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Lo Stato retribuisca i propri manager secondo il livello delle relative professionalità. Il richiamo di Roberto Alesse, Direttore dell’Agenzia delle dogane

di Salvatore Sfrecola

I miei lettori più affezionati sanno che in alcuni articoli ho ricordato quel che ci diceva il nostro professore di storia e filosofia al liceo ”Torquato Tasso” di Roma che, laureato in giurisprudenza, aveva contemporaneamente superato il concorso a professore ordinario nei licei e quello in magistratura. Aveva accertato che in quel momento i professori di liceo guadagnavano più dei magistrati e conseguentemente aveva optato per la cattedra, scelta della quale si era presto pentito. L’esempio conferma quel che ha detto nei giorni scorsi il Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Roberto Alesse, che, intervistato da “La Verità”, dopo aver dato conto dell’attività del suo istituto, al quale, devo dire consapevolmente, ha dato un nuovo impulso, tra l’altro con una intelligente gestione del personale che ha assicurato una tranquillità sindacale che non c’è invece nella omologa Agenzia delle entrate, per un antico contenzioso in materia di concorsi, ha sottolineato come l’attività pubblica debba affidarsi ai vari livelli a funzionari di elevata professionalità.

In sostanza, l’idea che molti si sono fatta di una Pubblica Amministrazione che sia la scelta di chi non trova di meglio è smentita dai fatti, come sottolinea Alesse, che bravi funzionari in tutte le discipline, da quelle giuridiche a quelle economiche a quelle più squisitamente scientifiche che entrano nei ruoli dopo aver superato una selezione difficile hanno presto l’occasione per lasciare l’amministrazione richiamati da attività private o libero professionali che assicurano stipendi più adeguati e soprattutto variabili in relazione ai risultati effettivamente conseguiti.

Questa amministrazione, a lungo mortificata dalle retribuzioni modeste, ciò che riguarda tutti i settori, a cominciare dalla scuola che dovrebbe essere la prima cura di uno Stato che si preoccupi della formazione dei giovani cioè delle speranze per il futuro, è stata ulteriormente umiliata dalle norme che, al tempo del governo Renzi, hanno stabilito un tetto alle retribuzioni che può apparire elevato se non si considera il pesante prelievo fiscale.

E qui torna in mente quel che ho letto alcuni anni fa in una intervista ad un manager pubblico francese in un volume dell’Istituto di Studi sull’Amministrazione Pubblica (ISAP). Questi, a chi gli chiedeva come mai avesse abbandonato una posizione molto ben remunerata in un ente privato per svolgere un incarico governativo aveva risposto: “nello Stato si guadagna certamente meno, ma vuol considerare il prestigio di servire la Francia”. Certo, tutti coloro che operano nella Pubblica Amministrazione, vincolati al giuramento che li impegna a servire lo Stato con “dignità ed onore” ai sensi dell’art. 54 della Costituzione, hanno fatto una scelta consapevoli del ruolo che svolgono e dell’importanza del servire lo Stato. Tuttavia, se la differenza fra il trattamento economico assicurato dalla Pubblica Amministrazione e quello che per analoga funzione si otterrebbe in un ente privato o pubblico è eccessivo è evidente che l’amore per la Patria cede alle esigenze naturali della persona e della sua famiglia.

La proposta di Alesse di lanciare, dalla sua posizione e dal ruolo di vertice di un’agenzia statale che assicura entrate per oltre 80 miliardi al bilancio pubblico, un messaggio alla classe politica diretto a sollecitare un adeguato stipendio ai manager pubblici di elevata responsabilità non può passare sotto silenzio. Essa assume come parametro “una diversa idea di Stato di diritto secondo la quale il principio di legalità non si deve affermare comprimendo i diritti e gli interessi degli amministrati, ma coniugando la difesa della legge con una gestione del potere pubblico dispiegata verso modelli di efficiente ed efficace erogazione dei servizi”.

È vero che i partiti spesso si fanno portavoce dell’invidia sociale secondo la quale stipendi anche modesti sono ritenuti sempre eccessivi da chi ha scalato i vertici della politica senza mai aver lavorato e soprattutto senza aver mai superato un concorso, ma è anche vero che uno Stato che vuole essere efficiente per dare certezze alle politiche pubbliche e per realizzarle nei tempi e nelle forme dovute deve affidarsi a persone di grande valore che abbiano anche l’incentivo a destinare tutto il loro impegno intellettuale alla funzione pubblica.

Sul tema è intervenuto il senatore Riccardo Pedrizzi, Presidente Nazionale del Comitato Scientifico dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (UCID) il quale ha voluto sottolineare come “il Consigliere Roberto Alesse ha avuto il coraggio di affrontare, finalmente una questione annosa che nessuno, per ipocrisia o per demagogia, o, ancora, per peloso egalitarismo negli ultimi anni, aveva avuto mai il coraggio di sollevare: la qualità della classe dirigente statale, dei manager pubblici, di chi muove la macchina burocratica dello Stato”. Importante questa adesione che sottolinea come anche l’imprenditoria privata senta la necessità di confrontarsi nelle attività con manager pubblici di elevata professionalità e adeguatamente motivati. E non c’è dubbio che una delle motivazioni sia costituita dal trattamento retributivo che è implicitamente il riconoscimento di quella professionalità.

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