lI primo Congresso Nazionale
Persona, sessualità, procreazione
(Roma, 21 e 22 ottobre 2010, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Piazzale Aldo Moro, 7)
Iniziativa di estremo interesse, con prevedibili riprese nell’ambito scientifico e politico, il Congresso su “Persona, sessualità, procreazione” vuole mettere punti fermi sul piano scientifico, medico e giuridico, su una serie di problemi di notevole impatto sull’opinione pubblica, sulla legislazione e sulla giurisprudenza.
L’identità personale, che alcuni vorrebbero non fosse più riferita al sesso, maschile o femminile, ma a personali “tendenze”, se non ad opinioni, favoleggiando di un genere che, anche qui, vocabolario alla mano sapevamo dai tempi della scuola essere maschile o femminile (il neutro i latini lo riservavano alle cose inanimate), dovrebbe moltiplicarsi per individuare omosessuali, transessuali e quant’altro, con effetti devastanti anche sulle garanzie in tema di occupazione e lavoro.
Di tutto questo parleranno scienziati, medici e giuristi, provenienti dalle migliori scuole.
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, On. Prof. Giorgio Napolitano e con con il patrocinio delle Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (Prof Luigi Frati), “Tor Vergata” (Prof. Renato Lauro); “3” (Prof. Guido Fagiani), “4” (Prof. Paolo Parisi), “La Cattolica” (Prof. Lorenzo Ornaghi), “Campus Biomedico” (Prof. Vincenzo Lorenzelli), LUISS (Giurisprudenza) (Prof. Roberto Pessi), LUMSA (Prof. Giuseppe dalla Torre), “Europea” (Prof. Paolo Scarafoni), i lavori si svolgeranno secondo il seguente programma:
21 OTTOBRE 2010
8,30 Saluto: Prof. Luciano Maiani, Presidente CNR
Introduzione ai lavori:
Prof. Roberto de Mattei, Vicepresidente CNR
Intervento
Prof. Andrea Lenzi, Presidente CUN
8,45 Moderatori:
Prof. Cesare Mirabelli e Prof. Gaetano Frajese
Lettura magistrale “Pensare la sessualità”
Prof. Francesco d’Agostino (Roma)
9,30 Malattie Trasmissibili Sessualmente, Prof. Federico Perno (Roma)
Prima Sessione
Moderatori:
Prof. Antonio Manzoli e Prof. Eugenio Gaudio
10.00 Genetica, Prof. Giovanni Neri (Roma); Embriologia, Prof. Irene Lobeck (Mi);
Anatomo-Fisiologia del Sistema Sessuale e Riproduttivo (m. e f.), Prof Gianni Mazzotti (Bo)
11.00 Pausa Caffè
Seconda Sessione
Moderatori:
Prof. Massimino d’Armiento e prof. Alfredo Pontecorvi
11.30 Classificazione e Patogenesi dei Disordini
dello Sviluppo Sessuale, Prof. Gaetano Lombardi (Na); L’Iperplasia Surrenalica Congenita, Prof. Marco Cappa (Roma)
12.10 La Sindrome di Morris, Prof. Vincenzo Toscano (Roma); Disordini della Differenziazione Sessuale, Prof. Laura Palazzani (Roma)
Discussione
13.30 Pranzo
Terza Sessione
Moderatori:
Prof. Enio Martino e prof. Alberto Loizzo
16.00 Sessualità e Cervello; Prof. Vanni Frajese (Roma); La Teoria del Gender (Ruolo e Identità di Genere), Prof. Francesca Brezzi (Roma); Il Riassegnamento del Sesso: aspetti legali, Prof. Paolo Arbarello (Roma); La trasformazione Medico-Chirurgica, Prof. Chiara Manieri (To)
17. 30 Discussione
22 OTTOBRE 2010
Quarta Sessione
Moderatori:
Prof. Maria Luisa Di Pietro e prof. Andrea Bixio
8.30 Maschile e femminile tra natura e cultura, Prof. Paola Ricci Sindoni (Me); Dinamiche per una nuova antropologia: la centralità della persona umana nella cultura dei diritti umani per una società e una economia di “comunione”, Prof. Paolo Sorbi (Bo); Educazione e Sessualità.Vita, Valori e Affettività nella scuola primaria; Prof. Anna M. Favorini (Roma)
9.30 Discussione
10.00 Pausa Caffè
COMITATO SCIENTIFICO
Cesare Mirabelli, Presidente, Giuseppe Benagiano, Roberto de Mattei, Maria Luisa Di Pietro, Gaetano Frajese, Andrea Lenzi, Gaetano Lombardi, Salvatore Mancuso, Luigi Paganetto, Roberto Pessi, Walter Ricciardi
Segreteria Scientifica e Organizzativa
Dina Nerozzi, 00187 Roma, Via di Porta Pinciana, 4, Tel./Fax 06.4818775
e-mail: sessualitaprocreazione@gmail.com
Maggioranza appesa a un filo
La vendetta di Fini
di Senator
342 sì hanno consentito oggi al Governo Berlusconi di superare un delicato passaggio parlamentare. Oggi, ma domani e nei mesi prossimi ottenere sarà uno stillicidio (parola con la quale il Cavaliere ha stigmatizzato l’azione di Gianfranco Fini negli ultimi mesi), uno stillicidio continuo perché il Presidente della Camera ricorderà al Premier che senza i voti di Futuro e Libertà il Governo non sopravvive.
Dopo anni di dipendenza dal leader di Forza Italia nel corso dei quali ha subito ripetuti stop ad ogni iniziativa autonoma Gianfranco Fini si toglie dalla scarpa una serie di sassolini e ridimensiona la componente del Popolo della Libertà di provenienza AN fedelissima di Berlusconi, i vari Gasparri, La Russa e Matteoli, personaggi minori inopinatamente assurti alla notorietà ed a responsabilità di governo allo scopo di erodere il potere di Fini.
Questo è stato lo stillicidio vero, lo svuotamento di Alleanza Nazionale cui Fini ha messo finalmente fine (mi scuso del bisticcio) ricostruendo un suo Gruppo parlamentare e, nei prossimi giorni, un partito.
D’ora in poi Berlusconi non dovrà fare i conti solo con Bossi, il leader della Lega che rivendica scelte politiche che provengono dalle viscere del “popolo padano”, un complesso di complessi, di frustrazioni antiche di gente disseminata tra la pianura padana ed i primi contrafforti delle montagne che cingono al Nord la nostra Italia, un popolo che non ha mai avuto uno stato che non parlasse lingue d’oltralpe per cui non sente l’italianità dalle Alpi al Lilibeo. Gente rude, lavoratori, certamente e industriosi, ma largamente disattenti alla cultura, aree con elevata dispersione scolastica.
Per sopravvivere il Cavaliere dovrà definire con Fini aspetti del programma di governo non direttamente riconducibili al generico progetto passato al vaglio elettorale, mentre le cose importanti, fisco, pubblica amministrazione, sviluppo, famiglie e imprese, ripetutamente esibite come parti essenziali del programma di governo vengono enunciate ad ogni piè sospinto come una novità o qualcosa da perfezionare ma mai portati all’ordine del giorno delle Camere con possibilità di approvazione. Come la legge anticorruzione, un oggetto misterioso approdato in Senato dopo alcuni mesi dall’approvazione del Consiglio dei ministri e lasciato là a giacere.
Niente di niente, questo governo ha il Guinness dei primati in tema di promesse non mantenute. Il Cavaliere ha scoperto l’effetto dell’annuncio. Gli italiani l’hanno bevuta. Ma adesso sono stufi. L’ha detto Confindustria, lo hanno fatto capire chiaramente i Vescovi della CEI.
Ci attendono giornate di fuoco nel corso dei quali Fini richiamerà Berlusconi alla realizzazione del programma vero, quello che interessa gli italiani. E così rischia di crescere in vista delle elezioni inevitabili la prossima primavera.
