di Ignazio de Marco, Presidente on. della Corte dei conti
L’articolo di Salvatore Sfrecola “La Corte dei conti, garanzia del “buon governo” (9 aprile scorso) evidenzia, tra l’altro, sia la rispettosa e reciproca indipendenza sia il livello morale che caratterizzavano i rapporti della neonata Magistratura contabile con i vertici politico/istituzionali (Parlamento, Governo) dell’epoca. L’esecutivo, in particolare, chiedeva di essere controllato “a garanzia della propria efficienza e del rispetto dei cittadini e del Parlamento” come, peraltro, sostenuto dal Ministro delle finanze Quintino Sella nell’insediare “il primo Magistrato civile che estende la sua giurisdizione a tutto il Regno”.
Le parole allora usate (“Altissime sono le attribuzioni che la legge a voi confida – È vostro compito il vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge – Delicatissimo ed arduo incarico – curare la osservanza della legge per parte di chi debba maggior riverenza, cioè del Potere esecutivo – l’Italia tragga i più lieti auspici per la sua unità amministrativa e legislativa”)non sono retoriche né ampollosamente elogiative bensì espressive del ruolo di garanzia della Corte stessa nei confronti del Parlamento.
Questa brevissima premessa induce (e mi sia consentito) a riportare alcuni “passaggi” del mio libro “La Corte dei Conti del Regno d’Italia – Ritorno alle origini (ovvero le carte ritrovate)” da cui appare chiaro il profondo senso etico di quei primi Magistrati – consapevoli di essere tra i protagonisti del novello Regno d’Italia – all’inizio della loro attività imperniata sulla rigorosa applicazione e interpretazione non solo della legge istitutiva ma, altresì, delle molteplici norme in vigore, allo scopo di fornire adeguata risposta alle svariate questioni che, man mano, si presentavano. Di seguito il loro modus operandi:
““È evidente, in particolare, la decisa volontà di adempiere i propri doveri conautonomia e indipendenza di giudizio senza subire “condizionamenti” da partedegli organi istituzionali. Sintomatiche di questo modus operandi sono, tra le altre:
1) la non condivisione delle premure ufficiose del Ministero delle Finanze e deipremurosi officii deliberati dal Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte, per ladesiderata registrazione di alcuni decreti (esecutivi della legge sul brigantaggio)riguardanti la nomina – da parte del Ministero della Guerra – di avvocati fiscali militari ineccedenza dell’organico. Il relatore Pres. Sez. CACCIA reputava «viziosa» la formanonché «incompetentemente e con inutile perdita di tempo» il procedimento seguito«del tutto estraneo alle forme legali» e aggiungeva (con il consenso dei presenti)«reputarsi assolutamente irregolare che il Governo, in vece di avvalersi delle forme ede’ mezzi legali, preferisca di fare provvedimenti che sono in opposizione della legge edel bilancio»;
2) la ferma presa di posizione nel respingere la richiesta del Consiglio dei Ministri -che aveva ordinato la registrazione di due decreti di approvazione di contratti nonpreceduti da regolari incanti – ritenendola sia «sconveniente perché il C.d.M. non hafacoltà di ordinare che la Corte adempia un atto delle sue attribuzioni, nell’esercizio dellequali essa è indipendente assolutamente dal potere esecutivo», sia «irregolare perchéil Consiglio può insistere per la registrazione (…) ma in nessun modo risolvere che la Corteregistri con riserva spettando esclusivamente alla Corte di deliberare se debba ordinarsi laregistrazione puramente e semplicemente, oppure con riserva».
Apprezzabile, per altri aspetti, l’imparzialità anche per decisioni che potrebbero appariremarginali: nella specie, il ricorso al sorteggio per individuare Consiglieri «che debbono far parte della deputazione da recarsi presso S.M. in occasione (degli auguri, n.d.r.) del 1° giorno del prossimo anno» (1864, n.d.r.).
La Corte rivendicava, inoltre, il proprio diritto ex art. 14 della legge da esercitare inmodo ampio e assoluto così come lo era il mandato conferito dalla legge stessa che, come si legge nel verbale, “la pose quasi una sentinella del Parlamento sicché non potersi intendere circoscritto in altra cerchia che in quella, che le venne posta dalla legge, potendo in tal guisa estendere il suo sindacato su ogni e qualsiasi atto o decreto emanato dal potere esecutivo, impedendo ogni e qualunque infrazione delle leggi od invasione dei poteri legislativi””.
E’ passato molto tempo, da allora, ma sarebbe opportuno non dimenticare quanto esemplari e illuminanti sono, anche per noi, oggi, quelle parole e quanto degni di apprezzamento quei comportamenti.