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Febbraio 2015

Domenico Fisichella al Circolo Rex

Per iniziativa del Circolo di Cultura ed Educazione Politica Rex domenica 1 marzo, ore 10,30, in via Marsala 42, il Sen. Prof. Domenico Fisichella parlerà sul tema “Il ruolo dell’Italia nella genesi delle due guerre mondiali”

Mattarella e Renzi: questioni di stile
di Senator

Lo stile fa l’uomo, si dice, e lo ha dimostrato ancora una volta Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica, all’indomani della elezione, era andato a Palermo, sua città natale, con un volo di linea. Ed era volato nei sondaggi che indicano il gradimento degli uomini politici, lui che fino al giorno prima conoscevano pochissimi italiani
Ed oggi si è recato a Firenze per assistere all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola della Magistratura prendendo il treno, come tutti. Sceso a Santa Maria Novella è salito sulla filovia per recarsi a Scandicci, sede della scuola, dove ha tenuto un  discorso del quale le agenzie e le televisioni hanno trasmesso gli stralci più significativi. Molto interessanti, un invito ai magistrati a non essere burocrati e a non esibirsi se non nella celerità del loro lavoro, per corrispondere al desiderio “di legalità” diffuso tra la gente.
Un bel gesto, belle parole. Intanto a Parigi il Presidente del Consiglio si recava con la sua corte di fedelissimi a parlare con Hollande. Anche qui agenzie e televisioni hanno fatto la loro parte diffondendo le immagini del gioioso sbarco della Boschi e della Madia scherzose e festanti. Poi hanno dato conto dell’intervista del premier che, ad una domanda sull’eccesso di decreti legge, ha sentenziato “farò meno decreti legge quando le opposizioni faranno meno ostruzionismo”.
Strana idea della democrazia quella del giovanotto di Rignano sull’Armo che pure ha ricordato essere la nostra una Repubblica parlamentare.
Peccato che a lui il Parlamento vada bene solo se non lo critica o non propone qualcosa di diverso da quello che lui ritiene essere “il bene del Paese”, una idea per “entrare nel futuro”.
Arroganza e improntitudine tipica del parvenu, naturalmente messa a confronto con lo stile di un uomo, Sergio Mattarella, di ben alta classe, personale e professionale.
24 febbraio 2015

La prima “grana” per il Presidente Mattarella
Pericoli per la democrazia se il Governo abusa della delega legislativa
di Salvatore Sfrecola

