di Salvatore Sfrecola
Anche ieri sera a DiMartedì molti degli ospiti di Giovanni Floris, di provata fede piddina, si sono sforzati di ripetere che sulle recenti elezioni comunali, che hanno segnato una sonora sconfitta per il Partito Democratico, non poteva avere avuto alcuna influenza Elly Schlein, da troppo poco tempo eletta alla Segreteria.
Mi permetto di dissentire. La Schlein ha sicuramente influito sull’esito negativo, quanto meno allontanando molti elettori di sinistra dalle urne, in ragione innanzitutto della sua elezione, avvenuta con il concorso determinante di estranei al partito, dopo che gli iscritti avevano scelto Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna, quindi in aperto contrasto con l’umore della base. Inoltre, fin dalle sue prime dichiarazioni, la Schlein ha dimostrato di prediligere una impostazione teorica, tra l’altro con argomentazioni fumose che hanno fatto la gioia dei patiti di Facebook, Instagram e Tik Tok che quelle dichiarazioni hanno ripetutamente richiamato in tono di plateale sfottò.
È chiaro, infatti, che all’indomani della sconfitta subita alle elezioni legislative, e con un occhio alle prossime europee, al momento del voto per i sindaci gli elettori del PD si sono trovati frastornati ed hanno disertato le urne, soprattutto nel turno di ballottaggio, oppure, considerato il significato locale delle elezioni, hanno votato esponenti del Centrodestra.
Il partito, dunque, è in evidente crisi anche in ragione dell’impostazione data dalla Schlein, giudicata estremista da molti della componente cattolica e da Carlo Cottarelli, dimessosi da senatore, che a Floris ha ricordato di essere un liberale e, pertanto, di non poter continuare a militare in un partito che si sposta su posizioni di sinistra estrema.
Qualcuno sostiene che la Schlein ha i giorni contati a Largo del Nazareno, proprio in vista delle elezioni europee alle quali i fedelissimi del PD guardano con grande preoccupazione, dopo due sconfitte elettorali di seguito. Forse richiamando alla mente il noto adagio “non c’è due senza tre”. Molti guardano a Carlo Calenda e Matteo Renzi, i quali, a loro volta, non è chiaro a quale agenda politica facciano riferimento, probabilmente pensando ad un futuro di Forza Italia senza Silvio Berlusconi, un partito che assomma anime diverse, certamente moderate, molte di matrice socialista, che dimostra di avere uno “zoccolo duro” che gli consente di mantenere un dignitoso consenso elettorale nell’ambito della coalizione di Centrodestra.
Siamo, dunque, in una fase di transizione che rivela molte incertezze. Che non giovano neppure al Governo, saldamente nelle mani di Giorgia Meloni, al quale farebbe molto comodo una opposizione credibile e propositiva, che darebbe al Presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia il modo di partecipare al dibattito politico sui temi di maggiore interesse per gli italiani, il fisco, la sicurezza, il lavoro, l’immigrazione, la scuola, per ognuno dei quali tante sono le cose da fare, coinvolgendo le migliori menti della coalizione di governo, contestualmente tenendo a bada alcuni esuberanti dispensatori di dichiarazioni su temi politici ed istituzionali che fanno scrivere i giornali aedi delle sinistre i quali, altrimenti, avrebbero ben poco da dire.