di Salvatore Sfrecola
Solo il tempo ci dirà se la decisione di Giorgia Meloni di votare contro l’elezione di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione europea garantirà un ruolo all’Italia. La premier ne è certa. “Fratelli d’Italia – sono le sue parole – ha deciso di non votare per la riconferma di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione europea. Siamo rimasti coerenti con la posizione espressa nel Consiglio Europeo di non condivisione del metodo e del merito. Questo ovviamente non comprometterà la collaborazione che il Governo italiano e la Commissione europea hanno già dimostrato di saper portare avanti su molte materie, come ad esempio la materia della migrazione e voglio approfittare per fare gli auguri di buon lavoro comunque a Ursula von der Leyen. In ultimo non ho ragione di ritenere che la nostra scelta possa in alcun modo compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella Commissione Europea. L’Italia è un paese fondatore, la seconda manifattura, la terza economia d’Europa con uno dei governi più solidi tra le grandi democrazie europee. Ed è sulla base di questo e solo di questo che si definisce il peso dell’Italia”.
La non condivisione del metodo e del merito immagino debba riferirsi in particolare all’adesione dei Verdi (53 voti) che hanno assicurato un apporto significativo all’elezione della Presidente che evidentemente condizionerà in qualche misura le sue future decisioni. E questo può indurre a ritenere che per l’Italia e l’Europa forse l’adesione alla scelta della von der Leyen con voti non necessari (i 24 di FdI) avrebbe tuttavia condizionato l’azione della Presidente della Commissione Europea.
Tutto da dimostrare, ovviamente, ma è probabile che i voti aggiuntivi di Fratelli d’Italia avrebbero potuto neutralizzare in qualche modo la presenza nella maggioranza dei Verdi. Di fatto abbiamo confermato il rapporto altalenante che da sempre caratterizza il ruolo dell’Italia e delle sue forze politiche con l’Europa, tra rivendicazioni di essere fra i paesi fondatori e protagonista in molti settori dell’economia, nella manifattura in particolare, e l’ostilità ricorrente ad accettare le decisioni dell’Europa alle quali l’Italia spesso sembra non concorrere, per due motivi: la scarsa attenzione dei parlamentari europei alla vita quotidiana dell’Unione e il livello modesto delle persone che vengono scelte dai partiti per quel ruolo. Un po’ seconde file, un po’ “trombati” da posizioni nazionali, spedite a Bruxelles quasi a mo’ di riparazione.
Alla fine, facendo prevalere la linea dura votando no, Giorgia Meloni ha voluto evitare di scoprirsi troppo alla sua destra. Insomma, se i suoi voti non erano indispensabili perché lasciare a Salvini l’arma in mano di dargli della traditrice dei valori della destra? È la tesi di chi ritiene che abbia fatto prevalere gli interessi del partito rispetto a quelli del Governo, in ragione del fatto che dentro il governo c’è il terrore di una ritorsione dei leader UE (Macron, Scholz, Tusk) “che non vedono l’ora di negare centralità l’Italia. La delega al bilancio e la vicepresidenza sono sfumate. A Roma potrebbe finire o la coesione, il Mediterraneo o la sburocratizzazione robetta – scrive Dagospia – di secondo piano”. Naturalmente tutto dipende da come questi ruoli vengono gestiti e da chi. Perché potrebbero anche essere molto interessanti, in particolare il Mediterraneo, per riconoscere un ruolo storico, politico ed economico, dell’Italia. Ma chi mandare su quella poltrona? A guardarsi intorno viene lo scoramento.
Ci sono poi i problemi dell’applicazione del nuovo patto di stabilità. Nella legge (che ancora i più chiamano “finanziaria”) non ci sarà spazio per nulla che non rispetti le indicazioni della Commissione. L’Italia ha bocciato la riforma del MES, ha una procedura di infrazione aperta per la mancata messa a gara delle concessioni balneari, ha detto no alla direttiva che promette di mettere al bando le auto a benzina e diesel per il 2035, ha bocciato quella sulle case green. Forse più che dire sempre no sarebbe necessario saper guidare le “riforme” che la maggioranza propone.
Giorgetti chiede una proroga del termine (giugno 2026) entro il quale dovranno essere completate le opere del PNRR. Qualcuno da oggi si chiede se un Paese che ha detto no alla elezione delle von der Leyen possa chiedere, con speranza che siano accolte, ulteriori deroghe.