di Salvatore Sfrecola
Ho ricevuto, come certamente molti di voi, ed ho letto su internet il seguente biglietto di “auguri natalizi”: “Buongiorno a tutti! Vi presento il nuovo presepe di Natale! Più inclusivo e laico. Non contiene più animali per evitare maltrattamenti. Non contiene più Maria, perché le femministe credono che l’immagine della donna non debba essere sfruttata. Quella del falegname Giuseppe non c’è perché il sindacato non lo autorizza. Gesù Bambino è stato rimosso perché non ha ancora scelto il suo sesso, se sarà maschio, femmina o qualcos’altro. Non contiene più i Magi, perché potrebbero essere migranti e uno di loro è nero (discriminazione razziale, xenofobia). Inoltre, non contiene più un angelo, per non offendere gli atei, e talune altre credenze religiose. Infine, è stata eliminata la paglia, a causa del rischio di incendio e perché non conforme alla norma europea NF X 08-070. È rimasta solo la capanna, realizzata in legno riciclato proveniente da foreste conformi agli standard ambientali ISO (ma se è alta meno di 2.70 non ha l’abitabilità, devo controllare… )”.
È l’amara constatazione che abbiamo perduto o che comunque ci vogliono far perdere il senso della festa simbolo della cristianità eliminando il Presepe, da sempre caro alle tradizioni del mondo occidentale soprattutto nell’area del Mediterraneo che forse percepisce meglio l’ambiente dove Cristo è nato e vissuto. Dov’è nato è stato chiedo ieri sera dai giornalisti di “Fuori dal Coro” a singoli cittadini ed a loro rappresentanti in Parlamento. I più “colti” in materia hanno risposto che era nato a Nazareth, nessuno a Betlemme. Ma c’è anche chi ha indicato Roma come luogo di nascita del Cristo in un tempo per i più incerto. E il padre? C’è chi ha risposto che si chiamava Geppetto, probabilmente in ragione del mestiere. Ma c’è chi il Padre di Gesù, Giuseppe, lo ha addirittura cancellato, come quel sacerdote che nella capanna ha messo due madri, certamente per dire che quella, a suo giudizio, è una famiglia. Inutile attendersi una condanna da parte di papa Francesco.
Senza andare lontano, in Francia, a Nantes, capoluogo del Dipartimento della Loira, il Natale è stato abolito perché, in ragione della ossessione multietnica e multiculturale, non si vuol riconoscere una festa tipicamente dei cristiani i quali, intervistati nella medesima trasmissione televisiva, su lamentano di questa sudditanza culturale all’Islam ma non si ribellano, come potrebbero, ad esempio esponendo nei negozi simboli e luci del Natale cristiano nel rispetto di quella tradizione per la quale un grande filosofo e storico liberale Benedetto Croce ha scritto “perché non possiamo non dirci cristiani”.
Nel 2008, in occasione dei festeggiamenti per il 90 anni di Alda Croce, il Centro Pannunzio di Torino, diretto dal Prof. Pierfranco Quaglieni, ha voluto ripubblicare il libro ed affidato alcune considerazioni a margine all’On. Valerio Zanone. Per l’esponente liberale (Zanone era stato Segretario Nazionale del Partito Liberale Italiano) il libro ha una straordinaria importanza ed attualità. “Pubblicato nella Critica e ristampato nel 1945 nei Discorsi di varia filosofia lo scritto, pensato dapprima in forma interrogativa, poi formulato in positivo ma sempre in forma di doppia negazione (“non possiamo non …”) e infine rinforzato nel titolo dell’iniziale “chiamarsi” nel più esplicito “dirsi”, riflette la tristezza del filosofo settantaseienne di fronte alla violenza del neo-paganesimo nazista; e per intenderne lo stato d’animo, va letto in parallelo con l’altro scritto del 1942 intitolato Soliloquio di un vecchio filosofo.
In una lettera scritta nel 1943 a Guido Gonella per ringraziarlo della recensione sull’Osservatore Romano, Croce teneva a dire “questo scritto non contiene in verità niente di nuovo, perché i concetti di cui è intessuto sono già in tutti i miei libri di filosofia e di storia”.
Né sembri contraddittoria con questa affermazione quanto Croce aveva scritto nella Storia d’Europa nel secolo XIX, dove al capitolo sulla Religione della libertà della Storia d’Europa, fa seguire il capitolo su Le fedi religiose opposte dove si individua nel “cattolicesimo della Chiesa di Roma la più diretta e logica negazione dell’idea liberale”. Quella negazione proclamata “con alte strida nei sillabi, nelle encicliche, nelle prediche, nelle istruzioni dei suoi pontefici e degli altri suoi preti” dal Vaticano, finiva nel giudizio di Croce per mettere in luce “col suo odio irremissibile, il carattere religioso, di religiosa rivalità, del liberalismo”. Rivalità fra fedi opposte: da un lato il liberalismo che pone “il fine della vita nella vita stessa, nel dovere di crescerla e di innalzarla, nel metodo della libera iniziativa e dell’inventività individuale”; e dall’altro lato il cattolicesimo che pone “il fine di una vita oltremondana, della quale la mondana è semplice preparazione, che si deve adempiere con l’osservanza di ciò che un Dio che è nei cieli, per mezzo di un suo vicario in terra e della sua chiesa, comanda di credere e di fare”.
Molto si è dunque discusso e si continua a discutere – scrive Zanone – circa la diversa disposizione d’animo maturata dieci anni dopo nel vecchio filosofo di fronte alle tragedie della guerra. Contro le devastazioni e gli orrori il Croce del Soliloquio cercava riparo nei valori umani del cristianesimo. Ripensava al “processo iniziato o accelerato dal cristianesimo verso un’umanità accomunata nell’amore e nel dolore e nell’aspirazione all’eccelso”; ed arrivava a scrivere di “una sostanza cristiana del liberalismo”.
Niente di strano e di contraddittorio. Lo storico Croce, strenuo difensore della libertà dell’uomo, sa bene che la dottrina della Chiesa esalta l’assoluta libertà che Dio assegna all’uomo di fare il bene e il male, ma riconosce che nell’esperienza concreta l’autorità ecclesiastica è stata spesso alleata del potere ed a questo ha offerto la copertura di una intransigente lotta alle opposizioni, per cui è sembrato che il pensiero cristiano fosse in contraddizione col pensiero liberale. Laddove, in realtà, in contraddizione era nella prassi di certa “politica” del clero.