Solo in una cosa Fini può sbagliare, come ha sbagliato in passato. Nelle persone che porterà con se in questa avventura. Se saranno ancora modeste e inaffidabili e culturalmente scadenti Berlusconi potrebbe ancora recuperare.
29 settembre 2010
Volgarità gratuite di un Ministro senza idee
di Salvatore Sfrecola
Volgare, come spesso capita a lui e ad altri leghisti, contro lo Stato, ma soprattutto contro “Roma ladrona”, il leader del Carroccio stavolta ha veramente esagerato.
Parlando di federalismo dal palco alla premiazione delle concorrenti di Miss Padania, Bossi ha affermato che ”dopo il federalismo si farà il decentramento dei ministeri” che non possono stare tutti a Roma, dove trovi le scritte ‘S.P.Q.R., cioè Senatus Popoluusque Romanus, che qui al Nord si dice “Sono Porci Questi Romani”. E così fa torto ai suoi concittadini perché quella formula, che campeggia ovunque a Roma e nel Mondo civile, dai tempi dell’impero all’età moderna, racchiude in sé le figure che rappresentano il potere della Repubblica romana. “Il Senato e il popolo”, cioè le due classi dei patrizi e dei plebei che erano a fondamento dello Stato romano. Una realtà storica di grandissima civiltà della quale anche i “nordisti” di Bossi dovrebbero essere orgogliosi, perché non è solo il diritto, ma l’organizzazione dello Stato, i servizi alla comunità, dall’acqua alle fognature alle strade, dicono che Roma non è stata solo una potenza militare ma soprattutto un faro di civiltà, una grande organizzazione statuale che ancora oggi lascia stupiti.
Ebbene, un Ministro della Repubblica, anche se abituato a cavalcare i sentimenti più primordiali della sua gente, non si può permettere di esprimersi nel modo volgare da Masaniello di periferia.
Ha esagerato il leader della Lega e se ne è reso conto presto. Così, ha tentato di rimediare. ”La mia era una battuta, ma dalle reazioni che vedo in queste ore mi viene da pensare che a Roma si sentano in colpa”, ha detto all’ANSA.
”La mia era solo una battuta, una battuta alla Asterix – ha aggiunto, conversando con il cronista – ma vedo che ne hanno fatto un casus belli. Vuol dire che si sentono in colpa. Del resto al Nord hanno portato via prima l’aeroporto di Malpensa e adesso vogliono prenderci anche il Gran Premio di Monza. Il Giro d’Italia non arriva più a Milano, a Venezia hanno impedito di avere le Olimpiadi”. ”Mettiamo insieme tutte queste cose – ha aggiunto il Ministro delle Riforme – e si capisce che il nord non puo’ amare Roma”. ”E in ogni caso – ha concluso Bossi – tutti sanno che io non ce l’ho mai avuta con il popolo romano, ma ce l’ho con Roma apparato che ruba la libertà e la ricchezza a chi la produce”.
L’impressione è che a sentirsi in colpa sia proprio lui, il corrusco leader padano, che cerca consensi dividendo, mentre dovrebbe impegnarsi a valorizzare la storia e le tradizioni delle regioni nelle quali prende voti perché siano espressione preziosa dell’unità nazionale.
E poi basta con Roma apparato “che ruba la libertà e la ricchezza a chi la produce”. S’informi il Ministro, la Ragioneria generale ha ben precisato che le regioni del Nord ricevono da Roma più di quanto danno.
E poi il federalismo fiscale va coordinato con il debito pubblico. Lo Stato trasferisce potere impositivo e risorse, dovrà trasferire anche quota parte del debito, considerato che in buona misura è stato incrementato dalle iniziative che hanno consentito al Nord di mantenere, per esigenze di occupazione, imprese che ovunque sarebbero fallite, Fiat in testa.
Il fatto è che Bossi sente i limiti del federalismo fiscale. Non sa cosa produrrà per i cittadini in tema di tasse e di servizi pubblici e teme che presto le difficoltà ed i costi che sono stati accuratamente nascosti riveleranno sorprese spiacevoli per i suoi conterranei che saranno pure disposti a presentarsi a Pontida e nelle riunioni padane con casco ornato di corna vistose e col volto dipinto dei colori del Carroccio ma non sono certo degli sprovveduti. Il “popolo delle partite IVA” sa fare i conti e vorrà farli con i leghisti per vedere se, alla fine, ci guadagna o meno.
Con l’occasione desidero ricordare a tutti ed a Bossi, in particolare, un passaggio di Giulio Andreotti di qualche anno fa. Intervistato da una televisione privata e richiesto del perché i romani siano disincantati di fronte alle vicende della politica. La risposta del Senatore a vita fu esemplare. “Vede, disse all’intervistatore, ogni anno a Roma vengono in visita ufficiale non meno di sessanta – settanta tra Imperatori, Re, Presidenti di Repubblica, primi ministri e Ministri degli esteri. Ebbene, sono duemila anni che ogni anno quei sessanta – settanta vengono a Roma. Cosa vuole che i romani si preoccupino di queste visite di Stato”.
27 settembre 2010
Il “teatrino della politica” e le angosce degli italiani
di Oeconomicus
Ancora una volta Silvio Berlusconi, dopo il videomessaggio di Gianfranco Fini sulla vicenda della casa di Montecarlo abitata d Giancarlo Tulliani, fratello della sua compagna è tornato ad evocare il “teatrino della politica”, cioè quelle moine, direbbero i napoletani, intorno alle vicende personali ed alle posizioni politiche dei protagonisti del dibattito politico che interessano poco gli italiani. I quali, invece, sono angosciati dalla situazione economica, dai dati della produzione e dell’occupazione sui quali si è diffusa la Presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, che ha affermato senza mezzi termini che la la gente è stufa, non ne può più.
Ed allora vien da pensare che il “teatrino della politica”, che sembra irritare il Premier, sia stato messo in scena per distrarre gli italiani dai problemi reali che li angosciano.
Invitati dai giornali “di famiglia” e dalla TV del cavaliere a ricercare eventuali illeciti sulla vendita dell’immobile lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale dalla Contessa Anna Maria Colleoni ed a diffondersi su illazioni a proposito della disponibilità che dell’appartamento ha il fratello di Elisabetta Tulliani, gli italiani sono stati distratti dai problemi reali del Paese, innanzitutto dalla incapacità della politica di affrontare e risolvere le questioni aperte da anni sulle riforme costituzionali condivise, dal superamento del bicameralismo “perfetto” non più attuale soprattutto in un assetto federale della Repubblica, alla lotta alla corruzione (una riforma “fantasma”, come l’ha definita Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 10 settembre) il cui si occupa un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 1° marzo e che non ha fatto un passo avanti in Senato, dove giace, alla riforma del fisco, un tema che ovunque ha scandito la politica dei governi diretta a favorire la ripresa economica. In Italia abbiamo il fisco di sempre un’arma spuntata rispetto ad ogni politica dio sviluppo.
Come in Germania dove, come ha ricordato la Marcegaglia, si prevede una ripresa superiore al 3 per cento, il dato migliore dell’intera Europa, mentre l’Italia segue in coda. L’Italia, infatti, secondo indicazioni dell’OCSE è il Paese che nel secondo semestre del 2010 risulta in maggiore affanno, perché, tra luglio e settembre l’incremento del PIL rischia di presentarsi con un segno negativo e nell’ultimo quadrimestre la crescita potrebbe risultare vicina allo zero. Le previsioni, infatti, parlano di uno 0,3 per cento, tra luglio e settembre, per attestarsi su uno 0,1 per cento su base annua nell’ultimo scorcio del 2010.
Problemi gravi, con imprese che chiudono e disoccupazione che ha superato l’8 per cento, per cui l’angoscia che colpisce molti italiani, molte famiglie.
