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Giugno 2019

Sovranismo, democrazia, populismo
di Salvatore Sfrecola

La riflessione più recente in tema di “sovranismo” è del 14 dicembre 2018 e si rinviene nei contributi al Convegno internazionale promosso dalla rivista on-line Logos su “Sovranità, democrazia e Libertà” di studiosi di economia e diritto provenienti da alcune tra le più prestigiose università del mondo, da Navarra a Torino, da Washington a Pisa, a Budapest, Cambridge, Oxford, Salisburgo, Stoccolma, Tel Aviv. Nelle loro relazioni è delineato una sorta di “Manifesto dei sovranisti” con l’ambizione di dare avvio ad una “internazionale sovranista” per ribadire le ragioni di quella reazione crescente che, in Europa e non solo, si oppone ad una visione del mondo che, globalizzato nell’economia, si vorrebbe anche avviato verso la perdita di ogni riferimento culturale, ideologico e identitario, tradizionalmente collegato al concetto di Nazione, espressione delle radici più profonde dei popoli, per sostituirla con una società “mondialista” senza valori, senza stati, senza confini, dove l’economia è destinata a prevalere sulla politica. L’Italia, nella quale il richiamo all’identità è stato uno dei fattori ideologici fondamentali che hanno accompagnato il processo risorgimentale e l’unificazione nazionale, si candida, dunque, alla guida del movimento sovranista, di una coalizione che comprenda i popoli e le forze politiche che oggi stanno lottando per un’Europa diversa, che sia patria dei diritti politici secondo l’insegnamento del Barone di Montesquieu che giustamente Giuliano Amato, in occasione del discorso di insediamento della Convenzione europea istituita per scrivere la Costituzione dell’Unione, aveva constatato non essere “mai passato da Bruxelles”, per segnalare quel deficit di democrazia e quella ambiguità nei rapporti tra le istituzioni che l’autore dell’Esprit des lois avrebbe severamente censurato, convito che la separazione dei poteri sia il cardine della democrazia parlamentare.

Nel 2003 l’Europa non volle riconoscere le proprie radici cristiane eppure evidenti nelle sagome delle cattedrali, che svettano da Nord a Sud del Continente, come soleva dire Robert Schuman, uno dei padri della Comunità della quale furono gettate le basi proprio in una sua Dichiarazione del 9 maggio 1950 che delineava l’avvio del “sogno europeo” mettendo insieme le produzioni di carbone e di acciaio, essenziali nella ricostruzione post bellica. L’Europa che – si legge – “non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme”. E sarà “l’unione delle nazioni”, della realtà viva delle singole comunità che si alimenta della vitalità dei corpi sociali intermedi, chiesa, associazioni, corporazioni, classi sociali con la loro “imprescindibile funzione di cuscinetto tra il potere individuale e quello dello Stato”, come ha scritto Robert Nisbet, tra i principali studiosi del conservatorismo. Quella realtà culturale che gli eredi della Rivoluzione Francese vorrebbero annullare nello stato centralizzato, che nega l’autonomia delle istituzioni territoriali e, dove le condizioni storiche lo richiedono, il federalismo.

