domenica, Novembre 24, 2024
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Mattarella richiama i cittadini alla partecipazione elettorale

di Salvatore Sfrecola

Sobrio, com’è suo costume, Sergio Mattarella ha affidato al suo discorso di saluto agli italiani alcune riflessioni su pochi temi, generalmente condivisi. A dimostrazione che continua ad interpretare il suo ruolo di Presidente della Repubblica con il massimo di neutralità rispetto alle forze politiche, anche ad evitare di fare emergere idee personali probabilmente dissonanti rispetto a quelle del Governo in carica. Insomma, un Presidente che parla un po’ come un Re rigorosamente distante dal confronto dei partiti, come abbiamo sentito nei discorsi dei Sovrani di Spagna, Filippo VI, del Regno Unito, Carlo III, di Danimarca, Margherita II, del Belgio, Filippo, intervenuti tutti tra Natale e la vigilia di Capodanno per richiamare il desiderio di pace dei loro popoli in un contesto internazionale obiettivamente preoccupante nell’Europa dell’Est e in Medio Oriente. In nessuno dei loro discorsi è mancato il richiamo all’unità nel rispetto delle rispettive costituzioni, base delle democrazie rappresentative.

Anche Matterella il 31 di dicembre, come aveva anticipato Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera, ha voluto trasmettere sicurezza perché “non piace a nessuno, infatti, caricare il futuro di dubbi e incertezze, nel momento in cui si fanno gli auguri. Si rischierebbe di alimentare il pessimismo, con effetti deprimenti, se non paralizzanti, sull’intero Paese. Perché è alla gente comune, non alla politica, che in questo tipo di discorso si rivolge”. Per segnalare il desiderio di pace dei popoli aggrediti e le aspettative degli italiani. Una “pace giusta”, condizione essenziale perché si realizzi una stabilità nelle relazioni internazionali, una pace “coniugata a diritto e sviluppo – scrive Breda – che non annulli le differenze tra chi ha ragione e chi ha torto”, come ha sempre sottolineato il Presidente.

Mattarella non ha trascurato neppure i temi dell’attualità, i mali cronici del Paese, dai femminicidi all’evasione fiscale, dalle mafie ai morti sul lavoro, argomenti sui quali più volte nel corso dell’anno è intervenuto per segnalare insufficienze e invitare a far emergere i valori propri della nostra cultura e della nostra democrazia. Sotto il profilo dei rapporti politici il Presidente ha voluto rimarcare il suo ruolo “super partes” contro coloro i quali vorrebbero considerarlo quasi il capo dell’opposizione. “Non c’è nulla che possa irritarlo di più” ha scritto Ugo Magri su La Stampa. E in effetti il Presidente ha dimostrato di dare attuazione a quella “leale collaborazione” fra le istituzioni che è proprio compito del Capo dello Stato garantire nell’interesse supremo della Repubblica. Magri la definisce “una sottile strategia, la dimostrazione vivente che il Colle non è il centro delle macchinazioni, come all’estrema destra sospettano per via di antichi complessi mai del tutto superati. Là si lavora per la concordia, la coesione è l’unica bussola”.

Importante l’invito alla partecipazione, ad essere uniti, ad essere un popolo con valori antichi e consolidati di democrazia. E qui il Presidente ha voluto richiamare la scarsa partecipazione al voto nelle competizioni elettorali, indubbiamente un segnale preoccupante in un ordinamento rappresentativo democratico. Tema che ha destato particolarmente l’attenzione di un acuto osservatore della politica come Maurizio Belpietro, direttore de La Verità il quale ha avuto espressioni critiche nei confronti del Presidente (“Se la gente non vota Mattarella s’interroghi”), sostenendo che la scarsa partecipazione al voto sia, per certi versi, dovuta al fatto che proprio dal Quirinale alcune scelte sulla formazione dei governi abbiano trascurato le indicazioni elettorali. “Colpa dei giovani che preferiscono seguire i social piuttosto che un politico? No, colpa anche degli ultimi presidenti della Repubblica, i quali, in barba al voto degli italiani, di fronte a una crisi di governo, invece di indire nuove elezioni per restituire la parola agli italiani, hanno preferito ricorrere a formule che la Costituzione non ha mai contemplato, ovvero i governi del presidente o quelli tecnici”. E ricorda che il professor Giovanni Orsina, in un articolo di qualche  tempo fa su La Stampa, “ha messo a confronto la crescita dell’astensionismo e la nascita dei cosiddetti movimenti populisti con il rifiuto di tornare al voto. Dopo Mario Monti e Mario Draghi, in entrambi i casi sono aumentati gli elettori che hanno scelto di non votare o di votare per un partito antisistema”.

Diciamo anche che formalmente le regole della democrazia parlamentare sono state salvate perché i governi “tecnici” o “del presidente” sono stati votati dai partiti che avrebbero potuto fare quadrato e pretendere il ritorno alle urne. E questo denota la fragilità della politica conseguenza, a mio parere, della inadeguatezza del sistema elettorale che non coinvolge i cittadini come avveniva un tempo a cominciare dai dibattiti che si sviluppavano nei circoli e nelle sezioni di partito che formavano iscritti e militanti tra i quali emergevano anche i candidati alle cariche amministrative e politiche, che erano comunque scelte con una visione più ampia di quella, oggi limitata alle segreterie di partito, che fa dei consiglieri comunali e dei parlamentari dei nominati, sia pure formalmente eletti.

Belpietro, dunque, addebita alla Presidenza della Repubblica e quindi al momento a Sergio Mattarella una qualche responsabilità per la scarsa partecipazione al voto elettorale in quanto gli italiani non si sentirebbero garantiti che il loro voto si trasformi in una decisione quanto al governo dello Stato. Indubbiamente c’è del vero in queste considerazioni anche se mi permetto di segnalare che a me sembra che il tema sia più vasto, che probabilmente il motivo di una crescente disaffezione dell’elettorato è dovuto essenzialmente al sistema elettorale che non fa emergere la scelta dell’elettore perché predominante è stata la individuazione, da parte delle segreterie di partito, delle candidature e della posizione che esse assumono nelle liste elettorali, posizione che risulta determinante rispetto al risultato finale, alla elezione del parlamentare.

Io credo da sempre che questo sia il vero problema della politica italiana, che il buon funzionamento delle istituzioni rappresentative debba necessariamente discendere dalla capacità dei cittadini elettori di incidere sulla individuazione della classe politica. E torno a richiamare il sistema elettorale inglese, già ritenuto positivo dal fondatore della scuola italiana del diritto costituzionale, Vittorio Emanuele Orlando, che aveva sottolineato l’importanza della scelta dell’elettore in un collegio uninominale ristretto nel quale il cittadino conosce le idee del candidato e con lui si confronta. Per cui nel Regno Unito la forza dei partiti risiede nella consistenza dei gruppi parlamentari e nella qualità degli eletti.

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