Il “teatrino della politica”, è evidente ormai, è servito per confondere le idee agli italiani, per tenerli per un attimo lontani dalla realtà delle cose, perché, invitati ad appassionarsi della vicenda della casa di Montecarlo, si sono divisi tra chi parteggia per Berlusconi e chi per Fini.
Chiusa la parentesi estiva e chiusi ombrelloni e sedie sdraio gli italiani, che non l’avessero capito prima, si vanno accorgendo che questa classe politica, tutta, non è in condizione di amministrare questo Paese. Non la maggioranza, raccogliticcia e mossa più da interessi che da ideali e l’opposizione rissosa e senza idee, che non si fa apprezzare come eventuale forza di governo.
Inizia, dunque, un autunno grigio che fa intravedere una sfilacciatura progressiva della situazione politica per arrivare alle inevitabili elezioni anticipate nel peggiore dei modi, con il rischio di riconsegnarci un Paese ancora più ingovernabile.
26 settembre 2010
Garantismo vero e impunità
di Iudex
Parola magica il “garantismo” esprime un’idea che è un principio sacrosanto, iscritto nella coscienza degli uomini prima che nelle Costituzioni e nelle leggi. Regola di civiltà, secondo la quale un cittadino è colpevole solo dopo una sentenza definitiva dei giudici “precostituiti per legge”. Non solo, garantismo significa anche che alla sentenza si deve pervenire attraverso il rispetto di alcune regole che attengono alla istituzione del giudice, alla posizione del Pubblico Ministero, alla formazione delle prove e al dibattimento.
Sono regole antiche che abbiamo richiamato più volte dal diritto romano le quali dimostrano la saggezza dei nostri maggiori della quale sovente ci dimentichiamo rincorrendo esperienze straniere che, vedi caso, si ispirano al medesimo diritto romano nella versione della common law, magari senza darlo a vedere.
Questo è il garantismo vero, sul quale unanime è il consenso.
C’è, poi, il garantismo dei furbetti che, in realtà significa impunità. Il garantismo di quelli che contrastano i pubblici ministeri e giudici per il solo fatto che si occupano di loro o si permettono di giudicarli. Si tratta di affaristi, politici di basso profilo, magari di alto rango, quasi sempre senza arte né parte, abili soprattutto a trarre profitto dalla carica ricoperta perché lì collocati da altri affaristi e profittatori della cosa pubblica, per allargare il giro dei compari e degli affari.
Basta ricordare che Silvio Berlusconi, all’atto della formazione del suo primo governo, nel 1994, voleva nominare Ministro della Giustizia Cesare Previsti, un avvocato del quale a Roma era nota la propensione ad occuparsi soprattutto di affari, piuttosto che frequentare le aule dei tribunali, tanto che qualcuno, per celia, diceva che non sapesse neppure dove fossero ubicati.
Inquisito e condannato, ritenuto dal Premier vittima dell'”accanimento giudiziario”, ha dovuto lasciare lo scranno parlamentare.
Perché Berlusconi voleva affidare ad un simile personaggio con più di qualche problema giudiziario, un Ministero delicato come quello della Giustizia? Pensava forse che da quella posizione avrebbe potuto alleggerire le sue (del Cavaliere) vicende giudiziarie?
Garantismo sì, impunità no, dev’essere il motto di una politica che faccia veramente gli interessi Stato e della gente e non si serva del potere per interessi propri.
Così la decisione di respingere la richiesta della magistratura di utilizzare le intercettazioni telefoniche che riguardano anche l’ex Sottosegretario Cosentino non ha rappresentato una pagina di garantismo ma di difesa della “Casta” nelle cose indifendibili, laddove un’inchiesta giudiziaria deve fare il suo corso, sempre, ma soprattutto se riguarda un uomo pubblico con responsabilità di gestione del denaro di tutti. Affinché agli occhi dei cittadini risulti privo di preoccupazioni per l’inchiesta della magistratura. Perché se, invece, le ha (le preoccupazioni) vuol dire che non si ritiene innocente. Per cui ricorre alla copertura parlamentare, un istituto nato per difendere la libertà dei rappresentanti del popolo nei confronti dell’aggressione politica che metta in forse l’esercizio della funzione.
Brutta, bruttissima questa classe politica che si difende non come tutti gli altri cittadini ma con il classico “lei non sa chi sono io”. Il potere è servizio alla comunità. Speriamo che torni il buongusto della politica.
25 settembre 2010
L’ossessione del Cavaliere
Il Milan perde? Colpa degli arbitri “di sinistra”
di Gianni Torre
Arbitri “di sinistra”! Dopo i giudici “di sinistra”, Silvio Berlusconi estende il suo anatema a chi avrebbe favorito la sconfitta del suo Milan
“Di sinistra” perché sa che alla maggioranza degli italiani quella qualificazione “politica” disturba moltissimo. E lo dice impunemente lui che della sinistra di Bettino Craxi si è giovato ripetutamente essendo amico del leader socialista che, divenuto Presidente del Consiglio, mise nel nulla le sentenze dei pretori che avevano oscurato le nascenti televisioni dell’amico Silvio. Così, trovandosi all’estero per motivi istituzionali, Craxi fece in fretta e furia le valige per riunire il Consiglio dei Ministri e varare un decreto legge che rese legittime le trasmissioni delle TV del Cavaliere.
Dev’essere stato in quell’occasione che Silvio Berlusconi ha pensato che, per risolvere i problemi finanziari delle sue imprese che sui giornali dell’epoca erano date come indebitate per molte centinaia di miliardi di lire e per risolvere i problemi giudiziari latenti, era necessario scendere in politica, farsi un partito su misura e conquistare la maggioranza, dopo che le precedenti coalizioni, anche quelle dominate dall’amico Bettino, erano state spazzate via dalla bufera di Tangentopoli.
Allora Bettino Craxi, cui va dato atto di una grande coerenza ed onestà intellettuale, in un’aula di Montecitorio, affollatissima, tuonò contro il sistema di finanziamento illecito dei partiti.
Parlò nel silenzio. “Lo fanno tutti”, disse. Ma tutti rimasero in silenzio,come sdegnati. Né mai perdonarono quel politico che aveva sollevato il coperchio della pentola del malaffare. E lo fecero morire all’estero, quando avrebbe voluto farsi curare in Italia.
Del resto questa classe politica, nella quale abbondano coloro che fanno finta di servire lo Stato per meglio servirsene per i propri affari, non ha avuto il coraggio civile di consentire a Re Umberto II, erede della Dinastia che ha fatto l’Italia, di morire in quella terra che aveva lasciato nel 1946 esprimendo null’altro che una dignitosa protesta per un referendum dalle molte ombre, coma ha scritto ancora di recente Francesco Perfetti, uno dei nostri massimi studiosi di storia contemporanea.
Tornando all’ossessione dell’uomo dei sondaggi che ha “scoperto” la diffusa ostilità degli italiani per la sinistra, un tempo incarnata dal Partito Comunista Italiano e dal sindacato che fungeva da “cinghia di trasmissione” del consenso, c’è da augurarsi che prenda corpo un vasto movimento moderato, democratico e autenticamente liberale capace di mettere nell’angolo i furbetti della politica che mescolano affari e governo. Un partito nel quale si prenda atto dei mascalzoni, che comunque allignano in ogni forza politica, per metterli fuori quando i giudici ne accertano la colpevolezza, avendo prudenzialmente tolto a siffatti personaggi le responsabilità di partito e di governo. Una cosa seria,non la giustizia di partito che piace tanto al Cavaliere e che gli ha fatto affermare che i mascalzoni dal Pdl sono stati cacciati.
18 settembre 2010
Trasformismo, antico male italiano
di Senator
La stampa, tranne quella “di famiglia” è andata giù pesante, con commenti da querela. L’ipotesi di un nuovo gruppo parlamentare facente capo al repubblicano Francesco Nucara per appoggiare il governo in bilico dopo la formazione di Futuro e Libertà di Gianfranco Fini è parsa a tutti come l’ultimo episodio di un antico vizio italiano, quello del trasformismo.Un male della politica proprio di una classe dirigente senza ideologie e con poche idee, quelle che si possono riassumere nell’attaccamento al potere ad ogni costo, anche passando da un gruppo ad un altro in barba alla volontà dell’elettorato.
