lunedì, Novembre 25, 2024
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L’Italia: Cavour la voleva unita, Calderoli è nostalgico del Lombardo-Veneto

di Salvatore Sfrecola

Cavour la voleva unita, con Calderoli e l’“autonomia differenziata” l’Italia rischia di tornare a prima del 1860 quando ancora era divisa come l’aveva disegnata nel 1815 il Congresso di Vienna al termine dell’epopea napoleonica: stati regionali, alcuni minuscoli, illiberali, tranne il Regno di Sardegna che aveva scelto dal 1848 la strada dell’unità. E il Lombardo-Veneto certamente bene amministrato dall’Imperial Regio Governo, ma anch’esso privato delle libertà delle quali godevano i sudditi del Re Vittorio Emanuele II.

Una preoccupazione, dunque l’autonomia differenziata soprattutto nei possibili sviluppi che potrebbero interessare “altre” materie, come l’istruzione, per quanti amano questa terra meravigliosa costituita da realtà ambientali, storiche, artistiche diverse tra valli e montagne, lungo fiumi, laghi e coste marittime straordinarie. La preoccupazione per gli effetti ed i possibili sviluppi dell’autonomia “differenziata” è reale e se ne è fatto portavoce il Capo dello Stato in un passaggio di un suo discorso che ieri ha affrontato il tema del lavoro e dello sviluppo in vista del 1° maggio. Il Presidente è al Sud, in Calabria, nel cosentino. Marzio Breda, il quirinalista del Corriere della Sera segnala nel titolo del suo pezzo un passaggio fondamentale: “un danno separare le strade di Sud e Nord”.

Il discorso parte da lontano. Dice Mattarella: “l’Europa – e in essa l’Italia – deve essere protagonista a livello globale.

Il Mezzogiorno d’Italia è parte dell’Europa. Ed è decisivo per il suo futuro, insieme ai vari Sud del Continente.

Il nostro Mezzogiorno è una realtà complessa, non certo uniforme.

Le sue potenzialità, le sue vocazioni, i suoi problemi non sono riassumibili in un’analisi semplificata.

Vi sono eccellenze, che questa mattina abbiamo posto in rilievo, e vi sono grandi divari.

Le Regioni meridionali dispongono oggi di un reddito che non raggiunge quello di altre aree nazionali. Per alcuni aspetti i loro cittadini fruiscono di servizi meno efficienti.

Nel Meridione il tasso di occupazione è più basso rispetto al Centro e al Nord. Donne e giovani pagano un costo elevato e sono tanti coloro che, a malincuore, lasciano la terra d’origine, accentuando un rischio di spopolamento che andrebbe frenato. Per rispetto del valore, della storia e del futuro di quei territori.

Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. È appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”.

Ed ecco la frase che tutti hanno posto in risalto: “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri.

È ben noto che il lavoro è una delle leve più importanti di progresso e di coesione sociale.

Per le famiglie italiane ha costituito il vettore principale del miglioramento sociale nei decenni trascorsi.

Con l’istruzione, con la manifattura, con i servizi, adesso con le nuove attività basate sul digitale, il lavoro è l’ascensore sociale che rende la nostra una società aperta e libera.

Da qualche tempo viviamo una stagione in cui questo meccanismo appare inceppato, una stagione in cui le condizioni di partenza determinano differenze e distanze non facilmente recuperabili, a scapito dei giovani che provengono da condizioni sociali più deboli.

È un grave spreco dell’ampio patrimonio di intelligenze e di risorse di cui l’Italia dispone.

Le politiche del lavoro non possono che orientarsi verso una riduzione degli squilibri”.

Il discorso è tutto un catalogo di urgenze e di emergenze: “le aree di marginalità e di sofferenza” il lavoro dei migranti che non sconfini nell’illegalità, e nello sfruttamento che “offrono spazi alle organizzazioni criminali”.

“La gestione legale dell’immigrazione rappresenta una priorità – prosegue Mattarella – l’Italia e l’Europa hanno la forza per affrontarla compiutamente”. 

Poi l’inaccettabile “stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile”.

Un discorso di alto profilo, come siamo abituati a sentire dal Capo dello Stato, autentico rappresentante dell’“unità nazionale”.

Ho iniziato ricordando Cavour. Lo faccio di frequente. È stato il più grande uomo politico che l’Italia abbia avuto, uno statista europeo, hanno scritto di lui storici illustri, come l’inglese Steven Runciman. Ed aveva, diversamente da quanto si legge da storici superficiali, una visione dell’Italia nel suo complesso, tanto da immaginare, fin dal 1846, che le ferrovie l’avrebbero unificata, contribuendo a trasferire al nord e in Europa i prodotti dell’economia meridionale, in particolare di quella agricola, preziosa espressione di quelle terre. I treni avrebbero anche favorito il turismo di quanti, affascinati dalla nostra arte, fin da allora venivano in Italia per visitare le mille città ed i borghi ricchi di storia.

Ancora, considerata l’importanza dei grandi porti di Napoli e Palermo Cavour immaginava che, per effetto di queste strutture, l’Italia sarebbe stata la porta dell’Europa sul Mediterraneo per trasferire le produzioni del Continente verso i paesi del Medio e dell’Estremo Oriente.

Una straordinaria visione politica come solamente un grande statista poteva presentare.

Questa Italia che, ripeto, è ricca per quanto recano al Paese le singole realtà locali, dal punto di vista storico e ambientale, rischia dall’autonomia “differenziata” della quale è paladino il Ministro Calderoli di perdere le capacità complessive senza migliorare in modo significativo le realtà regionali.

Osserva al riguardo uno studioso, autore di importanti contributi di diritto amministrativo, il Prof. Edoardo Giardino, come il regionalismo differenziato, così come contemplato dall’art. 116, comma 3, della Costituzione, “vada analizzato in relazione al processo di conferimento delle funzioni amministrative” e, in particolare, al loro trasferimento, quindi, alla “dismissione definitiva della titolarità del potere dallo Stato alle Regioni”. Nella considerazione che “qualsivoglia conferimento funzionale che operi tra variegati livelli territoriali determina non solo la rivisitazione delle conferenti regole, quanto, sovente, l’istituzione di nuovi uffici, il trasferimento di personale e l’attribuzione di risorse, donde l’esigenza di operare nella rigorosa osservanza del vincolo del buon andamento amministrativo, così da preservare non solo l’economicità dell’azione, quanto l’efficienza dell’organizzazione”.

La rimozione dei principi fondamentali dettati dallo Stato – scrive Giardino – dovrà evitare “l’inverarsi di pericolose conseguenze divisive che potrebbero non solo inficiare il senso di appartenenza quanto aggravare le ataviche differenze tra Nord e Sud del Paese”. Ciò che deve “indurre ad un’applicazione prudente e ragionevole dell’art. 116, co. 3, della Costituzione… nella consapevolezza che quanto più si esasperano le diversità normative tanto più generano diversità, foriere, a loro volta, di significative e laceranti disuguaglianze”. E conclude richiamando quelle “ragioni di coerenza con il fine perseguito [che] indurrebbero a scongiurare una inutile duplicazione di funzioni, fonte, a sua volta, di un ulteriore disordine amministrativo, che genererebbe defatiganti sovrapposizioni, le quali rallenterebbero, se non precluderebbero del tutto, la compiuta cura dell’interesse pubblico”.

L’augurio è che il Ministro Calderoli legga quel che ha scritto il Prof. Giardino. E rifletta.

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