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Presentato al Centro Studi “Vittorio Emanuele Orlando” il libro del Prof. de Jorio sulla “Democrazia Cristiana”

di Gianni Torre

Alla presenza di personalità della politica e della cultura e di un folto pubblico si è tenuta, nella sala delle conferenze della Parrocchia Santa Lucia, in via di Santa Lucia 5, a Roma, per iniziativa del Centro studi storici, politici e giuridici Vittorio Emanuele Orlando un dibattito sul libro del professor Filippo de Iorio, “Democrazia Cristiana, dall’apogeo, alla decadenza, all’epilogo – ricordi e segreti di tempi migliori per l’Italia e per noi” (Pagine editore, Roma, 2023, I libri del Borghese, pp. 180, € 18,00).

In apertura il Presidente Salvatore Sfrecola, ha ricordato l’impegno culturale del Centro Studi che aveva preso avvio nel mese si novembre con una conversazione sulla Corte dei conti e preannunciato il prossimo incontro, il 14 gennaio 2025, sull’Autonomia differenziata, argomento sul quale farà chiarezza l’Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman.

Il Presidente Sfrecola ha illustrato la personalità dell’Autore,  avvocato, docente di diritto amministrativo e tributario, consulente giuridico di molte imprese pubbliche e private, esponente di spicco della Democrazia Cristiana romana, parlamentare regionale per tre legislature, stretto collaboratore di Mariano Rumor, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani. Con i primi due ha svolto funzioni di portavoce. Ha lasciato la Democrazia Cristiana in polemica con Ciriaco De Mita esprimendo così il suo dissenso rispetto alla linea dell’allora Segretario della DC e Presidente del Consiglio che portò alla fine del partito. È stato membro del Comitato economico sociale dell’Unione Europea a Bruxelles, autore in quella sede dell’inchiesta europea sulle pensioni. Ha firmato centinaia di articoli, di saggi e di studi sulle più importanti riviste giuridiche italiane e straniere e scritto numerosi libri. Presidente della Fondazione de Jorio il Professore vanta anche una intensa attività forense che lo ha portato a ottenere importanti pronunce della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Ha, quindi, preso la parola l’editore Luciano Lucarini che del Prof. De Jorio ha pubblicato altri scritti, in particolare “Identikit di un omicidio – il caso Moro”, che molto ha fatto discutere per la tesi sostenuta che delinea un complotto ai danni del Presidente della Democrazia Cristiana al quale non sarebbero stati estranei interessi stranieri, e “L’albero delle mele marce”, una coraggiosa ricostruzione della corruzione politica e finanziaria in Italia.

Ha preso, quindi la parola Giuseppe Sanzotta, Direttore de Il Borghese, rivista della quale il Prof. De Jorio è assiduo collaboratore, per segnalare l’importanza di questo libro scritto da un “politico” del tutto particolare, un professionista, impegnato sui temi fondamentali del cittadino, come l’ambiente e quindi sensibile agli umori dell’elettorato per cui afferma che “un italiano su quattro vuole la ricostituzione del partito cattolico”. Giurista di vaglia, erede di una illustre famiglia napoletana che ha prestato servizio nelle istituzioni del Regno delle due Sicilie, di quella nobiltà di toga che faceva della classe dirigente napoletana un esempio non frequente nell’Italia preunitaria, se si esclude la classe dirigente del Regno di Sardegna.

Per questo – ha aggiunto Sanzotta – non ci racconta una storia ufficiale ma – come scrive de Jorio – “una rievocazione il più possibile fedele alla verità di quelli che furono gli ideali, i sentimenti, le motivazioni politiche che sottesero la “nostra” Democrazia Cristiana, quella che nacque con Don Sturzo, entrò in agonia con l’avvento al potere di Ciriaco Di Mita e, definitivamente, ebbe il suo epicedio e quindi la sua morte dichiarata, con l’ultimo segretario, Mino Martinazzoli, che ne volle cambiare il nome in quello di Partito Popolare, rinunciando implicitamente ad un cinquantennio di tradizione e di storia del movimento cattolico. Egli assurdamente – e non fu il solo – incoraggiò molto, questo quasi unanime “cupio dissolvi”, con l’esortazione a modificare il nome del partito (rinnegandolo nella sostanza) in quello antico e glorioso, ma di certo quasi dimenticato, di Partito Popolare Italiano”.