Un’immagine diseducativa per i giovani i quali sono indotti a ritenere che la politica sia questo mercimonio del potere nell’assoluta indifferenza per il voto popolare del quale si può impunemente fare un uso e perfino opposto a quello che i cittadini avevano previsto ed accettato.
Ne risentirà anche il beneficiario di queste trasformazioni che fino a qualche giorno fa insisteva sulla decisione degli italiani nei suoi confronti nelle elezioni del 2008.
Il Cavaliere che condanna chi potrebbe lasciare la coalizione perché verrebbe meno alle indicazioni elettorali è lo stesso che va a caccia di parlamentari di altri partiti. Forse che i loro elettori non meritano lo stesso rispetto di quelli che hanno votato il Popolo della libertà, un partito che non vuole definirsi partito per non dover seguire le regole della democrazia interna che ovunque, in Occidente, connota questa organizzazione del consenso elettorale.
Vedremo come andrà a finire questa vicenda che scandalizza molti, com’è giusto. Anche se in molti momenti della storia italiana uno o più parlamentari, secondo le esigenze della maggioranza, sono passati armi e bagagli nelle fila dei sostenitori del governo, senza neanche il pudore di giustificare la scelta con motivi di principio, magari frettolosamente definiti.
Andrà così anche questa volta? Già scoppia la guerra tra Francesco Nucara, Segretario del Partito Repubblicano Italiano ed organizzatore del nuovo gruppo e Giorgio La Malfa, Presidente dello stesso Partito e figlio di quell’Ugo che fu una delle icone della Prima Repubblica, difensore del bilancio dello Stato e fustigatore di costumi.
Alla vigilia dell’incontro Berlusconi – Nucara il Presidente del Consiglio era andato alla festa di Giorgia Meloni, l’inconsistente Ministro della gioventù per parlare, come sempre, di se stesso spiegando ai giovani lì convenuti che ha successo perché è simpatico, ha “il grano” e poi, essendo vecchio, tutti pensano che muoia presto.
Che abbia messo in campo un pò di “grano” per alimentare alcuni piccioni viaggiatori? Come dice Andreotti a pensar male si fa sicuramente peccato, ma s’indovina quasi sempre.
16 settembre 2010
Vorrebbe distruggere copie del Corano
l poco reverendo incendiario e idiota
di Salvatore Sfrecola
Come dice un mio amico, l’unica malattia incurabile è l’idiozia. La diagnosi si attaglia perfettamente al poco reverendo Terry Jones, un oscuro Pastore giunto agli “onori” della cronaca internazionale per aver preannunciato la distruzione di un certo numero di copie del Corano, incendiandole.
L’idea di distruggere un libro religioso è, di per se, espressione di una mentalità intollerante e di assenza assoluta di cultura. Quel testo, fondamentale della religione musulmana, oltre che esigere rispetto, come il testo sacro di tutte le religioni, è alla base della fede e della cultura di una parte rilevante della popolazione mondiale, attraversata da tensioni forti che, in alcune aree del mondo, si sono espresse, in passato ed ancora di recente, prevalentemente per problemi politico-economici locali, in forme terroristiche delle quali ancora vivo è l’orrore, in particolare nella data odierna.
Non c’era bisogno, dunque, che l’incendiario idiota gettasse benzina sul fuoco, mettendo in allarme le polizie di mezzo mondo, nel timore di attentati.
Anche se non vi fossero queste preoccupazioni, l’idea di distruggere copie del Corano è comunque folle, irrispettosa di una grande religione, una iniziativa della quale il poco reverendo Jones dovrebbe chiedere scusa. Naturalmente è molto improbabile che lo faccia, a dimostrazione che questo “pastore di anime” è assolutamente inadatto al ruolo.
Nell’occasione va sottolineata l’irresponsabilità di certo giornalismo che ha amplificato oltre ogni esigenza di informazione l’iniziativa di Jones, così creando tensioni e diffondendo preoccupazioni delle quali il mondo intero, scosso da non irrilevanti problemi economici e sociali, certamente non sentiva il bisogno.
11 settembre 2010
Ma non passerebbe l’esame
Fini “costituzionalista” al TG de La 7
di Senator
Costituzione alla mano, con annesso regolamento della Camera, Gianfranco Fini ha spiegato ad un Enrico Mentana assai poco grintoso qual’è la sua interpretazione della vicenda che lo vede protagonista in relazione alla richiesta che Berlusconi e Bossi vorrebbero fare al Capo dello Stato perché il Presidente della Camera si dimetta.
E’ stato facile per lui dire che il Governo non può interferire nell’autonomia della Camera, dimenticando che evidentemente Berlusconi e Bossi non salirebbero al Quirinale come uomini di governo ma come esponenti di quei partiti che lo hanno votato Presidente della Camera.
La questione, tuttavia, non è evidentemente di competenza del Capo dello Stato ma dell’Assemblea di Montecitorio la quale, legittimamente, potrebbe sfiduciare il Presidente. E’ una regola di tutte le assemblee, comprese quelle di condominio, che il Presidente eletto possa essere sfiduciato. E’ la regola degli organi collegiali democratici che non sarebbero più tali se il Presidente, una volta eletto, non fosse sostituibile. E’, infatti, possibile che la “sfiducia” del Presidente sia conseguenza dell’approvazione “di uno specifico atto di indirizzo recante la sfiducia al presidente” (Magrini, commento dell’art. 63 della Costituzione, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di Bartole e Bin, Padova, 2008, CEDAM, pagina 585).
Fini, dunque, può essere sfiduciato. E questo è un fatto politico sul quale non intendiamo intervenire, anche se stamattina Publicus ha affermato che un Presidente impegnato come capo di una fazione dovrebbe sentire il dovere di fare un passo indietro, pur non essendo in discussione la capacità di Fini di rispettare e far rispettare il regolamento e di dirigere con assoluta indipendenza l’Assemblea. E’ un problema di opportunità. D’altra parte tutti i Presidenti sono stati uomini di partito ma con ruoli secondari, anzi, sia pure momentaneamente, senza nessun ruolo. Questo non è di Fini che, se non ha un ruolo formale in Futuro e Libertà ne è l’ispiratore, come attesta il discorso di Mirabello.
Abbiamo solo voluto fare alcune precisazioni in punto di diritto. L’evoluzione della situazione politica è altra questione che in questo momento non ci interessa.
Apprezzabile l’ironia di Fini quando ha affermato che resterà alla guida dei deputati per tutta la legislatura. E’ probabile, infatti, che da uomo politico di esperienza ritenga che la legislatura sia in ogni caso agli sgoccioli.
7 settembre 2010
“Non c’è ombra di dubbio”, dopo Mirabello
Fini deve lasciare la Presidenza della Camera
di Publicus
“Non c’è ombra di dubbio”, l’interlocuzione tanto cara a Fini, ripetutamente enunciata in tutti i suoi discorsi, stavolta si attaglia alle valutazioni che si stanno facendo nelle sedi istituzionali e da parte degli studiosi di diritto costituzionale in ordine alla sua permanenza alla Presidenza dell’Assemblea di Montecitorio per dire che debba lasciare l’incarico. “Non c’è ombra di dubbio”, infatti, che la Presidenza di una Assemblea parlamentare impone, a chi esercita quel ruolo, di svolgerlo con indipendenza ed equilibrio rispetto alle forze parlamentari che in quella realtà si confrontano.
Ma non è solo una questione di esercizio, in concreto, della funzione. È la stessa immagine del Presidente dell’Assemblea che ne va di mezzo se la personalità che ricopre l’incarico, ancorché coinvolta nelle forze politiche presenti in Parlamento, è la massima espressione di una delle fazioni che si contrappongono nel dibattito politico.