A definire un’idea identitaria “forte”, che è al fondo della scelta sovranista, ci ha pensato, a conclusione del convegno milanese, Giuseppe Valditara, ordinario di diritto romano a Torino ed oggi Capo Dipartimento istruzione universitaria e ricerca del MIUR, autore di Sovranismo”, Una speranza per la democrazia”, convinto che “per sapere dove vogliamo andare, quale futuro dare alla nostra società, dobbiamo recuperare la consapevolezza dei nostri valori di riferimento”. Per dare una risposta a quanti negli anni hanno cavalcato la fine delle ideologie, ritenute fonte di tutti i mali del XX Secolo. Così facendo venir meno anche le idee che nel corso degli anni avevano delineato il pensiero, la filosofia dei movimenti e dei partiti che, divenuti via via avidi gestori del potere, la “partitocrazia” di Giuseppe Maranini, hanno sempre più screditato agli occhi dei cittadini e degli elettori le ragioni della politica, il valore delle tradizionali distinzioni, Destra e Sinistra, conservatorismo e progressismo, nell’illusione che pace e prosperità sarebbero state assicurate dalla globalizzazione dell’economia e da quella dimensione cosmopolita e internazionalista ostile a riconoscere il valore politico dei fenomeni identitari. Come quel nazionalismo liberal conservatore che, scrive Andrea Geniola nella prefazione a “Nazionalismo banale” di Michael Billig, è una identità che “sopravvive alla globalizzazione”, a quegli interessi finanziari internazionali che traggono vantaggi da una società senza frontiere. Secondo la logica “mercatista” denunciata da Giulio Tremonti che esige una immigrazione di massa incontrollata per assicurare ai produttori manodopera a basso costo e aumentare i profitti e condizionare i poteri degli Stati, ultimo vero ostacolo al dominio incontrastato dei mercati, all’omologazione dei popoli. Sovranismo, dunque, per andare oltre gli slogan dei movimenti sbrigativamente definiti “populisti”, quasi sempre privi di senso identitario, come il Movimento 5 Stelle, sicché la qualificazione ha assunto un significato a volte dispregiativo e comunque limitativo dell’offerta politica.

(Contributo a “Sovranismo vs populismo, La genesi e le peculiarità dei due movimenti che stanno cambiando gli equilibri dell’Europa”, n. 6/inverno 2019 di Nazione Futura)

In ricordo di Antonio Galano
di Salvatore Sfrecola

Ciao Antonio, amico da anni lontani, nei quali pensiero e azione ci hanno accomunato, tanto ci piaceva discutere e approfondire, fare ipotesi ed attuare iniziative, guardare lontano, forse, a volte, sognare.
Ti daremo un saluto non formale domattina, nella Chiesa di San Pio X alla Balduina a poche decine di metri dalla tua abitazione, in quel viale delle Medaglie d’oro, arteria centrale di un quartiere che ricorda eroi e martiri, italiani che hanno servito con onore la Patria, spesso con sacrificio della vita. Da Luigi Rizzo, l’intrepido comandante del Mas che ha violato la munitissima base austriaca di Buccari, ad Ugo de Carolis, il Maggiore dei Carabinieri impegnato a Roma contro i tedeschi invasori insieme al Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Entrambi catturati dalla Gestapo finirono alle Fosse Ardeatine dopo essere passati per la prigione di via Tasso.
Le avevi illustrate più volte con dovizia di riferimenti le gesta di questi soldati. Ricordo, in particolare la tua conferenza al Circolo Rex. Avevi condotto una ricerca approfondita, sicché alcuni nomi che per molti di noi indicano solo vie e piazze hanno assunto attraverso le tue parole le dimensioni autentiche di personalità forti, decise a tenere alto il vessillo della Patria che per i militari era anche fedeltà al giuramento prestato al Re. Personalità diverse, esperienze diverse, ma di tutti ricordavi l’impegno condotto senza timore per la propria persona, convinti che quello di prendere le armi contro l’invasore per riscattare l’onore dell’Italia fosse un dovere da compiere a qualunque costo.
Ci eravamo sentiti e visti ancora di recente. Mi avevi detto nei giorni scorsi “vieni a trovarmi”. Non ho avuto il tempo e adesso me ne rammarico. Eri stato discreto, come sempre, sulla tua salute. Non avevo capito, non pensavo che ci avresti abbandonato così presto.
Alla notizia ho pianto. Avevo trattenuto le lacrime in altre occasioni, anche familiari. Ma ieri non sono riuscito. È stato un pianto silenzioso. Ed ho ripercorso gli anni, i tanti anni della nostra militanza nel Fronte Monarchico Giovanile, a via Rasella, in quel Palazzo Tittoni dove abbiamo imparato a sperimentare la difficile politica monarchica in tempo di repubblica, guidati da quel “l’Italia prima di tutto” che ci aveva lasciato Re Umberto II, che andammo a salutare a Beaulieu sur mer. Avevamo viaggiato tutta la notte in treno, senza dormire, solo parlando di politica.
