, ci esprimiamo in maniera approssimativa, diamo poco peso alla diffusione all’estero della nostra lingua e della nostra cultura. Sarà un compito ben arduo maneggiare questa materia da parte dei governanti se vorranno mettere le cose a posto e scongiurare la balbuzie culturale che sta divorando una grande tradizione”.

E a proposito dell’inserimento in Costituzione della lingua italiana Malgieri sottolinea come la proposta “è il sintomo evidente di un’esigenza che non può ancora essere tenuta fuori dalla discussione politica e culturale: riconoscere la nostra lingua come parte integrante e fondamentale dell’identità italiana. La cui affermazione, in un contesto che tende all’omogeneizzazione dei modelli culturali e sociali, è oggi più che mai essenziale, come attestano le ambiziose riforme e i grandi progetti in questo settore perseguiti non solo dalle nazioni che vantano un’antica tradizione di valorizzazione linguistica, come la Francia e la Gran Bretagna, ma anche da Paesi, come la Spagna, giunti solo negli ultimi anni a sviluppare una rete istituzionale di promozione culturale, che però hanno acquisito una chiara consapevolezza dell’importanza strategica di questo settore”.

Ed è proprio il processo di globalizzazione in atto, che rende strettamente interconnessi gli aspetti politici, economici, sociali e culturali, ad esigere la valorizzazione degli aspetti identitari, distintivi di una cultura e, quindi, di una Nazione. Malgieri segnala “l’insufficienza delle risorse umane, finanziarie e infrastrutturali, impiegate nel sistema degli istituti italiani di cultura all’estero, specie se paragonate con quelle investite da altri governi europei; il mancato coordinamento tra l’amministrazione centrale, gli istituti, gli enti locali, come le regioni e i comuni, e le istituzioni culturali pubbliche e private; il progressivo abbandono della promozione linguistica in favore di iniziative genericamente culturali, spesso non rispondenti a criteri di qualità”. Un assist, si direbbe, al Ministro della cultura che certamente quelle esigenze ha bene presenti e che può sollecitare anche il Ministero degli affari esteri perché gli istituti di cultura italiana all’estero hanno bisogno anche di una sostanziale revisione del loro ordinamento “per correggerne le carenze e per adeguare ai tempi lo strumento normativo, tenendo particolarmente conto della sempre maggiore integrazione europea”.

In questo contesto un ruolo fondamentale lo ha il Ministro Valditara. A lui spetta, come già accennato, favorire la valorizzazione dell’insegnamento della lingua e della letteratura italiana in un tempo nel quale l’uso smodato dei cellulari ha limitato anche le espressioni nelle quali si manifestano le comunicazioni, private di quella varietà di sostantivi e aggettivi che arricchiscono la nostra lingua. Anche per ricordare agli studenti che l’esigenza di scrivere e parlare in un buon italiano non è solamente dei letterati ma di tutti, anche dei tecnici, perché un ingegnere, tanto per fare un esempio, nella sua vita professionale sarà impegnato a presentarsi per un’offerta di lavoro od a descrivere un progetto o un programma. E sarà valutato per come si esprimerà e per come faciliterà l’ascolto. Ne va del riconoscimento di aspettative professionali che segnano la vita. Che saranno riconosciute, se presentate in un buon italiano.

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