Sotto questo profilo “non c’è ombra di dubbio” che Gianfranco Fini agli occhi degli italiani e dei parlamentari degli altri gruppi sia diventato, soprattutto dopo il discorso di Mirabello, il leader di partito, non per essere il destinatario dell’attenzione di un gruppo di parlamentari, ma per esserne sostanzialmente il capo che ha manifestato critiche molto vivaci e dure nei confronti dei partiti della maggioranza della quale fino ad ora ha fatto parte e che afferma ancora di sostenere in Parlamento.
Sotto questo profilo le osservazioni critiche di Berlusconi e Bossi, che si sarebbero orientati a chiedere al Capo dello Stato che si faccia promotore nei confronti del Presidente della Camera di una sollecitazione alle dimissioni non sono del tutto infondate.
A questo proposito non ha torto Francesco Storace, leader de La Destra, il quale ha affermato, come riferisce l’agenzia Ansa, che “Fini ha aperto un gigantesco problema costituzionale. In caso di crisi e consultazione, quale garanzia di terzietà offrirà al Capo dello Stato?”. Infatti, nella prassi delle consultazioni parlamentari, alle quali il Capo dello Stato ricorre per avere elementi di conoscenza sui possibili sviluppi di una crisi governativa, i Presidenti delle Assemblee parlamentari vengono ascoltati perché possono rappresentare con obiettività gli orientamenti dei gruppi parlamentari in ordine alla situazione che si è venuta a creare. Tale valutazione dei Presidenti di Camera e Senato è evidentemente particolarmente delicata, perché si tratta di cogliere dai comportamenti dei vari gruppi delle indicazioni che possano agevolare il capo dello Stato nella soluzione della crisi governativa. Sotto questo profilo è evidente che Gianfranco Fini, che è certamente l’elemento centrale, con la sua azione politica, della crisi che si potrebbe aprire, appare il meno adatto a svolgere una funzione di accertamento sine ira ac studio degli umori dell’Assemblea di Montecitorio.
In sostanza il leader di Futuro e Libertà è talmente coinvolto nella situazione attuale fonte di una eventuale crisi da non apparire sereno nella valutazione di come la vedono i gruppi parlamentari e riferire al Presidente della Repubblica.
Il coinvolgimento di Fini della polemica di questo giorni, nonostante ogni suo sforzo personale e ogni tentativo di assumere il massimo dell’indipendenza, sarà necessariamente sempre condizionato dalla scelta di Mirabello, una decisione assunta dopo una lunga polemica e, direi, dopo anni di contrasto con Berlusconi, che hanno avuto un andamento carsico, emergendo di tanto in tanto ed essendo sopiti solamente per le necessità del momento.
Sarebbe dunque un atto di responsabilità, che certamente apprezzerebbero gli italiani ed anche coloro i quali si riconoscono nella prospettiva politica di Futuro e Libertà che Gianfranco Fini lasciasse la Presidenza della Camera per essere anche più libero di confrontarsi con Berlusconi e Bossi e con tutti gli altri leader del Parlamento. Il momento è talmente delicato per il nostro futuro politico che la figura di un Presidente della Camera capo di una fazione non costituirebbe un motivo di chiarezza, ma un ulteriore esempio di confusione politica ed istituzionale.
7 settembre 2010
Dopo il discorso di Fini a Mirabello
La strada obbligata delle elezioni
di Senator
A Mirabello Fini a aperto la campagna elettorale che si concluderà la primavera prossima. Poco male, era inevitabile. Dopo essere stato messo fuori dal Pdl il 29 luglio scorso con accuse varie, tutte politicamente pesanti, come il mancato rispetto dei patti elettorali e lo “stillicidio” di polemiche nei confronti del Governo e della sua maggioranza, dopo un’estate all’insegna di una campagna giornalistica che ha investito lui e la famiglia della sua compagna per essersi giovata del potere del Presidente della Camera, Fini non poteva far altro che denunciare il clima illiberale nel Popolo della libertà, che lo ha espulso senza che potesse difendersi. E ne decreta la fine, anzi la mancata completa formazione.
Volta pagina il leader di Futuro e Libertà e guarda avanti, rompe definitivamente con i suoi ex colonnelli e qualche capitano, ha detto, da tempo passati nelle fila di Berlusconi, già al tempo di Alleanza Nazionale. Offre una gamba al traballante tavolo della maggioranza, ma solo nella consapevolezza che non ci sono i tempi tecnici per votare a novembre. Tutto sommato Fini fa un piacere a Berlusconi perché una crisi in questi giorni potrebbe anche trovare la soluzione in un governo “a tempo” fino alle elezioni. Un governo che impedirebbe al Cavaliere ed ai suoi alleati di fare campagna elettorale in auto blu, Se, invece, il governo cade all’inizio del prossimo anno è più difficile trovare chi sia disponibile ad impegnarsi per due e o tre mesi in vista del voto.
Un colpo al cerchio ed uno alla botte, dunque, quando il Presidente della Camera offre al Cavaliere lo “scudo giudiziario”, la sua massima preoccupazione da quando è sceso in politica ormai privato di quelle tutele che Craxi gli aveva sempre assicurato e che certamente avrebbe continuato a garantirgli se il leader socialista non fosse stato spazzato via da Tangentopoli.
Inizia dunque la campagna elettorale, una lunga preparazione al voto che non farà bene al Paese, per la stasi inevitabile dell’attività legislativa più rilevante, per i colpi di coda che l’accompagneranno a danno delle istituzioni. Una lunga campagna elettorale che significa sempre spesa pubblica fuori controllo, elargizioni a pioggia nelle aree sensibili dei politici che contano.
Soldi al vento e un Paese nel quale ancora l’altro ieri su Il Sole 24 Ore Antonio Martino ricordava la necessità di ridurre l’area dello Stato per aprire al mercato, con la precisazione, sulla quale abbiamo più volte insistito, che il male non è tanto nella misura della spesa pubblica, che comunque va ridotta. E’ la qualità degli interventi a carico dei bilanci pubblici a fare la differenza, la capacità della spesa di essere elemento di propulsione nei confronti dell’economia, offrendo nel contempo servizi validi alla comunità. Servizi amministrativi, importantissimi per l’attività delle imprese, e servizi alla persona, nei settori della sanità e della scuola. In particolare nella sanità, che è dovere primario della Repubblica assicurare ai cittadini, gli sprechi sono enormi, come la cronaca quotidiana denuncia, come le inefficienze dolorose e ingiuste ai danni dei più deboli perché bisognosi di cure.
Inizia una lunga campagna elettorale, con mesi di polemiche, dossier e recriminazioni, che apriranno nuove ferite nel tessuto sociale del nostro Paese e contribuiranno al discredito della classe politica e ad allontanare i cittadini dalle urne od a convogliare la loro attenzione su movimenti estremistici con i quali nessuno, il giorno dopo, vorrà fare un governo.
In prospettiva, dunque, un governo con una scarsa base elettorale, soggetto ad ogni stormir di foglia. Dice bene Napolitano. Occorre rinnovare la classe dirigente e che abbia, prima di tutto, senso delle istituzioni, dopo la stagione, che si avvia inesorabilmente a conclusione, degli affaristi e dei profittatori.
Occorre ripristinare una regola antica, quella della denuncia pubblica, all’ingresso in politica, del patrimonio proprio e dei familiari con rendiconto annuale delle variazioni, perché nessuno possa arricchirsi illecitamente a danno della comunità e della sua immagine.
6 settembre 2010
Alleanza Nazionale e Forza Italia
Quel “matrimonio” che non si doveva fare
di Senator
Ormai sono in molti a rendersene conto. La fusione di Forza Italia e Alleanza Nazionale, in pratica la confluenza del Popolo della Libertà, il partito nato dal discorso “del predellino” non si doveva fare. E sembrava che non si sarebbe fatto quando, all’indomani del discorso in Piazza San Babila, Gianfranco Fini liquidò la proposta di Silvio Berlusconi con un lapidario “siamo alle comiche finali”. Per poi fare rapidamente marcia indietro e confluire come cofondatore nel nuovo partito.