Ha, poi, parlato l’Autore che, in primo luogo, ha ringraziato le numerose personalità presenti, l’ex Sindaco di Roma Pietro Giubilo, il Prof. Guglielmo de’ Giovanni Centelles, il Prof. Avv. Piero Sandulli, esponente dell’Unione Giuristi cattolici italiani, l’on. Souad Sbai, Presidente del Centro Alti Studi Averroè per la diffusione delle culture del Mediterraneo, l’avv. Giorgio Lentini e la dottoressa Maria Conte, il dottor Ruggiero Capone e il dottor Antonio De Pascali.

Ha, quindi, raccontato come è nato il libro. Era il 21 giugno 2020, in piena pandemia, ricorda de Jorio, quando, riandando al centenario dell’appello di don Luigi Sturzo ai cattolici italiani, ai “liberi e forti” con cui egli diede avvio alla pur breve esperienza del Partito Popolare Italiano che pensò di scrivere questo libro, ricordando che quell’appello era tornato alla mente dei politici alla fine della seconda guerra mondiale quando l’Italia doveva rialzarsi dallo sfacelo della guerra e dalla crisi politica e morale del ventennio fascista. Quell’appello, sottolinea de Jorio, fu all’origine della nascita della Democrazia Cristiana già nell’ultima fase della guerra. Lì furono gli ideali che fecero breccia fra gli italiani e diedero alla DC un successo che le consentì di governare per molti anni con una classe dirigente di valore, con esperienze politiche e professionali rilevanti, basti pensare che designava ministri prevalentemente docenti universitari, come Antonio Segni, Aldo Moro Amintore Fanfani, sensibili ad un impegno sociale, sollecitato anche dalla “vigile presenza della Chiesa” nella vita pubblica, con l’attenzione ai giovani e alle loro legittime aspirazioni nella società che andava cambiando rapidamente.

Quella Democrazia Cristiana nella quale, ha ricordato, ”c’era una sorta di culto dell’unanimità da parte dei dirigenti più avveduti” cambiò con “la presa di potere” di De Mita, portatore di una politica molto diversa che, scrive, “fu in qualche modo l’antesignano, per i suoi metodi, del peggio di quello che ha connotato la “Seconda Repubblica”, anche soprattutto in termini di scollamento tra politica e istanze dei cittadini di cui la classe dirigente doveva invece tener conto, oltre ad essere chiamata a farsene interprete”.

I ricordi di de Jorio si snodano lungo gli anni, cominciando dalla “subalternità ideologica alla cultura e alle tesi della sinistra, come se essa fosse l’unica depositaria di una “verità rivelata” su tanti temi, e quindi che il partito dei cattolici dovesse in qualche modo di questo tener conto e imparare qualcosa da loro”. Molto “radicata e profonda” questa mentalità costituiva una “palla al piede” della Democrazia Cristiana, “errore grossolano perché la dottrina sociale della Chiesa aveva risolto molto prima dell’estrema sinistra i problemi sociali, dettando le opportune soluzioni da dare ad essi”. È un passaggio molto importante, ampiamente trattato nel libro, che ha voluto ricordare perché questa “subalternità”, questa “propinquità con l’estrema sinistra intrattenuta nel corso dell’esperienza del Comitato di Liberazione Nazionale” avrebbe nel tempo pesato fino a dissolvere lo spirito originario del partito dei cattolici. Ha richiamato in proposito la “cocciutaggine” di Alcide De Gasperi che mentre dimostrava “molta indulgenza nei confronti dei crimini commessi dopo la “liberazione” contro avversari politici o presunti “fascisti” dimostrò “astio del tutto inspiegabile nei confronti dei profughi che venivano dall’Istria o dalla Dalmazia, e che invece avrebbero meritato tutto il suo più grande rispetto”. Concludendo che in ragione di questa mentalità De Gasperi, dopo il successo del 18 Aprile 1948, dimostrò più ostilità nei confronti delle destre che nei confronti dei comunisti. Tanto che, di fronte al desiderio di Pio XII, coadiuvato dal cardinale Ottaviani, da Don Luigi Sturzo e da Riccardo Lombardi, di fare presentare a Roma, alle elezioni comunali, una lista unitaria anticomunista che comprendesse anche le destre – De Gasperi reagì in maniera scomposta e disobbedì al Papa, benché anche il fondatore del Partito Popolare, e quindi colui che incarnava la matrice storica da cui proveniva la Democrazia Cristiana, Don Luigi Sturzo, lo avesse pregato di rispettare la volontà del Pontefice. La risposta del Presidente del Consiglio- ricorda de Jorio – fu apertamente ostile, quasi rabbiosa, e determinò il fallimento di quello che era stato un grande progetto di Pio XII, che vedeva sempre lontano”. Ed esprime la convinzione che “Pio XII salvò l’Italia dal comunismo” e che “se Alcide De Gasperi lo avesse seguito e gli avesse ubbidito nel 1952 la storia d’Italia sarebbe stata diversa”.