Era inevitabile che l’approvazione dei primi decreti concernenti la delega del lavoro avrebbero scatenato polemiche, soprattutto da parte della sinistra del Partito Democratico e dei sindacati che avevano già affilato le armi nella fase di approvazione della legge delega, ritenuta per molti aspetti “in bianco”, cioè priva di “principi e criteri direttivi”, i requisiti previsti dall’art. 76 della Costituzione.
A queste polemiche si sono aggiunte le critiche della Presidente della Camera, Boldrini, che ha lamentato il mancato accoglimento delle osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari sugli schemi dei decreti delegati. Ed ha formulato accuse pesanti al Presidente del Consiglio, perché un “uomo solo” al potere “non rispetta l’idea di democrazia”.
Non entro nelle polemiche che, come è stato sottolineato, scontano forti distinzioni ideologiche, ma è certo che questa vicenda rivela un uso non costituzionalmente corretto del ricorso alla delega legislativa, anche in considerazione della forte espansione del fenomeno, tanto che le leggi delega hanno superato il numero delle leggi ordinarie, come si legge nel Rapporto 2006 sulla legislazione della Camera dei deputati.
Com’è noto, infatti, in via ordinaria, a norma dell’art. 70 della Costituzione, “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, che, tuttavia, possono delegare il governo ad “emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria” (art. 77) previa “determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti” (art. 76).
La delegazione di poteri legislativi all’Esecutivo è strumento antico, usato “per affrontare argomenti tecnicamente molto complessi e “tecnici””, scrivono Roberto Bin e Giovanni Pitruzzella nel loro “Diritto costituzionale”, come i codici, i testi normativi riguardanti l’ordinamento del pubblico impiego, l’ordinamento contabile e tributario e tutte le altre normative che esigono precisazioni tecniche di dettaglio non compatibili con le procedure ordinarie della discussione parlamentare.
Queste norme di dettaglio, adottate con i decreti legislativi, trovano la loro legittimazione nei principi e nei criteri direttivi e nell’oggetto definito che costituiscono i cosiddetti contenuti necessari della legge delega, che non può essere generale, perché altrimenti il Parlamento svuoterebbe di significato art. 70, ma non può essere neanche generica. “Spetta al Parlamento decidere se l’oggetto sia più o meno esteso: può trattarsi di una delega che riguarda un argomento molto specifico, come può trattarsi invece di una delega assai vasta, che riguarda settori assai ampi della legislazione (un intero codice o la riforma dell’amministrazione pubblica, ad esempio)” (Bin e Pitruzzella).
La legge di delega deve restringere l’ambito della discrezionalità del governo indicando i principi e i criteri direttivi che servono da guida per l’esercizio del potere delegato. “La determinazione degli interessi da soddisfare e degli scopi da perseguire resta quindi una competenza riservata al Parlamento, che ad essa non può legittimamente rinunciare”. Pertanto “la Corte costituzionale ha più volte ripetuto che la legge di delega che mancasse di definire i principi e criteri direttivi sarebbe illegittima, ma ha anche sempre lasciato alla valutazione del Parlamento la scelta del grado di precisione e di analiticità di queste indicazioni” (Bin Pitrizzella).
Una volta approvata la delega il governo adotta i “decreti legislativi” o “decreti delegati” che vengono adottati su deliberazione del Consiglio dei ministri in prima lettura e sottoposti al parere delle Camere e quindi nuovamente approvati in via definitiva dal governo in forma di decreto del Presidente della Repubblica. Per cui le critiche della Boldrini per non aver il Consiglio dei ministri tenuto conto delle osservazioni delle Commissioni parlamentari.
Un tempo la procedura era diversa. Trattandosi di atti amministrativi (decreti del Presidente della Repubblica) sia pure a contenuto normativo i decreti legislativi erano sottoposti al controllo della Corte dei conti in base all’art. 100 della Costituzione che prevede che la Corte eserciti controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo.
Abolito il controllo della Corte, l’art. 14 della legge 400 del 1988 ha introdotto il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia ritenendo che, avendo esse delegato il governo, siano idonee a verificare la rispondenza del provvedimento delegato ai principi e criteri direttivi della legge di delegazione. Questo pone un interrogativo sulla forza di questo parere, cioè che si tratti di un parere obbligatorio o di un parere vincolante. Che sia obbligatorio non c’è dubbio, essendo necessariamente da richiedere, che sia vincolante, invece, non è condiviso in dottrina, in quanto, in presenza di un parere vincolante, il soggetto che decide non è chi chiede ma chi dà il parere. In sostanza “introducendo il parere vincolante nella legge di delega si modificherebbe la sua stessa natura, perché il destinatario reale della delega non sarebbe più il governo ha il soggetto cui esso deve chiedere il parere” (Bin e Pitruzzella).
La questione, ovviamente, è molto delicata perché, da un lato, le Camere sono chiamate a fornire un parere che deve poggiare sulla rispondenza della norma delegata alle prescrizioni della legge delega, dall’altro, non si può espropriare il governo del proprio ruolo. La previsione, un tempo, del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti dimostra che la preoccupazione di assicurare ai decreti legislativi un contenuto conforme alla delega era presente nell’ordinamento italiano già prima della legge 400 del 1988, che ha eliminato questo controllo. Tanto è vero che la Presidente della Camera ha protestato nei confronti del governo perché non è stato dato risalto ai pareri delle Commissioni parlamentari. Potrebbe ovviarsi a questa situazione prevedendo che il Governo motivi il dissenso rispetto al parere delle Commissioni, come è previsto per i Regolamenti dell’Unione Europea. Servirebbe anche a guidare l’interprete e, del caso, il giudice, compresa la Corte costituzionale.
Ma dubito che ciò possa avvenire in un contesto di compressione evidente del poteri del Parlamento, come dimostra il ripetuto ricorso al voto di fiducia.
I provvedimenti passano adesso al vaglio del Presidente della Repubblica il quale esercita in questa sede un controllo di legittimità che consiste nella verifica della corrispondenza del decreto legislativo alle prescrizioni contenute nella legge di delega. Si tratta di una funzione di controllo che il Presidente esercita “in termini almeno pari”, come ha affermato la Corte costituzionale, a quello che svolge in sede di promulgazione della legge, anche se in questo caso il parametro  non è la Costituzione ma la legge di delegazione.
La patata bollente passa dunque al Quirinale.
22 febbraio 2015

Dopo le devastazioni di Roma ad opera degli olandesi
Ci attendiamo un gestore regale, le scuse e il risarcimento dei danni
di Salvatore Sfrecola