Molto più saggio Bossi, che con un “no grazie” ha mantenuto la sua autonomia, la sua forza, ottenendo in pratica tutto quel che voleva, dal federalismo fiscale, sia pure in progress, al federalismo demaniale. E continua a premere sul Cavaliere condizionandone la politica, anche con le sue sollecitazioni a ricorrere alle urne. Sia pure a giorni alterni, sfogliando la margherita, “mi conviene, non mi conviene, io vinco, perde Berlusconi”, e via dicendo.
Quel matrimonio non si doveva fare perché i due protagonisti erano perfettamente consapevoli che il “fidanzamento”, durato ben cinque anni, nell’esperienza di governo tra il 2001 e il 2006, non aveva prodotto quell’armonia che è fondamentale in un rapporto a due. Troppo diversi Berlusconi e Fini, l’imprenditore disceso in politica per evidenti motivi personali, in pratica per superare le difficoltà delle sue imprese, puntualmente descritte dai giornali nei primi anni ’90, e il politico cresciuto all’ombra di Giorgio Almirante, il leader del Movimento Sociale Italiano che aveva “scoperto” il giovane dirigente e lo aveva investito del ruolo di delfino.
Troppo diversi, nel fisico e nello stile, l’imprenditore arrogante, che stima solo coloro che può “assumere”, che non ammette di essere contraddetto, che ama circondarsi di yes men, rotondetto e caracollante, e il politico dalla parola facile, che evoca temi cari allo schieramento che l’ha prodotto, Dio, Patria, Famiglia, fisico asciutto, che piace alle donne, nonne e nipotine, passando per le madri. Il suo handicap è l’entourage. Fedelissimi, certamente, ma scarsi negli studi, quasi tutti nati e cresciuti all’ombra del capo. I pochi “intellettuali” sono i “giornalisti”, gente che non è riuscita ascrivere al di l’là de Il Secolo d’Italia, il giornale del partito. Tanto è vero che quando l’MSI, a Fiuggi, diventa Alleanza Nazionale e vi interviene Domenico Fisichella, politologo di vaglia, a molti darà fastidio questo intellettuale che scrive un libro l’anno in un ambiente che di libri non ne legge pochissimi.
È forse proprio la modestia dei collaboratori che fa intravedere a Fini, dopo la prima, istintiva, ripulsa, l’utilità di immergersi nel mare magnum del PdL, abbandonando i Gasparri, i La Russa, i Matteoli, i “Colonnelli” già passati armi e bagagli sotto la benevola ala protettrice del Cavaliere che, infatti, li ha premiati con importanti posti di governo e parlamentari.
Fini deve aver pensato di essere finalmente libero, senza i condizionamenti di partito, di lavorare in vista della successione a Berlusconi o, comunque, di una collocazione migliore. Qualcuno deve avergli fatto balenare l’idea che da Montecitorio, dimostrando attenzione per le istituzioni, fosse agevole traslocare al Quirinale, anche per la simpatia che la sinistra sembrava nutrire nei suoi confronti.
Ma l’ex leader dell’ex Alleanza Nazionale ha dovuto presto rendersi conto che il disegno non era agevole, che senza un adeguato riferimento ad intellettuali e ad esponenti delle professioni e delle istituzioni (scorrere l’elenco degli aderenti alla sua Fondazione FareFuturo è deprimente) non sarebbe andato molto lontano, non avendo più un peso politico che nel PdL non avrebbe mai potuto assumere, considerato che in quel partito, come ha detto giorni fa Italo Bocchino a In Onda de La7, vige un regime di monarchia assoluta, neppure, aggiungiamo noi, illuminata.
Eppure Fini aveva sperimentato, nel corso della sua Vicepresidenza del Consiglio, tra il 2001 e il 2006, come Berlusconi non gli riconoscesse nessun ruolo, neppure marginale, neppure quella modesta direzione del Dipartimento degli Affari Economici della Presidenza del Consiglio, che pure gli aveva promesso e che aveva tanto entusiasmato Mario Baldassarri, l’economista di AN.
Ha prevalso il desiderio di apparire, il tallone di Achille di Fini. Quella voglia di riscatto di chi è vissuto per troppo tempo all’opposizione e si bea della vetrina scintillante del Ministero degli esteri o della Presidenza della Camera, trascurando che la carriera di un politico che voglia ambire alle più alte cariche dello Stato nasce necessariamente dalle responsabilità di governo, cosa che Fini, un po’ scansafatiche, ha sempre accuratamente tenuto lontano. Come quando gli fu offerto il Ministero delle attività produttive o quello dell’Economia e delle finanze, dopo le dimissioni di Giulio Tremonti.
Se avesse voluto contare nel Pdl Fini avrebbe dovuto chiedere, all’atto della formazione del governo, un ministero di peso, gli interni, l’economia, la difesa. Sarebbe stato assumersi responsabilità di gestione, cosa che il Nostro disdegna. Eppure la difesa sarebbe andata a pennello per lui, grande esposizione internazionale, più del Ministro degli esteri, distribuzione di enti sul territorio, sicché avrebbe potuto visitare oggi una base della Marina, domani una dell’Aeronautica e poi Stazioni dei Carabinieri, caserme in ogni regione d’Italia, ravvivando i rapporti con i politici locali. Senza trascurare che la Difesa è collegata all’industria più rilevante sul piano dell’alta tecnologia. E poi, per un pigrone come lui, si tratta di un Ministero che cammina da solo, che i generali e gli ammiragli curano nel dettaglio, che sanno soddisfare il gusto dell’apparire di uno come Fini. Oggi con una cerimonia sul Vespucci, domani ad una parata aerea, dopodomani, e tutti i giorni, scarrozzandolo per l’Italia con tutti i mezzi possibili.
Così, quando Gianfranco Fini si è accorto che nel Pdl contava praticamente zero, che non era in condizione di emergere neppure sulla lunga distanza, senza più un partito, ha pensato di riconquistare la sua autonomia.
Ed oggi a Mirabello dirà che è fedele alla maggioranza uscita dalle urne del 2008, non più a due ma a tre.
Cosa cambia? Moltissimo perché il governo, nessuno s’illuda, è destinata a tirare a campare in attesa che tiri le cuoia, per andare davanti agli elettori in condizioni difficili e con la ragionevole certezza, anche se in politica può accadere di tutto, che non si riproduca il risultato del 2008 con una maggioranza robusta ma inerte, sempre perché raccogliticcia. È questo il destino dei generali modesti, che si circondano di uomini modesti e, ovviamente, presuntuosi. Una miscela che la storia ha dimostrato deleteria per chi pretende di amministrare il potere.
L’ho detto più volte a Berlusconi ed a Fini. Caccino i consiglieri la cui unica virtù è la fedeltà, interessata, e a tempo. Un po’ di studi servono, a tutti. Ma se leggono poco i capi possono mai pretendere buone letture dai gregari?
Sono i limiti della classe politica italiana di oggi.
5 settembre 2010
Che dirà Fini a Mirabello?
Aspettando Godot!
di Senator
Waiting for Godot, la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett, del genere teatro dell’assurdo, torna in mente alla vigilia del discorso che Gianfranco Fini farà a Mirabello, il piccolo paese in provincia di Ferrara dove tradizionalmente si tiene la Festa Tricolore del Secolo d’Italia.
I protagonisti della “Tragicommedia” di Beckett, costruita intorno alla condizione dell’attesa, stanno aspettando su una desolata strada di campagna un “certo Signor Godot”. Passano i giorni ma Godot, non appare mai sulla scena, né si dice mai niente sul suo conto. Egli si limita a mandare un ragazzo il quale dirà ai protagonisti che “oggi non verrà, ma che verrà domani”.