De Jorio non risparmia critiche vivaci e puntuali a De Gasperi a cominciare dalla posizione assunta al tempo del referendum del 2 giugno 1946, per la scelta tra Monarchia e Repubblica, condividendo la tesi, ormai diffusa tra gli storici, che gli esiti della consultazione elettorale siano stati “falsati”, sia il successiva ostilità all’appoggio delle destre la monarchica e la missina che lo portarono a scelte che non consentirono di consolidare il monocolore successivo alle elezioni legislative del 1953, per cui il governo De Gasperi cadde e lo statista trentino perse anche la segreteria politica del partito passata ad Amintore Fanfani.

de Jorio ricorda i Governi, di Adone Zoli, Mario Scelba, Fernando Tambroni, Emilio Colombo, in tempi sempre più difficili per la Democrazia Cristiana che aveva perduto molto dello spirito originario della cultura liberal-cattolica che aveva delineato Don Sturzo. Poi Mariano Rumor, Flaminio Piccoli e Toni Bisaglia. Del primo de Jorio ricorda di essere stato stretto collaboratore, come inizialmente di Giulio Andreotti nei suoi primi due governi, dei sette che avrebbero caratterizzato il parlamentare romano. De Jorio torna sulla sua esperienza a Palazzo Chigi con il compito di tenere i contatti con i grandi elettori di Giulio Andreotti attraverso una struttura ramificata di sezioni che dimostrarono la loro importanza nelle elezioni del 1972, il 7 di maggio, quando il consenso nei confronti di Andreotti fu “plebiscitario”. In questo periodo la collaborazione con Andreotti si consolida fino a quando il suo “andare a sinistra” ruppe l’incantesimo di una collaborazione che aveva avuto momenti di straordinario successo politico, personale con risvolti anche professionali.

Ma andare a sinistra non poteva Filippo de Jorio, che aveva sempre militato nella destra cattolica, vicino alla Chiesa che quindi non poteva condividere l’“avvicinamento” di Andreotti al Partito Comunista in questo contesto.

Sollecitati dal Prof. de Jorio hanno preso la parola l’ex Sindaco di Roma Giubilo, il Prof. Sandulli, il dott. Valentino De Nardo, già Presidente di Sezione della Cassazione e il dottor Luigi Trisolino, funzionario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricercatore, ai quali l’Autore ha risposto sottolineando aspetti salienti della sua esperienza politica.

Nel concludere il dibattito il Presidente Sfrecola ha ringraziato i presenti che ha invitato alla prossima conversazione, il 14 gennaio 2025, che sarà tenuta dall’Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman sul tema controverso dell’autonomia differenziata per le regioni ordinarie che sarà oggetto di approfondimento per comprenderne la realtà e le prospettive.

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