lunedì, Novembre 25, 2024
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La contrazione delle spese alimentari, un segnale che deve preoccupare

di Salvatore Sfrecola

L’economia ha delle regole con le quali chi governa deve sempre fare i conti. Leggo su Il Giornale del 12 che “gli italiani tagliano il cibo. Meno 6,3% la spesa alimentare. I numeri sulle vendite al dettaglio di novembre sono preoccupanti”. È l’effetto dell’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione che ha eroso il “potere d’acquisto delle famiglie.

Facciamo qualche riflessione. Minori vendite significa riduzione delle produzioni, forse, se la situazione persiste, esuberi di personale. Non solo. Minori vendite determinano minori incassi di iva, un’imposta importante nel quadro delle entrate tributarie dello Stato. Basti pensare, come sottolinea Francesco forte nel suo libro “Il bilancio nell’economia pubblica”, che Tacito ricordava che la “tassa sugli scambi era il pilastro della finanza dell’Impero”. La tassa sugli scambi, la nostra iva, appunto. Un’imposta come tutti i tributi indiretti tradizionalmente ritenuta ingiusta, forse perché rimane ancora nella mente di molti il ricordo della “tassa sul macinato”.

L’iva, invece, è una imposta importante, in primo luogo perché la pagano tutti coloro che effettuano acquisti, anche gli evasori dell’imposta sui redditi,  in secondo luogo perché è un tributo straordinariamente flessibile, nel senso che si può stabilire l’aliquota in relazione alla natura del bene e alla necessità di incrementarne o ridurne il consumo. Così l’iva può essere minima sui beni di prima necessità, latte, pane, carne o di interesse sociale, come i libri e le attività culturali, mentre può essere incrementata per beni di lusso o comunque voluttuari. Comunque, sempre con cum grano salis perché anche l’acquisto dei beni di lusso non va disincentivato per non colpire le produzioni che, in ogni caso, riguardano filiere importanti e di interesse per il Paese. Si pensi alle auto di lusso, alla moda, alla cantieristica, tutti i settori che sono presenti in misura rilevante nell’export italiano.

Queste brevi considerazioni per sottolineare l’interdipendenza delle vicende dell’economia, dove le produzioni generano lavoro che si trasforma in consumi i più vari che, a loro volta, determinano ulteriori produzioni, nuova occupazione ed entrate fiscali.

A volte si ha l’impressione che i governi ragionino più che da economisti da semplici contabili, con tutto il rispetto per questa categoria. Il governo Meloni si è appena insediato e non ha potuto ancora dare dimostrazioni compiuta se appartiene alla specie degli economisti od a quella dei magistri computorum. Qualche considerazione, dunque, assolutamente neutrale che vale come promemoria per tutti i governi.

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