L’ultima frase del libro è and they’re still waiting for Godot.
Perché Aspettando Godot alla vigilia del discorso di Mirabello? Perché, a mio modo di vedere, vivremo ancora situazione di incertezza, anche se i protagonisti della politica, in una tregua armata, si studiano, ascoltano i loro consiglieri e quanti “sanno” o millantano di sapere quali saranno le mosse del Presidente della camera.
Ieri sera a In onda, la rubrica di approfondimento de La7 Italo Bocchino, Capogruppo dei finiani alla Camera, ha detto che quello di Fini “sarà un discorso non scontato, rilevante ai fini del prosieguo della legislatura, ma non traumatico. Dire che Mirabello rappresenterà un passaggio che farà si che il Pdl il giorno dopo non sarà più quello che è stato fin ad adesso è una buona previsione”.
Un’affermazione da interpretare, anche per quel “rilevante ai fini del prosieguo della legislatura, ma non traumatico”, che vuol dire tutto e il contrario di tutto.
Berlusconi è rimasto ad Arcore, con il fido Letta, con tutti i sensori attivi, anche perché, qualunque cosa dica Fini, spetta al Cavaliere una replica, un commento.
In queste ore il Premier non sa cosa augurarsi. La vicenda del contrasto con il Presidente della Camera in ogni caso lo ha scosso. Dimostra sicurezza ed una certa spavalderia, ma sa che la solidità del Pdl è incrinata, all’interno ed agli occhi degli elettori perché chi ha votato per la presenza di Fini può avere dei ripensamenti.
Qualcuno ha scritto che Berlusconi spera che Fini metta un piede in fallo, che annunci la nascita del nuovo partito. Addossare la responsabilità della rottura all’ex leader di AN tuttavia non sarà facile neppure in questo caso. È stato pur sempre Berlusconi a cacciare Fini che dovrà giocarsi la carta dei distinguo, per una posizione politica distinta ma più o meno distante. Con abilità.
Berlusconi ha fretta di chiarire una situazione che logora la maggioranza e la sua stessa immagine di leader sottoposto ad indagini giudiziarie. “Fini e i pm – si è sfogato due giorni fa a palazzo Grazioli, ha scritto Francesco Bei su La Repubblica – mi vogliono far ritirare con ignominia dalla vita politica. A Milano hanno già scritto una sentenza di condanna, vogliono la mia morte politica dopo 16 anni di impegno per il Paese”.
Che dirà, dunque, Fini?
È probabile che segua le orme di Bossi, che giuri fedeltà al programma della maggioranza, sottolineando come, all’atto della sua realizzazione, quel programma vada “interpretato” alla luce della Costituzione. Un maggioranza a tre, per portare avanti la legislatura in un dialogo costante con Berlusconi e Bossi senza l’intermediazione, per il leader di Futuro e Libertà, dei colonnelli da tempo arruolati dal Cavaliere, quelli che alla Caffetteria di Piazza di Pietra a Roma avevano sentenziato la sua fine politica e le cui cariche di partito lui aveva immediatamente azzerato.
Quanto ai problemi con la Giustizia Fini sarebbe disponibile ad uno ius singulare per il Cavaliere, che non si traduca nella generalizzata amnistia del processo breve”, con danni incalcolabili per le vittime dei reati.
Saranno tutti con Fini i “futuristi” della prima ora? Il Cavaliere imprenditore spera, ovviamente, che il gruppo dei finiani si sfilacci, con lusinghe e minacce per quanti aspirano od occupano posti di governo e di responsabilità nelle Camere.
Calcoli difficili, 35 o 33 parlamentari alla Camera sarebbero sempre l’ago della bilancia della maggioranza.
Non ci resta che attendere. Per capire se a Mirabello ci sarà una nuova svolta, dopo quella che, a Fiuggi, trasformò il Msi in An.
“Domani è un altro giorno”, titola oggi Il Secolo d’Italia sulle orme di Rossella O’Hara. E aggiunge “Mirabello sarà la nostra Pontida”.
Bossi, intanto, spera “che domani Fini non dia fuori di testa perché altrimenti Berlusconi avrà difficoltà a trovare i numeri per far approvare le leggi”.
”Comunque vada – è il giudizio del leader della Lega, il vero uomo forte della coalizione di Centrodestra – il federalismo passerà. Ma vedo un presidente del consiglio dimezzato perché ha una via stretta e dovrà chiedere i voti all’Udc o a Fini. La vedo male”.
Aspettando Godot. Perché è probabile che il discorso di Mirabello non risolverà i problemi. Nell’Italia dei cerchiobottisti, di coloro, cioè, che sono abituati a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, è probabile che Fini, la cui capacità elettorale è stimata intorno al 3 per cento, la stessa rilevata alla vigilia della confluenza di AN nel Pdl, farà affermazioni di principio e di fedeltà alla maggioranza riservandosi di decidere in Parlamento di volta in volta. Ciò che Berlusconi non vuole. L’idea del Presidente della Camera, convinto che il Cavaliere sia politicamente vicino al capolinea e lusingato dall’attenzione dell’opposizione, che gli fa intravedere possibilità quirinalesche, è quella di tirare a campare fino all’inizio del 2011 quando sarà possibile programmare le elezioni in primavera con un Pdl esangue ed un Premier dimezzato. Ed il suo partito organizzato sul territorio.
4 settembre 2010
Non ci voglio credere!
All’aeroporto di Verona
Controllo a sorpresa… con preavviso
di Publicus
Non ci voglio credere! La notizia che leggo sull’Espresso in edicola oggi è di quelle che sconvolgono chi ha senso dello Stato e fiducia nelle istituzioni. E viene subito l’espressione abusata di “controlli all’italiana”, dove quell'”all’italiana” è quanto di più umiliante si può immaginare, deprimente e desolante, come ha scritto il nostro ultimo lettore del quale abbiamo pubblicato un’analisi “impietosa” della situazione del nostro Paese.
Ebbene la notizia è questa. All’Aeroporto di Verona i controlli “a sorpresa” sarebbero stati preannunciati. “Signori – scrive l’Espresso – , all’erta, veniamo a controllarvi a sorpresa: questa la sostanza dei messaggi dell’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, all’aeroporto Catullo di Verona. È il 13 febbraio 2009 e un ispettore dell’Enac invia una mail a un dirigente dello scalo: “Anticipo che il giorno 19 febbraio eseguirò una verifica sulle modalità di controllo del bagaglio a mano”. Il messaggio viene girato all’istituto di vigilanza al quale è affidato il servizio.
Il fatto si ripete a settembre, quando un responsabile dell’istituto informa le guardie che sta arrivando un altro controllo. Era stato lo stesso Enac, un anno prima, a denunciare una falla nella sicurezza dello scalo segnalando il “rinvenimento di un paio di forbici con lama di 8 cm su un volo partito da Verona”. Da qui i controlli “a sorpresa”: abbondantemente preannunciati P.T.”
Non ci voglio credere e sono certo che Vito Riggio, Presidente di Enac, smentirà la notizia o, se vera, informerà la stampa che il responsabile di questo gravissimo “disservizio” è stato individuato e punito.
Il Paese, purtroppo, assai spesso si perde in queste inefficienze, con la negazione, nei fatti, della norma giusta. Il nostro Direttore ha scritto in un’occasione che in Italia spesso le leggi si fanno per accontentare una parte della popolazione e non si applicano per accontentare l’altra parte.
Sarebbe ora di diventare un Paese serio. Magari approfittando della ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, quando un consistente gruppo di gentiluomini, con fede nello Stato e nella libertà, s’imbarcarono nell’avventura risorgimentale per fare l’Italia nella fiducia che sarebbe stato poi più facile fare gli italiani.
C’è bisogno di intervenire in tutte le direzioni anche perché non posso credere che, se vere, queste disfunzioni accadono solamente all’Aeroporto di Verona!
