di Salvatore Sfrecola
“Famigerato” è un aggettivo pesante, specialmente se definisce “il ricorso generalizzato al conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001”. Ma Roberto Alesse, Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, giurista, conoscitore profondo della Pubblica Amministrazione e del suo ordinamento, può permettersi critiche che altri, per convenienza politica e per opportunismo, si limitano a sussurrare nei corridoi dei palazzi del potere. Per lui, che ne ha scritto in un saggio di successo (“Il declino del potere politico in Italia”, edito da Rubbettino) le nomine fiduciarie a dirigente, sia pure a tempo, costituiscono una iniziativa di carattere autolesionistico in quanto “lo Stato, in tempi di straordinaria evoluzione tecnologica, non è in grado di assicurare, in modo permanente, all’interno di ciascun ufficio pubblico, la provvista necessaria di personale altamente specializzato, da acquisire attraverso rapide procedure di selezione gestite da strutture centralizzate, se è vero che il presupposto giuridico per avviare il reclutamento di persone estranee alle amministrazioni risiede nel verificare, in via preventiva, e con grande scrupolo, l’assenza di dirigenti, iscritti nei ruoli amministrativi o tecnici, a cui affidare strutture burocratiche complesse nell’interesse della collettività”. Non solo, ma questa previsione legislativa, osserva Alesse, “oltre a urtare la suscettibilità professionale della classe dirigente vincitrice di concorso, mortifica le aspettative dei funzionari di ruolo che ricoprono posizioni apicali nelle varie amministrazioni di appartenenza e che aspirano a diventare dirigenti attraverso ulteriori prove selettive rispetto a quelle di ingresso”.
Analisi ineccepibile. Ma c’è di più. La norma è nata come destinata a reclutare, fornendone “esplicita motivazione”, persone “di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi”.
Un pasticciaccio, non c’è dubbio. Perché l’ipotesi che una certa qualificazione professionale non sia rinvenibile presso l’amministrazione che conferisce l’incarico costituisce negazione della regola, sempre utilizzata, che, in assenza di una specifica professionalità la si acquisisce in comando. Ma non è solamente qui l’assurdità che la fa diventare “famigerata”. L’aggiunta che consente di attribuire l’incarico dirigenziale a funzionari della stessa amministrazione come si concilia con la previsione che una determinata professionalità “non (sia) rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione”? Non si concilia. È una ipocrisia alla quale il potere politico ricorre per assicurare la carriera a funzionari “amici”. Tanto è vero che all’Agenzia delle entrate si segnalano casi di nominati che, avendo partecipato ad un pubblico concorso per dirigenti, non lo hanno superato. Ciò che vuol dire che, nonostante sia prevista una “esplicita motivazione”, questa non c’è stata e nessuno l’ha rilevata perché, con riferimento ai casi segnalati, gli atti di conferimento degli incarichi delle agenzie fiscali non sono soggette a controllo preventivo della Corte dei conti. La quale in altri casi, riguardanti i ministeri, ha fatto notare che la qualificazione professionale richiesta non si rinveniva, così impedendo ai provvedimenti di avere efficacia. E quando la professionalità era rinvenibile dal curriculum la Corte non ha esitato ad apporre il suo “visto”, come nel caso della deliberazione n. 4/2022 della Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti delle Amministrazioni dello Stato in un caso che ha riguardato il conferimento di un incarico dirigenziale nell’ambito della Motorizzazione civile. La Corte ha ammesso al visto ritenendo adeguata l’“esplicita motivazione”. Pertanto, nessuno può ritenere che dalla magistratura di controllo sia venuto un “liberi tutti”, perché, nel caso specifico, oltre alla congrua motivazione, era intervenuta una direttiva ministeriale a disciplinare la procedura. Né mai la Corte avrebbe potuto ammettere al visto nomine di soggetti con un curriculum inadeguato, come certamente avranno avuto i nominati che, alla prova di un concorso, non hanno superato le relative prove.
Ma i danni dell’art. 19, comma 6, non sono solamente nelle forzature in favore di soggetti “vicini” al potere politico. Le nomine sono a tempo (tre o cinque anni), con la conseguenza che i funzionari che hanno ottenuto la nomina si attendono la conferma alla scadenza. Ancora una decisione politica che ci induce a domandarci come il dirigente possa, in tali condizioni, essere effettivamente “al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge nell’art. 98, comma 1, Cost.. In realtà, come ha osservato molto puntualmente il Ministro della difesa, Crosetto, all’indomani del suo insediamento quei pubblici impiegati, per effetto della nomina, assumono naturalmente un assetto culturale-ideologico coerente con quello della parte politica che li ha nominati. Coerentemente Crosetto suggeriva non di confermarli. Non è stato ascoltato, anzi mi dicono che i più recenti incarichi siano stati conferiti a persone apertamente appartenenti ad una cultura politica distante da quella del Governo in carica. Dirigenti capaci, ma notoriamente “di destra” sono rimasti al palo. Forse per la risalente tesi, sperimentata ripetutamente ai tempi dei Governi Berlusconi, che un esecutivo di destra nomina persone di sinistra “per pararsi”. Per sorridere.
Non potrei chiudere queste brevi riflessioni su aspetti fondamentali del buongoverno senza richiamare la questione dello scorrimento della graduatoria del concorso a dirigente che rivela una disponibilità, tra i 175 del concorso del 2010 e quanti avanzano al concorso a 150 posti (dove potranno vincere non più dei 46 ammessi agli orali) che consentirà di arruolare tutti, anche quanti saranno da posporre a seguito della ricostruzione della graduatoria imposta dai giudici amministrativi di primo e secondo grado intervenuti a dichiarare l’illegittimità dell’assurda attribuzione dei titoli che ha comportato ritardi e, forse, costi dei quali qualcuno dovrebbe chiedere conto.