Nessun attacco ai politici ma una constatazione, l’azione penale preoccupa meno di quella contabile (con risarcimento del danno)
di Salvatore Sfrecola
Ha destato un certo scalpore, probabilmente a causa del titolo “Sfrecola attacca i politici su Twitter: “Preferiscono una condanna penale””, che gli ha attribuito La Repubblica, cronaca di Torino, a firma Ottavia Giustetti, un articolo comparso ieri che è apparso come il seguito della polemica sollevata dal Consiglio regionale a seguito delle indagini penali e contabili sui rendiconti dei gruppi consiliari regionali.
Il tweet era così formulato “alcuni politici preferiscono essere soggetti all’azione penale anziché a quella risarcitoria del Procuratore della Corte dei conti”. L’ho detto più volte, anche in occasione di convegni e tavole rotonde, spiegando il perché.
È una considerazione frutto dell’esperienza e dell’osservazione degli atteggiamenti dei politici. Di fronte ad indagini parallele delle due Procure della Repubblica, la penale e la contabile, quando gli illeciti hanno rilievo nei due ordinamenti, la reazione dei politici coinvolti, a Roma come nelle regioni e negli enti locali, la rivendicazione dell’innocenza, assume costantemente la forma della difesa dell’autonomia degli enti che sarebbe lesa quando vi è riconoscimento di una responsabilità per danno erariale nei confronti del politico indagato.
Anche quando i reati per i quali procede la Procura della Repubblica sono gravi, dal peculato alla corruzione alla concussione la polemica si sviluppa prevalentemente nei confronti delle indagini svolte dal Procuratore della Corte dei conti che non minaccia una sanzione penale del tutto ipotetica, sempre messa in forse dalla prescrizione comunque incombente. Ma dalla azione di responsabilità per danno erariale, compreso quella per danno all’immagine della pubblica amministrazione. Ciò per il semplice motivo che l’azione contabile è più celere, e pertanto difficilmente colpita dalla prescrizione, e, soprattutto, si conclude, ove sia accertata la responsabilità, con una condanna al risarcimento del danno provocato, spesso parecchie migliaia di euro.
È evidente, dunque, che il nostro sistema giudiziario penale, nell’ambito del quale il rinvio a giudizio ha certamente effetti mediatici immediati, in quanto la notizia delle indagini e delle incriminazioni, come quella di una sentenza di condanna in primo grado, campeggia subito sui mezzi di informazione, non desta nel mondo politico quella preoccupazione che invece caratterizza l’azione di responsabilità amministrativa, di natura risarcitoria. Questo deriva dal fatto che il processo penale si prolunga nel tempo e si conclude assai spesso con la prescrizione, altra assurdità di questo Paese nel quale la prescrizione corre nel corso del processo.
I politici, poi, pensano che gli italiani hanno in genere la memoria corta. Infatti, a distanza di pochi mesi dai casi Lusi e Fiorito, mentre continua l’esame dei rendiconti dei Gruppi consiliari regionali qua e là per l’Italia molti politici che avevano scelto la via del silenzio tornano ad alzare la testa, a polemizzare con la stampa e con la magistratura. E lo fanno in nome dell’autonomia che non ha niente a che fare con gli illeciti commessi dai singoli.
Quindi non c’è nessuna autonomia messa in discussione se la Corte indaga. Intanto perché la Corte conti è una istituzione della Repubblica, una magistratura e quindi quando agisce non mette in dubbio nessuna prerogativa costituzionale degli enti. Inoltre va sempre ricordato che c’è una regola antichissima che io richiamo sempre, quella che, in presenza di una gestione di denaro pubblico, chi ne è il titolare deve rendere conto alla comunità dell’attività svolta. Il che vuol dire all’autorità politica ed alla Corte dei conti.
15 giugno 2013
CREDERE, OBBEDIRE ?E VOTARE
di Domenico Giglio
L’intervista dell’architetto Fuksas, nelle pagine della Cronaca di Roma del Corriere della Sera, del 5 giugno, merita di essere conosciuta anche fuori Roma, perché tipica della mentalità degli elettori di sinistra, anche quando trattasi come in questo caso di persona culturalmente qualificata, che si definisce “comunista”.
Interrogato sul suo prossimo voto al ballottaggio per il Sindaco del Comune di Roma, Fuksas, pur dichiarando di votare per il candidato della sinistra, Marino, dice testualmente: “Veramente non so nulla di lui, non so cosa porterà, quali sono le sue idee?sono mosso da spirito di appartenenza?si tratta del mio Dna?so che è un medico e basta?” il che è un po’ poco per chi vuole amministrare una metropoli come Roma e questa posizione è senza se e senza ma, pur riconoscendo ad Alemanno di essere “?l’unico ad aver portato avanti il Palazzo dei Congressi?quando è arrivato (dopo Veltroni) il cantiere era un buco riempito d’acqua. E l’altro buco era quello del bilancio, perché c’era davvero?”.
A questo punto ritornano alla mente, per associazione d’idee, i “trinariciuti” di Guareschi, pur non considerando certamente il Fuksas tra questi, e le relative vignette su L’Unità che ordinava qualcosa ai compagni che obbedivano ciecamente, al quale ordine seguiva il contrordine perché nel giornale vi era stato un refuso tipografico!
Questa di Fuksas è in ogni caso una lezione per gli elettori del centro-destra che invece di votare si dilettano con i loro distinguo,” Sì, ma però poteva?”,”oggi vado al mare”,”certo era meglio un altro?”,”Tanto a che serve?”,” Con quello non mi metto e vado per conto mio” e simili e così perdono i comuni, le province, le regioni e fermiamoci qui.
Post scriptum. Dice bene l’amico Giglio su certa mentalità “di appartenenza”. Ma questo sembra valere per tutti. In fin dei conti chi vota Alemanno pur non condividendone l’esperienza di Sindaco lo fa “per appartenenza”.
In sostanza è ora che i partiti non costringano gli elettori a votare chiunque impongono col ricatto che, altrimenti vince l’avversario.
Occorre presentare candidature credibili perché i cittadini vadano a votare con tutta serenità.