Qualcuno di noi era attratto dall’impegno nei partiti. Liberali entrambi, ma tu impegnato direttamente, sentivamo il fascino del Risorgimento delle libertà, di quel periodo di vigorosa aspirazione all’unità di quanti, provenendo da ogni angolo d’Italia, mettevano a disposizione di quell’ideale, invano perseguito lungo i secoli, le intelligenze della migliore gioventù. Tutti volevano che gli italiani “calpesti/desiri”, perché “non siam popolo perché siam divisi”, si ritrovassero in un unico Stato, che fu possibile solo grazie all’impegno coraggioso dei Sovrani di Casa Savoia che osarono contro l’Imperial Regio Governo e la sua potenza militare. Un faro nell’Italia dai sette staterelli che perfino il campione dei repubblicani, Giuseppe Mazzini, identificò pubblicamente in una celebre lettera a Vittorio Emanuele II come unica speranza d’Italia. Di questo parlavamo, impegnati tuttavia ad attualizzare il messaggio che ci proveniva da quegli uomini, un messaggio di speranza anche per oggi, un tempo nel quale ricerchiamo la nostra identità di italiani e di europei per sopravvivere alla fine delle ideologie che spesso ha travolto anche le idee che hanno alimentato la filosofia politica.
Quante battaglie nell’ambito del Fronte Monarchico Giovanile e dell’Unione Monarchica Italiana, quando mettevamo a confronto esperienze ed aspirazioni, diverse secondo l’indole, la formazione professionale, gli studi condotti. Eravamo tanti ed impegnati in vario modo. Vorrei fare qualche nome ma sono certo che ne dimenticherei qualcuno, non per mancanza del ricordo ma perché la mente vaga tra immagini in bianco e nero ed a colori che fanno emergere volti che si ricorrono, amici ed amiche dei quali sento la voce, percepisco l’accento della regione di provenienza, battute che sono rimaste nel mio patrimonio di esperienze umane straordinarie.
Poi, passato il tempo dell’impegno giovanile il lavoro ci ha costretto a diradare gli incontri, ma ogni occasione era propizia per ritornare sulle nostre idee che continuavano ad essere oggetto di riflessione mentre l’Italia si avviava, da una repubblica all’altra, a perdere il senso della sua storia, volutamente lasciata da parte, non solamente nel dibattito politico ma anche nella scuola, perché i giovani non sapessero che uomini illustri avevano sacrificato la loro vita personale e professionale per dedicare le migliori energie all’interesse nazionale, perché passasse la versione dell’italiano arruffone, che approfitta di quanto può e come può, soprattutto se svolge una funzione pubblica, per cui troppo spesso gente senza arte né parte oggi può aspirare a ricoprire compiti parlamentari e di governo e ad arricchirsi quando un tempo chi svolgeva un ruolo pubblico inevitabilmente sacrificava patrimonio e professione per servire lo Stato, per indossare “la giubba del Re”, come titola un libro famoso sulla corruzione scritto da Piercamillo Davigo, per ricordare come nel suo paese fosse un onore servire lo Stato.
Abbiamo seguito questo degrado, caro Antonio, e ne abbiamo parlato più volte negli ultimi anni nella speranza di poter contribuire in qualche modo alla rinascita di questo nostro Paese. Non ci siamo mai scoraggiati ed anche di recente ci eravamo ripromessi di discuterne. Non ce l’abbiamo fatta. Ma non disperiamo neppure questa volta. Continuerò fingendo che tu sia accanto a me ad aiutarmi a riflettere e ad operare per la Patria nostra amatissima.
Ciao Antonio, amico mio.
Salvatore
21 giugno 2019

FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa
È illegittimo il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, emanato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, del 12 febbraio 2018, nella parte in cui fissa il compenso lordo minimo per i componenti della commissione giudicatrice (Tar Lazio, Sez. I, 31 maggio 2019, n. 6926, con commento di L. Grassucci, “Illegittima la previsione con decreto ministeriale di un compenso minimo per i commissari di gara”, in www.Italiappalti.it, 5 giugno 2019).
Nomine del CSM ed altro
Come avevamo già previsto in questi Frammenti, anche le prossime nomine del CSM non sfuggono a ricorrenti critiche che possono proiettare ombre sospette sui comportamenti della magistratura, a tutto detrimento di quanti domandano giustizia.