Un gesto regale, cioè un gesto normale per un Sovrano, è quello che ci attendiamo da Sua Maestà Guglielmo Alessandro di Orange Nassau, Re dei Paesi Bassi. Una parola di scuse a Roma e all’Italia per la devastazione della berniniana Fontana della Barcaccia, in Piazza di Spagna, e un gesto concreto, un assegno di importo corrispondente alla somma necessaria per il restauro. Piccola somma, tutto sommato, ma grande è l’atto che ci si attende da un Re.
Lo attendiamo con fiducia, anche se quel gesto doveva essere già stato fatto, mentre l’Ambasciatore del Re degli olandesi si è detto indisponibile a qualunque risarcimento dei danni subiti dal monumento. Danni permanenti. Danni “sicuramente maggiori di quelli accertati da un primo sopraluogo? che hanno creato danni indelebili e permanenti”, dice il Sovrintendente ai beni culturali di Roma Claudio Parisi Presicce.
L’Ambasciatore olandese, ha riferito il Sindaco Marino, ha detto di non sentirsi responsabile dell’esborso economico per riparare la fontana del Bernini. Sbaglia il diplomatico arancione perché, al di là della responsabilità giuridica che potrebbe essere fatta valere in Tribunale, c’è una evidente responsabilità morale alla quale l’Olanda non può sottrarsi e della quale il Sovrano si deve dare carico, come hanno scritto su Twitter e su Facebook quanti hanno risposto alle mie sollecitazioni nei confronti del RE.
Nella tristezza del momento, mentre s’inseguono polemiche sulle responsabilità dei soggetti incaricati della tutela dell’ordine pubblico, fa piacere sentire che diversi privati italiani si sono immediatamente offerti di contribuire alle spese del restauro. “L’Olanda farà di tutto per aiutare l’Italia a individuare i colpevoli in modo che possano risarcire i danni”, dice l’ambasciatore olandese. È un suo preciso dovere, anche per riscattare il danno all’immagine del suo paese prodotto dai teppisti ubriachi. Ma non è sufficiente.
20 febbraio 2015

Un sorriso timido, un bel gesto
e Mattarella vola nei sondaggi
di Salvatore Sfrecola

È bastato il suo sorriso, timido ma non di circosatnza, e soprattutto un gesto, il viaggio a Palermo su un volo di linea anziché con un aereo di Stato, a richiamare l’attenzione degli italiani per il nuovo presidente della Repubblica. Così i sondaggi, che fino al giorno prima lo davano pressoché sconosciuto alla maggioranza degli italiani lo hanno fatto volare nei sondaggi assegnandogli la posizione del più gradito dei politici. Al 48% “staccando” di più di 10 lunghezze il presidente del consiglio che compare in televisione più volte al giorno, prima e dopo i pasti.
Il dato merita qualche commento, estremamente facile, per la verità.
In primo luogo gli italiani dimostrano di apprezzare chi ha rispetto per le istituzioni e del pubblico denaro, come dimostra la scelta di usare un volo di linea per un viaggio personale in un contesto giornalistico nel quale anche Twitter diffonde immagini del primo ministro inglese Cameron e del ministro dei trasporti che raggiungono il loro ufficio a Londra utilizzando la metropolitana.
D’altra parte su Facebook, che in questo periodo pubblica foto storiche, in particolare della prima guerra mondiale, dà conto della sobrietà delle autorità pubbliche dell’epoca nell’uso dei mezzi dello Stato. E qualcuno, a commento della foto con un corteo di auto che accompagnava il presidente Napolitano, ha ricordato che il re Vittorio Emanuele III, nel percorso da villa Savoia al palazzo del Quirinale, aveva una sola autovettura di scorta.
Oggi il presidente Mattarella mette a disposizione degli italiani altre sale del palazzo del Quirinale per le visite e nuovi spazi per la fruizione di iniziative culturali al centro della Capitale, in un contesto di straordinaria bellezza.
Dunque Mattarella si colloca al 48% dei consensi davanti a Renzi (34%), Matteo Salvini (23%), Giorgia Meloni (16%), Silvio Berlusconi (15%), Beppe Grillo (14%, +1), Angelino Alfano (12%) e Nichi Vendola (10%).
Sfiora il 50% che viene considerato un indice di gradimento significativo.
Attendiamo la prossima rilevazione. Certamente crescerà agli occhi degli italiani e chissà se non riuscirà a restituire fiducia nella politica in quei “concittadini”, come lui ha chiamato subito dopo l’elezione i nostri connazionali, che se ne sono distaccati, che non votano, non tanto e non soltanto per protesta ma perché evidentemente non hanno fiducia che qualcosa cambi.
Per restituire fiducia nessuno è più adatto di un Presidente che apre il Palazzo e sale su un aereo di linea per tornare a casa.
17 febbraio 2015

