di Salvatore Sfrecola
“Siccitoso”, ovvero “che soffre abitualmente di siccità, per mancanza o scarsità di piogge, di corsi d’acqua, di mezzi d’irrigazione”, così nel vocabolario Treccani (IV, 313), riferito al clima, ad una zona, ad una regione. Questo aggettivo, che un tempo ignoravo, ricorre sempre più spesso nelle cronache che ci dicono che, poiché piove poco e poco nevica, i fiumi ed i laghi sono al minimo storico e le falde non vengono adeguatamente alimentate, sicché i cittadini si preoccupano. E immaginano razionamenti.
Se si fossero preoccupati anche i nostri governanti nei decenni che abbiamo alle spalle forse sarebbero corsi ai ripari, cominciando dalla cura della manutenzione della rete idrica nazionale che perde oltre il 50% della portata come si sente dire da anni, appunto.
Invece, abbiamo dovuto attendere concrete avvisaglie dell’emergenza per cominciare a parlare di interventi possibili sugli acquedotti, sugli invasi, sui laghi, sulle cisterne. In un territorio ricco di acqua è un assurdo che si sia trascurato per così tanto tempo la “risorsa” idrica, come si dice, perché l’abbondanza non deve far trascurare la fruibilità dell’acqua per gli usi civili, agricoli e industriali, già fortemente carente nelle aree meridionali, in Sicilia in particolare.
Non c’è bisogno di ricordare che l’acqua accompagna da sempre la vita delle comunità che, fin dall’inizio della loro storia, si sono sviluppate lungo i fiumi, per poter disporre dell’acqua per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Per non ricordare che Roma, della cui storia civile ci piace dirci eredi, ha costruito in tutto il mondo a lei collegato acquedotti, mirabili opere di ingegneria idraulica, che ancora oggi costituiscono un monumento alla civiltà che ovunque viene indicata nelle guide turistiche con orgoglio. Come le Terme, che consentivano una salutare fruizione dell’acqua e un’occasione di vita comunitaria di straordinario valore sociale.
La storia, sappiamo ormai da tempo, non insegna niente, assolutamente niente. Non insegna soprattutto ad una classe politica che da decenni trascura tutto ciò che è manutenzione, non solo degli acquedotti ma anche dell’intero sistema idraulico-forestale che è, appunto, un sistema che ha al centro la montagna, con i boschi e le sorgenti dei fiumi, un ambiente di straordinario interesse per la salubrità dell’aria, anche per il contenimento delle emissioni di CO2, che tanto ci preoccupano. Anche qui manca la manutenzione, la cura del sottobosco, soggetto a rilevanti incendi nella stagione calda, il più delle volte per l’attività di criminali che speculano sulla riforestazione o che ricattano i proprietari dei boschi. Ricordo un tempo le feste della montagna con interventi di messa a dimora di alberi di alto fusto, una ricchezza per l’ambiente ed anche per le numerose attività artigianali che utilizzano il legno. Un ambiente che è anche una ricchezza per il turismo.
Perché abbiamo ricordato queste semplici regole di tutela del territorio che ci avrebbero risparmiato oltre agli incendi, periodiche inondazioni, con vittime e danni ingenti all’economia delle comunità e al bilancio dello Stato e degli enti pubblici.
Una classe politica modesta, indipendentemente dal colore della casacca, si è preoccupata solamente dell’ordinario, senza considerare gli interessi della comunità nazionale e di quelle locali. È avvenuto anche per la frammentazione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, di cui è espressione visibile la demenziale formulazione dell’articolo 114 della Costituzione nel testo riformulato nel 2001 in occasione della “riforma” del Titolo V, secondo il quale “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, ciò che dà conto di uno squilibrio di poteri che facilita l’azione interdittiva di autorità locali in situazione nelle quali l’interesse vero va al di là del singolo territorio. Una classe politica modesta si riproduce ancor più inadeguata nelle regioni, enti del tutto inutili e costosi dediti al piccolo cabotaggio esercitato quasi esclusivamente nella gestione della sanità, che si estrinseca nella apertura e nella chiusura di ospedali e di presidi ospedalieri e nell’acquisto di apparecchiature spesso, come è stato dimostrato, abbandonate negli scantinati. Ma soprattutto nelle nomine di direttori generali e primari. Perché questa, per taluno, è “la politica”. Del resto, come ho sentito in più di un convegno, che senso ha un ente il cui bilancio per oltre l’80% è costituito da spesa sanitaria, trasferita dallo Stato.
Tornando all’acqua, il tema è all’attenzione del Governo e non dubito che assumerà le misure che possono affrontare l’emergenza predisponendo le iniziative, le tecniche operative utili perché la temuta carenza di acqua non si realizzi, anche eventualmente ricorrendo a strategie di mantenimento della risorsa con invasi e cisterne, non esclusi i dissalatori di acqua marina che in paesi arabi consente a zone desertiche di offrire ai numerosissimi turisti giardini ricchi di fiori.
E concludo appunto con il turismo. Pensando a chi è interessato a venire in Italia, quando leggerà sui giornali ed ascolterà dalle televisioni che l’Italia è a corto di acqua, che sarà forse difficile farsi una doccia ed avere a disposizione quei prodotti dell’agricoltura che tanto sono di interesse per chi sceglie il nostro Paese per le vacanze. Penso alla propaganda dei tour operator della concorrenza. E non è difficile immaginare quale danno subirà l’economia del Paese.