Occupandosi dello spinoso problema, Marco Travaglio (“Chi perde vince”, il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2019) ricorda, non a caso, quanto avvenuto, anni addietro, per la nomina del Procuratore di Palermo che provocò un ricorso al Tar del Lazio degli esclusi, che accolse il gravame. Decisione, poi, disattesa dal Consiglio di Stato, in sede di appello, con una tutt’altro che esemplare sentenza (Presidente del Collegio ed estensore, successivamente coinvolti in altre scabrose vicende).
Auguriamoci che di qui a poco tutto possa concludersi nel pieno rispetto della legge e non mediante regole e criteri inesistenti, rabberciati per la bisogna.
Sono, infatti, quelli odierni, tempi particolarmente duri per la credibilità della magistratura di ogni ordine e grado.
In un recente e magistralmente documentato articolo, Emiliano Fittipaldi (“Magistratura dipendente”, L’Espresso, n. 24/2019, 10 ss.) osserva che “nel gran bazar della giustizia le sentenze sono i prodotti più venduti, ma sono molte le merci acquistabili”.
Al “mercato delle sentenze”, quanto emerge per le nomine del CSM è connesso ad altre “inchieste che hanno terremotato istituzioni che regolano la vita giudiziaria ed economica del Paese? come quella su un presunto mercimonio di sentenze dentro il Consiglio di stato?Un paesaggio desolante, visto che Palazzo Spada è uno dei centri nevralgici del bel Paese”.
Né è da meno il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, “campo da gioco preferito” da un ben orchestrato “gruppo di faccendieri”.
In realtà, l’ultima inchiesta sul CSM “dimostra che il sistema giudiziario è troppo debole e permeabile, scalabile da soggetti senza scrupoli, degenerato in strutture correntizie che, invece di difendere, rischiano di distruggere l’indipendenza della magistratura”.
Ma una cosa è certa. Ormai l’organo di autogoverno della magistratura ha perso ogni affidabilità per il palese discredito che ha gettato sull’intera categoria che ha preteso di rappresentare.
Propaganda politica nella scuola
Una insegnante di scuola media statale di Palermo è stata sospesa dal servizio per non aver vigilato sul lavoro degli alunni che, nella ricorrenza del 25 aprile, hanno presentato un video nel quale si accomunano le leggi razziali del 1938 al decreto sicurezza voluto dal Ministro Salvini.
È, a tale riguardo, da condividere quanto posto in risalto da Salvatore Sfrecola (“Teacher ride per la prof. di Palermo. A scuola è l’ora dell’indottrinamento”, La Verità, 2 maggio 2019, 12) e cioè che della docente “si può dire, con ragionevole certezza, che non ha saputo spiegare come le leggi razziali siano un unicum nell’ordinamento giuridico italiano e non possono essere poste a confronto con la legislazione sulla sicurezza, come tutte le leggi criticabile, ma assolutamente non associabile alla legislazione razziale”.
Dopo siffatto precedente, ripristinato l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole, non si può non temere che le lezioni di tale materia possano trasformarsi in riprovevoli espedienti di propaganda politica.
Sul Codice degli appalti
Il Ministro Salvini ha dichiarato che si rende ormai quanto meno necessaria una sospensione biennale del Codice degli appalti.
L’iniziativa del Ministro merita attenta considerazione con l’auspicio che, trascorso il biennio, venga in toto sostituita, entro breve e perentorio termine, questa sorta di pateracchio, denominato Codice, palesemente inadatto ed ostativo alle finalità che intende perseguire. Situazione questa che l’eventuale conversione dell’ultimo decreto in materia non può riuscire a sovvertire.
Invero, il Codice appalti risulta, sotto molteplici profili, decisamente inadeguato perché frutto di innumerevoli rimaneggiamenti che lo rendono di ardua applicazione concreta, dando così ampio spazio ai magistrati per la strutturazione ondivaga degli istituti ed alla burocrazia per rallentare ad libitum i tempi di inizio dei lavori.
Mentre taluni sostengono che l’unico mezzo per vincere la corruzione è comunque necessaria una normativa minuziosa, altri ritengono che, pur non potendosi considerare buona parte degli imprenditori integerrimi gentiluomini, non possono certamente essere ritenuti aprioristicamente affiliati alle cosche mafiose.