Il discorso di Mattarella
Un richiamo forte alla legalità
di Salvatore Sfrecola

Qualcuno certamente ripercorrerà, ancora nei prossimi giorni, il discorso pronunciato dal Presidente Mattarella dinanzi al Parlamento in seduta comune, per commentare soprattutto alcune affermazioni che hanno riscosso il gradimento di Senatori e Deputati. Sottolineate da applausi ripetuti, non tutti di rito e non tutti, forse, sinceri. In ogni caso ha colpito la forza straordinaria della semplicità di certe proposizioni, la stringatezza dei concetti che richiamano l’attenzione, stimolano l’immaginazione politica e suscitano emozioni. Quelle manifestazioni di consenso hanno sottolineato in molti casi una condivisione di valori, in altri una sollecitazione a fare, come quando il Presidente ha espresso forti e ripetute preoccupazioni per la situazione economica e per il disagio dei “concittadini”, come aveva già fatto il giorno dell’elezione, dei giovani, in particolare, di quelli delle aree disagiate, come nel “suo” Meridione. Per la lunga crisi che “ha aumentato le ingiustizie. Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine”. E angoscia, “in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi”.
Con indicazione di una prospettiva ragionevole. “E’ indispensabile – ha detto – che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo”. In un Paese nel quale esistono “energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente” Per cui la necessità “che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo. Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito”. I giovani presenti, come mai in passato, in Parlamento con “le speranze e le attese dei propri coetanei”. Con una “capacità di critica, e persino di indignazione”. Che ha fatto pensare ad una attenzione verso i CinqueStelle.
Ma c’è stato anche un significativo richiamo ad altri valori e regole costituzionali, in primo luogo al ruolo delle Camere in una Repubblica parlamentare, che appare anche come una presa di distanza dalla prassi di una decretazione d’urgenza di assai dubbia legittimità, e di dimensioni particolarmente rilevanti, al punto di limitare il dibattito parlamentare nella sede della conversione in legge, sempre sulla base di mozioni di fiducia.
Il Presidente, uomo di diritto con significative esperienze governative sa bene del ruolo centrale che riveste la Pubblica Amministrazione per il perseguimento delle politiche pubbliche. Un’Amministrazione “che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni”.
Poi uno sguardo al futuro, all’esigenza di una “tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana”, nelle sue varie articolazioni. “La strada maestra di un Paese unito – ha affermato Mattarella – è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica.
La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti”.
E qui molti hanno ritenuto di intravedere una critica implicita al comportamento di Renzi da molti accusato di aver ignorato, quando non emarginato, le rappresentanze delle formazioni sociali, a cominciare dai sindacati.
“Per riaccostare gli italiani alle istituzioni”, sottolinea il Presidente, è necessario “intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti”.
E, poi, quella perorazione forte, ritmata dai ripetuti, incalzanti “significa” per “Garantire la Costituzione”. Garantire “il diritto allo studio”, “il diritto al lavoro”, la promozione della “cultura diffusa” e “la ricerca di eccellenza”, “amare i nostri tesori ambientali e artistici”, “i diritti dei malati”, concorrere “alle spese della comunità nazionale”, “ottenere giustizia in tempi rapidi”. E via con riferimento ai diritti sanciti in Costituzione. Quanto alle persone con disabilità e alla “famiglia, risorsa della società”, al “pluralismo dell’informazione”.
Infine. “Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità”. Per cui “la lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute”.
6 febbraio 2015

Quel che è mancato negli ultimi anni
Sergio Mattarella garante imparziale delle regole costituzionali
di Salvatore Sfrecola

