di Salvatore Sfrecola
“Molti nemici, molto onore”, firmato Mussolini. L’avevo letto fin da bambino sulle medaglie dei familiari che avevano combattuto nella guerra di Etiopia, una frase dipinta o scolpita sulle facciate dei palazzi dell’Era fascista. Avevo percepito subito un senso di orgoglio in quelle parole. Poi, crescendo, ho cominciato a studiare la storia e mi sono reso conto che è vero quello che diceva del Duce il re Vittorio Emanuele III, “è una brava persona ma ha studiato poco la storia”.
La storia, infatti, dimostra il contrario, cioè che, se i nemici sono tanti, il rischio è grande. Di situazioni del genere se ne conoscono molte. Senza andare molto lontano nel tempo basta ricordare Napoleone, sicuramente un grande generale ed un amministratore accorto del suo impero, che però decide di combattere contro tutti in Europa, dall’Inghilterra alla Prussia, alla Russia. Così Hitler, alla guida di una potenza industriale ed economica che gli aveva consentito di realizzare un dispositivo militare indubbiamente potente, decide di combattere su tutti i fronti, in Africa in Russia, contro la Francia e l’impero Inglese, ignorando il possibile apporto degli Stati Uniti d’America, che nella Grande Guerra erano intervenuti a fianco degli inglesi. La Germania dimostra una evidente visione limitata del quadro internazionale che, peraltro, per quanto riguarda l’Italia, era stato correttamente rappresentato a Mussolini dai gerarchi più attenti, a cominciare da Dino Grandi che, da ambasciatore d’Italia a Londra per molti anni, di quel mondo e di quel popolo aveva percepito la straordinaria determinazione. Tanto che il Primo Ministro, Winston Churchill, nei momenti più drammatici della battaglia d’Inghilterra, avrebbe promesso ai suoi concittadini “lacrime e sangue”, mai la resa.
E così il motto “molti nemici, molto onore” mi è tornato alla mente osservando la situazione politica attuale, le scelte della maggioranza che, nell’assumere responsabilità di governo promette di combattere contro tutti, di riformare la Costituzione, quanto alla forma di governo, di incidere sulla Magistratura eliminando reati e dividendo le carriere, di entrare in conflitto con mezza Italia con l’“autonomia differenziata”, di criticare l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), prevista da una legge di ratifica di un trattato internazionale, istituzione che fra l’altro è ben vista dai cittadini, di cercare di ridimensionare la Corte dei conti.
Questa maggioranza, che assume di essere erede di quella destra liberale che aveva unificato l’Italia, guidata da uomini come Camillo Benso di Cavour, Quintino Sella e Giovanni Giolitti, dimostra di non avere imparato la lezione della storia. Questa corsa alle riforme, che attua una guerra contro tutto e tutti, è una strada rischiosa anche perché, prima di sconfiggere tutti, qualcuno inevitabilmente le assesterà un colpo fatale. Faccio l’esempio della magistratura che, come avrà certamente fatto notare il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, magistrato, è una istituzione allo stato diffuso, cioé non è gerarchizzata, per cui i magistrati ragionano, nel bene o nel male, con la loro testa quando interpretano la legge.
Ho mosso in altre occasioni critiche durissime nei confronti delle teorie che porta avanti una certa magistratura, in particolare quella che si fregia dell’aggettivo “democratica”, ma so bene che la mentalità del magistrato chiamato ad applicare la legge é tendenzialmente conservatrice, per cui la gran parte di coloro che indossano la toga non è identificabile con la sinistra, con le “toghe rosse” come vorrebbe far intendere certa politica e il giornalismo che pedissequamente segue le indicazioni dei partiti di governo.
Una politica intelligente nei confronti della Giustizia avrebbe dovuto comportare un dialogo che non c’è stato, perché il ruolo di Ministro della giustizia è stato assegnato ad un ex magistrato che ha assunto l’incarico con il piglio che piace alla fazione desiderosa di fare i conti con i giudici “di sinistra” trascurando che l’aggressione inconsulta provoca naturalmente un arroccamento dell’intera categoria. Nessuno ha pensato di fare una riflessione insieme ai magistrati sulle riforme da fare, anche sulle ultime, che riguardano l’abuso d’ufficio e la lotta all’immigrazione clandestina. È come se si volesse fare la riforma della sanità senza discuterne con i medici. Così, invece di cercare di capire quali siano le idee dei magistrati per una giustizia più efficiente si è cercato a più riprese lo scontro, nonostante i problemi della giustizia siano tanti e noti. Con la conseguenza che nessuno di questi è stato sfiorato.
Ugualmente si è enfatizzato per i funzionari il “timore della firma” per cercare di ridimensionare la Corte dei conti quale organo di controllo e giudice delle responsabilità per danno all’erario, cioè per quegli sprechi ai quali i cittadini, tartassati da un sistema fiscale predatorio, assistono con crescente disappunto. La proposta è quella di minimizzare il risarcimento del danno fingendo di ignorare che costituisce “colpa grave”, necessaria per una condanna da parte dei giudici contabili, una macroscopica inosservanza di regole elementari di buona amministrazione da parte di amministratori e funzionari. Così finendo per tutelare disonesti o incapaci, perché coloro che hanno una adeguata preparazione professionale e senso dello Stato, nonostante abbiano spesso a che fare con delle leggi confuse che fra l’altro generano una giurisprudenza spesso difficile da interpretare, sanno assumersi le loro responsabilità con le cautele del caso, chiedendo pareri degli organi di consulenza delle pubbliche amministrazioni, sollecitando interpretazioni autentiche e lavorando d’intesa con gli organi di controllo interni e la Corte dei conti.
Per concludere, vorrei consigliare all’attuale maggioranza, nella quale vi sono persone che stimo, ad esprimere l’umiltà che tutti deve guidare quando si tratta di scelte politicamente importanti, a confrontarsi con tutti gli interessati per definire, in una visione generale, le strade da intraprendere. Perché sento troppo spesso ripetere “io non voterò mai la sinistra ma non voterò più questa destra”, così concorrendo ad un assenteismo che fa male, molto male, alla democrazia.