In ogni caso, sono sempre da escludere le assurde gare al ribasso che hanno indubbiamente influito negativamente su ogni lavoro appaltato.
Anche Totti dice addio alla Roma
Francesco Totti, con apprezzabile e condivisibile gesto di dignitosa rilevanza, lascia la Roma di cui ancora oggi rappresenta un glorioso passato.
Alla società e alla squadra altro non resta che un inutile ciarpame.
Addio grande, indimenticabile Capitano.

Il C.S.M. nella bufera. La soluzione passa attraverso una riforma costituzionale che preveda il sorteggio e non l’elezione dei membri togati
di Salvatore Sfrecola
Mio padre amava ripetere che il magistrato dev’essere come il prete, attento alle frequentazioni, in modo da apparire sempre estraneo alle beghe dei suoi parrocchiani. Non so se ripeterebbe oggi lo stesso esempio, visto l’andazzo di certi ecclesiastici dalle amicizie disinvolte. Ma è certo che il monito resta valido per l’attenzione che chiunque eserciti funzioni giudiziarie deve tenere non solo nei confronti di amici, parenti e compagni di circolo sportivo, ma anche degli ambienti politici.
Stona, dunque, ed è grave che nessuno l’abbia notato, quanto ha scritto Franco Roberti, passato dalla toga alla politica, che, intervistato da Il Fatto Quotidiano dell’8 giugno parla di “noi” riferendosi al PD, il Partito Democratico che lo ha messo in lista per le elezioni europee. Certo è stato eletto in quel partito ma l’atteggiamento disturba – mi auguro non solo me – perché un tempo il magistrato che scendeva in politica teneva ad apparire indipendente, perché nessuno sospettasse che quella “passione” politica non fosse sopravvenuta ma lo avesse accompagnato e, in qualche modo, condizionato nel tempo in cui esercitava le funzioni di giudice o di pubblico ministero. Che è poi quello che ha mosso Matteo Salvini a “ricusare” giudici che, a suo dire, hanno pronunciato sentenze che interpretano norme governative come avrebbero in qualche modo preannunciato in occasione di esternazioni di sapore politico che un magistrato dovrebbe sempre evitare per non apparire “di parte”. Che, poi, magari non è vero. Ma apparire indipendente è necessario, posto che è “normale” che indipendente lo sia.
Si comprende, dunque, come le polemiche che in questi giorni accompagnano le notizie sull’inchiesta del Procuratore della Repubblica di Perugia, Luigi De Ficchy, un magistrato di grande valore e di lunga esperienza, possano far molto male alla Magistratura se la lente d’ingrandimento degli inquirenti si è fermata sui comportamenti di alcuni componenti del Consiglio Superiore della Magistratura intenti ad immaginare, insieme a uomini di partito, chi avrebbe potuto essere votato per la preposizione alle più importanti Procure, a cominciare da quella di Roma, libera dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone. Infatti, sull’onda dello scandalo, per cui – tra l’altro – un politico sotto indagini si sarebbe incontrato con alcuni componenti del C.S.M. per concorrere alla scelta di quello che sarebbe stato il suo inquisitore, vanno emergendo ipotesi varie di “riforma”, come quella della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, della sottoposizione di questi alle direttive del Governo, della eliminazione della obbligatorietà dell’azione penale. Se ne parla da tempo con opposte valutazioni, ma il pericolo è sempre quello che Governo e Parlamento intervengano sull’onda delle emozioni. Non va mai bene, malissimo in materia di Giustizia, che è interesse di tutti sia oggetto di iniziative di riforma particolarmente meditate.
La riforma fondamentale, visto che parliamo di nomina dei responsabili degli uffici direttivi, in particolare delle Procure, cui spetta l’esercizio dell’azione penale, è quella di una composizione del Consiglio Superiore in qualche modo impermeabile alla politica. Ed anche alle correnti interne, considerato che esse hanno dimostrato nel tempo di essere non solamente espressione di orientamenti culturali e di indirizzi giurisprudenziali ma di portare nel dibattito interno elementi di carattere ideologico molto spiccati, come dimostrano i documenti presentati in congressi e convegni, in particolare, di Magistratura Democratica, da sempre “vicina” alle sinistre, a cominciare dal Partito Comunista Italiano.
