di Salvatore Sfrecola
“C’è qualcuno ancora vivo e attivo tra i liberali disposto a farsi sentire?”, si è chiesto “da non liberale” Marcello Veneziani su Panorama del 26 marzo 2022, al termine di un’analisi dello stato di salute del movimento liberale, all’indomani della morte di Antonio Martino “liberale e gentiluomo. Facile la tentazione di definirlo l’ultimo liberale”. Perché molti si definiscono liberali o fanno riferimento a principi liberali ma pochi possono dirsi effettivamente appartenenti a quella antica tradizione che da Camillo Benso di Cavour a Benedetto Croce, a Luigi Einaudi ha assicurato al pensiero politico e all’azione parlamentare e di governo la tutela piena dei diritti individuali di libertà, il senso dello Stato e della dignità nazionale. Questa idea della libertà che nel corso degli anni è stata rappresentata da politici come Malagodi, Zanone, Bozzi, Biondi, Costa, è stata sempre di una minoranza che si è a volte divisa tra una tendenza radicale di Sinistra, che sa un po’ dei liberal angloamericani, ed una più marcatamente di destra, come con nel caso di Valerio Zanone o di Raffaele Costa, con esperienze di governo insieme a Forza Italia, il partito presentato come il “Partito Liberale di massa” da Silvio Berlusconi che ne sembra convinto in ragione della adesione a Forza Italia di alcuni politici provenienti dal Partito Liberale Italiano, come Antonio Martino, tessera n. 2 del partito del Cavaliere, appunto, Alfredo Biondi, Egidio Sterpa e Raffaele Costa. “Ci legano a quella storia – ha affermato Berlusconi in occasione delle manifestazioni per il centenario della fondazione del Partito Liberale – soprattutto le idee e i principi liberali” sui quali mettere le fondamenta “per garantire all’Italia un futuro di libertà”. Quelle libertà che, a tratti, sembrano compresse in presenza di una informazione prevalentemente omologata e di una mentalità decisamente illiberale che si è manifestata più volte negli ultimi tempi, come quando è stato impedito ad un artista di nazionalità russa di dirigere un’orchestra o annullata una manifestazione in ricordo dell’opera di Dostoevskij in tempo di aggressione russa all’Ucraina, atto infame, certamente, ma che non può giustificare la censura dell’arte della quale tutti riconoscono il valore universale.
Il fatto è che la vita politica e l’informazione sono stati a lungo dominati da un mix perverso di ex comunisti uniti in un innaturale consorzio con ex democristiani, gli uni e gli altri poco attenti ai valori individuali di libertà del pensiero. In questo quadro desolante, insieme all’Associazione dei liberali, del Michele D’Elia, ha preso forma in questi anni una Destra Liberaledi matrice più squisitamente risorgimentale, più cavouriana si potrebbe dire, tanto che si fa conoscere attraverso la rinnovata testata de l’Opinione delle libertà fondata il 26 gennaio 1846 al tavolo de “Il Cambio”, lo storico ristorante torinese di fronte a palazzo Carignano, all’epoca sede del Parlamento del Regno di Sardegna, per iniziativa di un gruppo di liberali, Giacomo Durando, Massimo Cordero di Montezemolo, Urbano Rattazzi, Giuseppe Cornero e Giovanni Lanza, che del giornale fu il primo direttore. La Destra Liberale, che oggi fa capo all’onorevole Giuseppe Basini, uno scienziato, astrofisico di fama internazionale, va al suo III Congresso il 4 Febbraio nel salone dell’Hotel Massimo d’Azeglio di Roma, è vicina alla Lega, della quale Basini è stato deputato, alla quale avrebbe dovuto assicurare, in ragione della sua matrice risorgimentale, quella vocazione nazionale capace di sanare, agli occhi degli italiani, l’originaria vocazione separatista che ha contraddistinto la “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” di bossiana memoria. Operazione non riuscita, tanto che la Lega nei più recenti sondaggi perde consensi anche al Nord e non sfonda al Sud.
Liberali, dunque, a raccolta? Per seguire l’invito antico (Corriere della Sera del 2 marzo 2017) del Presidente della “Fondazione Einaudi”, Giuseppe Benedetto, richiamava i liberali “a mettere da parte il loro pernicioso egocentrismo e provare ad organizzare battaglie politiche su temi che sono loro propri: più Europa della ragione, un Fisco non vessatorio, una giustizia che serva “il” e “al” al cittadino e non agli addetti ai lavori”.