3 settembre 2010
Come và l’Italia
Un’analisi impietosa, un quadro desolante
di Civis desolatus
In questo periodo non si è fatto altro che parlare di Fini, della sua compagna e dei problemi a corollario. E’ stato il tormentone dell’estate, ogni giorno si poteva scommettere quali potevano essere le mosse e contromosse da parte dei due interlocutori Fini/Berlusconi. Anche se c’è stata una campagna mediatica molto forte, solo quando non si e’ d’accordo con il Cavaliere escono fuori tutti i retroscena poco o molto sporchi dei nostri politici. In altri casi i problemi personali vengono messi nel dimenticatoio e all’occorrenza si svuota il sacco per denigrare il mal capitato. Ma proviamo a fare qualche considerazione sui punti che rappresenteranno il passaggio nodale per la tenuta del Governo e cioè il federalismo fiscale, fisco, Mezzogiorno, giustizia, sicurezza. Da una analisi superficiale sembrerebbe che il nostro Paese mediante questi punti possa risolvere tutti i problemi, da una analisi piu’ approfondita si può dire che:
– il federalismo fiscale pur rappresentando un passaggio importante viene sempre richiamato per far piacere al Senatur;
– il fisco richiamato più volte, di fatto confrontando la imposizione fiscale italiana con gli altri paesi europei siamo sempre i primi a pagare di più e ricevere sempre meno dallo Stato;
– Il mezzogiorno questa parola usata o meglio abusata troppo spesso è come se ricorresse come il 1^ novembre, in qualche modo va inserito nel pacchetto del governo ma lungi dal pianificare una programmazione per il suo rilancio. Ad ogni modo fa sempre bene inserirlo nel pacchetto in modo che gli italiani sappiano che da qualche parte è scritto.
– Giustizia, oh si questa si che è una bella parola molto cara al Cavaliere in quanto come ribadito dal PdL il problema degli italiani è la “Giustizia”.
– Sicurezza, non si capisce di quale sicurezza si parli in quanto il poliziotto di quartiere non esiste, se si viene investito l’investitore ha sempre ragione perché dopo qualche giorno è di nuovo il libertà, nei casi più gravi quanto c’e’ un morto dopo qualche ripresa televisiva ed il supporto di un buon avvocato si e’ di nuovo in libertà. Ma c’e’ stato un morto e dei feriti, questi sono dettagli che spettano ai mal capitati. Per non parlare quando si ritira la patente, anche qui si scopre che si va in giro con la macchina come se nulla fosse accaduto e si continua a correre per le strade italiane.
In questo quadro molto desolante, nessuno si chiede ma i problemi degli italiani chi li risolve? La perdita del posto di lavoro, i cassaintegrati che aumentano, i pensionati ed i lavoratori che non riescono ad arrivare a fine mese, il popolo italiano si sta impoverendo. Ma non c’è da preoccuparsi perché i problemi degli italiani come hanno detto il Premier ed il Guardasigilli e’ la giustizia. Non c’è da preoccuparsi, questa estate nelle più belle isole italiane alcuni fortunati si muovevano con yacht da far invia a tutti. Circa 200 le aziende scovate dagli ispettori del fisco per un totale di 300 milioni di euro evasi, sotto forma di Ires, l’imposta sul reddito delle società. Lo schema è sempre lo stesso, la società italiana firma un contratto di stock lending (prestito titoli) con un’impresa dell’Europa dell’Est titolare a sua volta di partecipazioni in un’azienda di Madeira. All’accordo è legata una scommessa sull’entità’ dei dividendi distribuiti dalla società portoghese da cui dipende il pagamento o meno di una commissione. In realtà le parti sanno già come andrà a finire: la società italiana perde sistematicamente la scommessa e deve pagare una commissione che, guarda caso, è pari agli utili distribuiti dalla società.
La società non paga la commissione e non incassa nemmeno i dividendi perché i due importi si compensano. Materialmente non si muove un euro, fiscalmente, però è possibile dedurre il costo della commissione per il 95%, in altre parole non si pagano le tasse. Ma anche questo non è un problema perché le tasse saranno pagate dai soliti noti.
2 settembre 2010
La maggioranza del… porcellum
di Senator
In questo dibattito sulla maggioranza che ha diritto a governare, che non potrebbe essere sostituita da altra maggioranza perché la coalizione si è presentata con la indicazione “Per Berlusconi Presidente” abbiamo letto ieri il fondo di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera “Il potere di chi vota”.
Il politologo, che ha studiato a fondo i sistemi elettorali, ed al quale si deve la definizione di porcellum dell’attuale legge elettorale, desunta dall’espressione “Una porcata” del suo estensore, il leghista Calderoni, ha spiegato molto bene che “è una legge elettorale truffaldina: tale perché assegna un premio di maggioranza alla maggiore minoranza. Per esempio, se Berlusconi conseguisse alle prossime elezioni il 30 per cento del voti, e se nessun altro partito o coalizione arrivasse a tanto (al 30 per cento), Berlusconi otterrebbe alla Camera il 55 per cento dei seggi”. Aggiungendo che “un premio di maggioranza è lecito se rafforza chi consegue la maggioranza assoluta dei voti (il 50 o più per cento); ma non se trasforma una minoranza elettorale in una maggioranza di governo”.
Verifichiamo la tesi di Sartori alla luce dei risultati elettorali del 13 aprile 2008, quando siamo andati a votare per la Camera ed il Senato. Per l’assemblea di Montecitorio, dove si misura l’effettiva consistenza della Coalizione (al Senato il meccanismo del premio di maggioranza è su base regionale), il centro destra ha ottenuto il 46,81 per cento, sommando Popolo della libertà, 37,38 per cento, Lega, 8,30 per cento, Movimento per l’Autonomia Alleanza per il Sud, 1,13 per cento. Di contro il Centrosinistra ha ottenuto il 37,55 per cento, sommando il 33,18 per cento del Partito Democratico al 4,37 per cento dell’Italia dei Valori.
I risultati del voto degli italiani dicono che nessuna delle due coalizioni contrapposte ha ottenuto la maggioranza assoluta, quel 50,1 per cento che giustifica il premio di maggioranza, con aumento dei seggi parlamentari, a chi ha ottenuto dal corpo elettorale un vero consenso maggioritario.
Noi siamo, invece, nella circostanza che la coalizione che ha ottenuto il 46,81 per cento ottiene il 55 per cento dei seggi. È indubbiamente una forzatura, che non giova alla democrazia e che non esclude la possibilità che, in presenza di una crisi di governo, il Presidente della Repubblica verifichi se esiste una diversa maggioranza, in assenza della quale è costituzionalmente corretto sciogliere le Camere e tornare a chiedere il voto agli italiani.
Una cosa, comunque, è, e deve essere, chiara. Siamo governati da una maggioranza prodotta da un “premio” che l’assegna alla coalizione che, sul piano elettorale, è, come dice Sartori, la “maggiore minoranza”.
La circostanza che la coalizione sia vicina alla maggioranza assoluta (- 3,19 per cento) non modifica la realtà. Un premio “di maggioranza” si giustifica per chi “è” maggioranza assoluta, più un voto, altrimenti il premio consolida una coalizione che potrebbe anche essere ancora inferiore a quel 46,81 per cento che oggi consente a Berlusconi di governare con grandi difficoltà, non solo per le posizioni di Fini, ma per la rissosità che caratterizza fin dall’inizio la sua compagine e che si manifesta in modo evidentissimo nei ripetuti ricorsi ai decreti legge assistiti, in sede di conversione, da maxiemendamenti e da voti di fiducia.
Il porcellum è evidentemente una legge da rifare, non solo per la distorsione nel concetto di “premio di maggioranza” prima evidenziato, ma perché ha abolito il voto di preferenza rimettendo ai capi dei partiti la scelta di chi deve essere eletto. Se poi la scelta fosse ricaduta su persone capaci di svolgere il ruolo importantissimo di rappresentanti del corpo elettorale con competenza e determinazione!
2 settembre 2010