Il C.S.M., espressione dell’indipendenza di quell'”ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” che è la Magistratura, come si legge nell’art. 104 della Costituzione, presieduto dal Capo dello Stato e con componenti di diritto il Primo Presidente della Corte e il Procuratore Generale della Cassazione, è composto per due terzi da magistrati ordinari eletti “tra gli appartenenti alle varie categorie” e per un terzo da eletti dalle Camere. Eletti, dalle correnti, cioè da gruppi portatori di orientamenti culturali e ideologici che si riversano nel voto dei componenti togati i quali, al momento della scelta, attribuiscono le loro preferenze ai colleghi di corrente o comunque ad essa vicini, anche sul piano ideologico. Roberti le difende. “servono all’elaborazione del pensiero della giustizia”, dice. Ma sa bene che organizzano il consenso ai fini delle elezioni e delle scelte.
L’esperienza ci dice, infatti, di una progressiva degenerazione del sistema dovuto proprio alla elezione attraverso le correnti che organizzano il consenso all’interno della magistratura per cui il magistrato che si candida ad un posto direttivo, Presidente di Tribunale o di Corte d’appello, Procuratore della Repubblica o Procuratore Generale, ha speranza di veder accolta la propria istanza solamente se appoggiato da un gruppo che conta autorevoli rappresentanti nel CSM.
Tra i primi a criticare questo sistema Piercamillo Davigo, all’atto del suo insediamento nel ruolo di Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Non va bene disse perché introduce elementi personalistici che nulla hanno a che fare con scelte che dovrebbero essere guidate da una obiettiva valutazione della specifica professionalità ed esperienza in relazione all’esercizio di una determinata funzione.
Le correnti della Magistratura, tuttavia, non ci stanno. Negano che la loro influenza nel CSM ne condizioni le scelte. Il tema è antico ma in questa stagione la polemica si è aggravata e la lotta “di potere”, un’espressione che dovrebbe essere bandita quando si parla di Giustizia, è diventata ancora più esasperata da quando Matteo Renzi ha ridotto il limite di permanenza in servizio dei magistrati (da 75 a 70 anni) così scatenando una lotta furibonda per l’assegnazione dei posti di vertice di gran parte degli uffici giudiziari. Non solamente nella Magistratura ordinaria ma anche in Consiglio di Stato e Corte dei conti, con l’effetto di far giungere al vertice di uffici importanti magistrati con insufficiente esperienza.
Nella gestione delle nomine, come ha dimostrato l’inchiesta di Perugia, le scelte vengono pesantemente determinate dalle varie componenti presenti nel CSM dove siedono laici eletti dal Parlamento, cioè dai partiti, e togati scelti dalle varie correnti della Magistratura, per cui è inevitabile che i curricula dei partecipanti alle procedure di assegnazione siano esaminati almeno sotto due profili, uno per qualche verso “politico”, l’altro dell’appartenenza ad una determinata corrente dell’ANM. Fuori di questa logica non c’è spazio. Clamoroso il caso di Giovanni Falcone che, nonostante l’esperienza che poteva vantare nella lotta alla mafia, fu superato nell’attribuzione del posto di capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo da un collega, certamente più anziano, ma ignoto ai più, con una esperienza che forse sarebbe stato meglio utilizzare altrove.
Una soluzione s’impone, dunque, rapidamente per restituire serenità alla Magistratura con una modifica incisiva della composizione degli organi di autogoverno. Ma serve una modifica della Costituzione che prevede l’elezione. La soluzione è una sola, quella di prevedere che i componenti togati siano scelti sulla base di un sorteggio tra tutti i magistrati in servizio, tenendo conto di anzianità e funzioni svolte, in modo da assicurare all’organo di autogoverno esperienze e professionalità diverse, capaci di una equilibrata valutazione delle candidature ai vari posti di funzione. Ci sarà sempre la possibilità che un magistrato sorteggiato nel CSM possa essere “sensibile” alle aspettative del collega di concorso o che ha condiviso con lui qualche esperienza professionale. Ma non ci sarà più una scelta per motivi di appartenenza correntizia a tutti i costi, anche quando sia evidente che il candidato non ha i requisiti per ricoprire il ruolo per il quale concorre.