Scrivo senza aver letto nessuno dei commenti che oggi sulla stampa hanno certamente accompagnato l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. E c’è da esser certi che saranno di vario tenore, improntati al metodo usato dal segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, nella gestione dell’operazione Quirinale ed alle conseguenze che questo ha lasciato nel mondo politico, soprattutto con le gravi lacerazioni che già si registrano a destra, ed alla personalità dell’eletto del quale, già nei commenti che hanno caratterizzato i dibattiti televisivi, si è detto essere un esponente della sinistra democristiana, un uomo della prima Repubblica, un giurista attento alle regole.
Il riferimento alla prima Repubblica ha quasi sempre un significato negativo, ma, in realtà, quella stagione della vita politica italiana è stata caratterizzata, per gran parte, da una positiva espansione dell’economia italiana, da condizioni di vita della nostra gente generalmente buone e da un rispetto delle regole costituzionali che potremmo definire diffuso. Infatti solo con la gestione Craxi il debito pubblico è più che raddoppiato, la corruzione si è estesa si è avviato il tramonto di quella che, appunto, è stata chiamata “prima Repubblica”.
Quanto ai riferimenti personali concernenti la cultura giuridica del presidente Mattarella per la sua rigidità nel rispetto della Costituzione e delle regole non c’è dubbio che si tratti di pregi in un momento nel quale l’esigenza di riforme è stata assai spesso interpretata nel senso di una manipolazione della normativa esistente e della introduzione di disposizioni confuse o inefficaci. Una deriva legislativa che ha raggiunto il suo acme nella riforma costituzionale e della legge elettorale che hanno sollevato più di un dubbio tra i costituzionalisti e le persone di buon senso.
Ed è certo che dai prossimi giorni la presidenza della Repubblica non sarà il luogo dove si appone la firma a qualunque provvedimento proveniente dalla presidenza del Consiglio dei Ministri.
Voglio dare conto di una mia personale esperienza. Ho conosciuto anni fa l’onorevole Mattarella quando era presidente del Gruppo parlamentare della Camera dei deputati del Partito Popolare Italiano. Avevo chiesto un appuntamento, nella mia qualità di presidente dell’associazione Magistrati della Corte dei conti per rappresentargli alcune esigenze in relazione a riforme normative che interessavano l’Istituzione. Da quel colloquio compresi subito che il mio interlocutore era la persona capace di ascoltare e di comprendere anche questioni tecniche complesse, di quelle che non si leggono libri di scuola ma che spesso sono la ragione del funzionamento delle istituzioni dello Stato, in particolare di una magistratura che applica normative oggetto di interventi legislativi spesso occasionali e alluvionali. E questo, a parte la cortesia personale, il garbo con il quale l’onorevole Mattarella aveva ascoltato le mie considerazioni intervenendo in modo appropriato e propositivo nella discussione.
Ottimo giurista, dunque, e uomo delle istituzioni che non è di tutti coloro i quali rivestono una carica nell’ambito dei partiti, del Parlamento, e del Governo. Uomo delle istituzioni significa avere alto il senso dello Stato e del ruolo rivestito, considerando l’attività politica e legislativa finalizzata non al perseguimento di fini di parte ma dell’interesse generale. L’ho verificato in ulteriori successivi incontri anche quando l’On. Mattarella rivestiva il ruolo di vice presidente del Consiglio dei Ministri, quando la magistratura della corte dei conti ambiva ad una nomina al vertice dell’Istituto attraverso la individuazione di una personalità proveniente dai ruoli dei giudici contabili.
Mi è capitato più volte, al di là delle occasioni che ho ricordato, di incontrare l’onorevole Mattarella nei dintorni dei palazzi del potere, come spesso accade con tutti coloro che hanno una funzione istituzionale. E l’ho trovato sempre cortese, sorridente nel ricambiare il saluto, con quel sorriso che è stato definito timido ma che in realtà è segno di buona educazione tra le persone.
Ricevuto il verbale della seduta del Parlamento che lo ha eletto presidente della Repubblica ha detto poche parole che attestano della sua personalità, attento ai problemi delle persone, dei “concittadini”, come ha precisato con espressione non consueta. Sentiremo il suo discorso in occasione del giuramento, martedì. E sono certo che certe mie considerazioni sulla personalità del nuovo presidente, sulla sua cultura giuridica e sul suo senso dello Stato saranno confermate quando parlerà del suo ruolo al Quirinale, dove avremo un garante della Costituzione e delle regole, che possono essere certamente modificate ma con il rispetto dei meccanismi che la Carta fondamentale ci ha consegnato a garanzia del buon funzionamento della nostra democrazia.
Sotto questo profilo è certo che la presidenza Mattarella sarà molto diversa da quella del suo predecessore, che in molti casi poco ha fatto per frenare l’irruenza del Capo del Governo che, probabilmente mal consigliato, ha adottato provvedimenti d’urgenza laddove questa non era presente, creando non pochi problemi al funzionamento delle istituzioni senza che quelle preoccupazioni che giustamente hanno colorito le prime parole del nuovo presidente della Repubblica ricevessero l’attenzione necessaria in questo momento di grave crisi economica.
Con Sergio Mattarella gli italiani impareranno presto a capire che al vertice dello Stato c’è una personalità di grande equilibrio, di capacità di dialogo con tutti e di mediazione tra le forze politiche, ma nel rispetto della Costituzione e delle sue regole perché in questo rispetto e in queste regole sta il buon funzionamento dello Stato e la tutela delle libertà individuali e collettive.
1 febbraio 2015

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