La speranza è, dunque, quella che fa intravedere Veneziani, che qualcuno dei liberali “superstiti” voglia “farsi sentire” nell’interesse dell’Italia e degli italiani, in ragione di quei principi liberali per i quali Cavour diceva di essere “quel che sono”, perché è certo che questa stagione, dopo il naufragio di populisti alla Grillo e alla Renzi, deve riprendere la strada delle grandi riforme, coerenti con la sua migliore storia politica e di governo, quella dei Cavour e dei Giolitti che illuminarono il loro tempo con iniziative incisive, capaci di valorizzare la libertà di iniziativa dei privati in un contesto generale nel quale lo Stato sia dalla parte di chi opera nell’interesse generale per la crescita economica e sociale.
Sotto la Presidenza di Giuseppe Basini e di Alessandro Sacchi, Presidente dell’Unione Monarchica Italiana, sono previsti i saluti dell’on. Cinzia Bonfrisco e la relazione del Segretario Prof. Michele Gerardi cui seguiranno gli interventi del Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, delle Imprese del Made in Italy, Adolfo Urso, e gli on.li Rita Bernardini, Gianluca Cantalamessa, Andrea Crippa, Claudio Durigon, Maurizio Gasparri, Ettore Rosato, Giulio Terzi di Sant’Agata, Paolo Trancassini. Nel pomeriggio si terrà una tavola rotonda su “Informazione e libertà” cui parteciperanno A. Mancia, A. Ruggeri, A. De Angelis, T. Cerno e A Falconio.
Ce n’è abbastanza perché si senta alta e forte la parola dei liberali, quanto mai necessaria in un momento storico che si annuncia ricco di proposte di riforme di carattere istituzionale, economico e sociale.
Le ragioni di una testimonianza, ha scritto Giuseppe Basini in una lettera ai congressisti “sulle motivazioni della necessità di una Destra liberale”, vanno individuate nella considerazione che “per un liberale non è solo questione se sia o meno conveniente che il potere pubblico (anche il più democratico) imponga una scelta, ma prima di tutto se e quando abbia il “diritto” di farlo”. Nel senso che “i principi fondamentali di libertà personale sono innati e non possono mai essere negati, neanche democraticamente”. E cita Jefferson: “In materia di potere, smettiamola di credere alla buona fede degli uomini, ma mettiamoli in condizione di non nuocere con le catene della Costituzione”.
Aggiunge Basini che “il liberalismo è un concetto più generale della semplice democrazia, perché pone comunque dei limiti a qualunque potere. E, in questi precisi termini, solo i liberali ideologici sanno e soprattutto vogliono, esprimersi”. E mette l’accento “sui pericoli nuovi per la libertà. Oggi la situazione è radicalmente peggiorata per l’imponenza dei mezzi a disposizione dei governi e delle multinazionali globalizzanti che può rendere più pervasivo e totalizzante ogni disegno liberticida. Controlli elettronici, schedature incrociate, telecamere e microspie, polizie centralizzate, armi sofisticate, droni, internet, la società collettivizzata ha trasformato grandi scoperte tecniche in strumenti attraverso i quali la volontà dei tiranni (che possono anche essere macchine automatiche) e dei loro rappresentanti, può effettivamente essere trasmessa dal vertice alla base, fino a regolare rigidamente la vita di ogni singolo cittadino, fino a spiare, giudicare, orientare, soffocare e punire ogni comportamento deviante. I network di massa sono canali attraverso i quali, se sapientemente orientati, può essere più facilmente ottenuto l’ottundimento delle coscienze, la scomparsa del senso critico e l’acquisizione di un consenso totalitario e massificante”.
Insomma, “il problema della tirannide assume ai giorni nostri un rilievo ben maggiore che in passato e inoltre non riguarda più solo le dittature conclamate, ma anche tante pseudo-democrazie o “democrature”, che riducono le elezioni a un rito formale utile per mascherare, con una democrazia finta, una perdita di libertà personale vera”.
