di Salvatore Sfrecola
Qualcuno che sa far di conto, semplicissimo per la verità, ha diviso il totale delle riscossioni dei canoni demaniali marittimi per il numero delle concessioni. E se il calcolo è esatto fa 4000 euro l’anno. Lo stato, in sostanza, proprietario degli arenili che concede in uso per attività turistico ricreative, non è quel che si dice un buon padre di famiglia. Nel senso che non ritrae dal patrimonio un utile come qualunque cittadino pretenderebbe da un immobile dato in locazione, secondo le regole del mercato. La scelta di canoni irrisori, dunque, costituisce un danno per il bilancio pubblico che potrebbe, con maggiori entrate, ridurre il carico fiscale dei contribuenti o erogare maggiori o migliori servizi agli italiani.
La normativa europea prevede oggi che quelle aree siano messe all’asta, sicché ogni imprenditore potrà verificare la convenienza di un’offerta tale da superare i concorrenti. Del resto la concorrenza tra gli imprenditori è, al di là della disciplina europea, una regola che stimola il miglioramento delle prestazioni, calmierando, nel contempo, i prezzi dei servizi offerti al pubblico.
Veniamo adesso alle ragioni della nota ostilità di parti della politica ad avviare le gare e valutiamole per capire se il monopolio degli attuali gestori è giustificato. I canoni modesti vengono spesso ritenuti una scelta dell’Autorità nella considerazione che i gestori svolgono una funzione pubblica, cioè tengono puliti gli arenili. L’argomento, a ben vedere, è risibile. Sarebbe come se il proprietario di un immobile riducesse il canone dell’affitto perché il locatario tiene la vetrina pulita e il pavimento lucido. È evidente che quella cura rientra negli oneri di chi per mezzo dell’immobile esercita una funzione commerciale remunerativa, anzi, nel caso delle concessioni balneari, altamente remunerativa.
Si sente poi dire che le gare potrebbero far perdere la concessione ad imprese, spesso in forma familiare, da anni titolari della concessione. L’argomento è fragile, vale per qualunque attività imprenditoriale. E comunque nel disciplinare di gara si possono richiedere, com’è d’uso, esperienze pregresse nello specifico settore, la dimostrazione del rispetto delle regole sulla retribuzione dei dipendenti, sul pagamento dei contributi previdenziali e sul pagamento delle imposte.
Da ultimo si sente dire che alle gare parteciperebbero anche imprese straniere le quali potrebbero, avendo a disposizione capitali ingenti, escludere gli attuali gestori. È la logica del mercato. Nessuno, tuttavia, impedisce agli attuali concessionari di organizzarsi in forma consortile per esprimere una forza economica capace di battere la concorrenza.
Ma c’è un altro argomento, subdolo, con il quale si intende spaventare i cittadini perché, si dice, coloro che vincono le gare con una offerta elevata, sarebbero indotti a maggiorare le tariffe, i prezzi di bar e ristoranti. Una conseguenza tutta da dimostrare perché l’esperienza dimostra il contrario. La concorrenza si fa anche riducendo le tariffe e migliorando i servizi, come dimostra il servizio ferroviario che, con la presenza di Italo, sconta tariffe più convenienti, offerte speciali per talune tratte e per taluni giorni, soprattutto nei periodi di vacanze.
Da ultimo non va trascurata la preoccupazione di alcuni politici che temono di perdere voti, quelli dei concessionari e delle loro famiglie, non evidentemente dei lavoratori che troverebbero collocazione presso i nuovi concessionari. Perderanno qualcuno, forse, ma con la disciplina della concorrenza l’Italia diventa un Paese liberale dove valgono le regole del mercato, sia pure mediate dall’autorità pubblica, come nel riferimento ai requisiti di gara.
È vero che la democrazia vive del consenso. Ed allora i politici dubbiosi tengano presente il consenso che verrebbe dai cittadini, utenti dei servizi di balneazione e di ristorazione in vista del mare, che lamentano tariffe elevate e in taluni casi osservano anche che, se non si chiede, spesso lo scontrino fiscale non emerge dal registratore di cassa.