Per Basini “l’Europa resta per noi la sola e vera possibilità di riprendere nelle nostre mani il nostro destino. L’Europa delle leggende, della musica, dei castelli, dei chiostri, dei codici miniati e del diritto, delle arti e della scienza, degli aratri e delle forge, quell’Europa cristiana e illuminista, dei diritti dell’uomo, che abbiamo costruito mischiandoci e facendoci la guerra. Un’Europa Patria anch’essa, che è l’unico modo per restare cittadini Italiani, Francesi, Tedeschi o della piccola Slovenia. Purché però si applichi un principio liberale di sussidiarietà, che l’Europa cioè non faccia ciò che possono fare le nazioni, queste non sostituiscano i poteri locali e che questi ultimi non ritengano di poter imporre, ai liberi cittadini e alle loro proprietà, regole e comportamenti assurdamente irreggimentati, spesso secondo mode o semplici opinioni personali di sindaci e mini governatori guappi, che, alla lunga, potrebbero innescare forme di disobbedienza civile alla Thoreau. E che le crisi, dalle guerre alle pandemie, non siano pretesto per il ritorno a poteri assoluti, come purtroppo è stato dato di vedere con il Coronavirus”.
Una considerazione finale Basini presenta ai congressiti: “c’è un valore che la destra e il centrodestra classici hanno tradizionalmente cercato di preservare ed è la libertà. Storicamente è stato così. Scegliendo una parte, la destra appunto, nelle aule delle nascenti assemblee rappresentative europee, si scelse di leggere la storia in un certo modo, si scelse di essere eredi di certi valori e di certi interessi, si scelsero tradizione, aristocrazia, bellezza, proprietà privata, elitarismo, ma, soprattutto, si scelse la libertà. Anche se per un lunghissimo periodo era stata la libertà di pochi”. Intanto scienza e sviluppo marciavano e, “proprio nelle società più libere, cambiavano la vita di tutti. Il vapore, la stampa, l’elettricità, l’accumulo di capitale e la rivoluzione liberale borghese, cominciavano a permettere la diffusione del benessere, dell’istruzione e la settimana di quaranta ore, cominciavano insomma a fare della plebe popolo. L’irrompere delle masse nella vita politica, diventava così – nei Paesi occidentali – l’irrompere di milioni di nuovi cittadini, in grado di cominciare a comprendere le trasformazioni, di partecipare, di ricercare la cultura e l’elevazione sociale. Ed era la destra assai più della sinistra, che pure l’aveva ostentatamente cercata, l’artefice di questa trasformazione sociale, era il successo del metodo della libertà elitaria, su quello dell’uguaglianza coatta, era il successo dei paesi liberal-nazionali su quelli social-comunisti”.
“Noi difendiamo la Persona”, conclude Basini. “Oggi, finalmente, sembriamo in grado di vincere la “battaglia delle idee e delle parole”, imponendo come discrimine le scelte che quelle idee sottendono, invece di subire divisioni imposte dalle parole del social-comunismo e questo perché un centro-destra, diviso da un secolo drammatico in spezzoni legati a passati diversi, è apparso finalmente in grado di riunirsi nel nome di una visione tradizionale e di un impegno per il futuro. Ricordiamocelo quando le polemiche partigiane rischiano di dividerci. È un’enorme responsabilità quella che incombe sulla destra, ma una responsabilità cui non può sottrarsi, perché la battaglia coi nemici della Libertà, con gli integralisti, con gli eredi di Sparta, non è finita.
E il nostro posto è – e non può non essere altro – che a destra tra le forze della Libertà, su quella linea politica che fu di Reagan (il più grande del Novecento) e in quella corrente di pensiero che fu di Friedman, Popper, Von Hayek e Von Mises, Martino e della Mont Pelerin Society, ma soprattutto, riprendendo una gloriosa tradizione Italiana, quella della Destra Storicache, mantenendo in ordine il bilancio, scolarizzò il Paese, estese ovunque le ferrovie, creò la nostra prima industria pesante e, soprattutto, unificò la Nazione nella Libertà. Gli echi di quella Destra esistevano ancora quando Einaudi, Don Sturzo, Pella, Malagodi, Maranini, esercitarono la loro azione contro una sinistra sempre vittima dello stesso, tragico, errore di fondo: il negare valore all’individuo, alla persona”.