8 giugno 2019

L’alchimia che trasforma le Pensioni in Oro
di Serenella Pesarin e Antonio Grassi

Sappiamo che l’età media della popolazione si sta alzando, mentre aumenta l’attesa di vita nell’età avanzata e la coorte del baby boom post-bellico sta entrando in tale età, grazie anche all’accresciuta qualità della vita e alle conquiste della medicina. Di fronte a questo insorgente mondo di “vecchi”, alla dilagante disoccupazione giovanile, all’assenza di politiche sociali preventive, alla povertà in aumento, all’afasia di rimedi nel breve periodo, la strada più semplice da percorrere è quella dell’odio di classe o di status. Per legittimare questo odio di classe serve identificare in alcuni livelli sociali gli untori di manzoniana memoria! Ed ecco che alcuni tipi di anziani vengono improvvisamente proposti alla collettività come ladri e truffatori. Chi sono? I pensionati dalle cosiddette “pensioni d’oro”! Senza alcuna distinzione tra chi ha versato negli anni cospicui contributi e chi no! E così sentiamo parlare di tutti questi anziani, indistintamente, come dei fuorilegge, dei predatori perché “hanno ridotto il Paese in queste condizioni”, o perché, solo esistendo, hanno rubato e rubano ai giovani la possibilità di inserirsi nel mondo occupazionale grazie ai privilegi di cui, nessuno escluso, hanno goduto. Ma ecco il rimedio magico per questa malvagia presenza: la rottamazione, iniziata da Renzi, prende il posto della trasmissione intergenerazionale dei saperi e dell’esperienza che si accresce solo con il trascorrere degli anni. Questa rottamazione colpisce un nucleo, anche numeroso, ma socialmente più debole rispetto alla grande massa. Ma è il principio della rottamazione che conta e basta una disposizione di legge per farne poi indebitamente una regola generale. Ecco una esemplificazione di qualcosa già realizzato. Il caregiver (significato: datore di cure), nato per valorizzare gli aspetti affettivi di chi si prende cura di un minore bisognoso di cure (di una minoranza, per fortuna), è stato poi usato come “cavallo di Troia”, per introdurre provvedimenti che stanno abbattendo qualsiasi differenziazione tra madre e padre sul piano sociale. Poiché tutti possiamo essere caregiver, il ruolo biologico di madre e padre viene così liquefatto e il Caregiver (cavallo di Troia), destinato ad un nucleo minoritario, si è poi esteso come una epidemia attraverso “gli untori di turno”, ben nascosti nel ventre del cavallo, dissolvendo in un grande magma indifferenziato il significato unitario di famiglia. Diventa a questo punto indispensabile proporre alcune riflessioni che sono fondamentali secondo noi per comprendere lo sfacelo individuale e sociale in cui viviamo come anziani, come giovani, come coppie, come lavoratori, come pensionati, etc. In questo sfacelo trova la sua funzione la rottamazione degli anziani, di cui il taglio delle pensioni cosiddette d’oro rappresenta uno step necessario per avviare, o, meglio sarebbe dire, continuare il processo di abbattimento della funzione paterna; obiettivo” eclissare il padre”!
Abbattuto il Padre Celeste, con la morte di Dio celebrata nel secolo scorso, bisognava abbattere anche la funzione paterna terrena, mediatrice di Verità-Regole- Etica-Sacralità. Oggi ci troviamo ad affrontare un grande mostro nella caotica indifferenziazione del parassitismo e della predatorietà sociali, presenti anche nell’agone politico. Ed ecco che nel caso del taglio delle pensioni che diventano, per puro slogan elettorale di qualcuno, improvvisamente “d’oro”; a livello inconscio profondo il significato vero sta nell’attuazione di una rottamazione del valore della tradizione, cioè del passato. Se tu impoverisci gli anziani, non li colpisci solo sul piano esistenziale cosciente, ma ne impoverisci il valore (denaro) anche per il significato che hanno nel contesto sociale. Se poi lo fai in maniera retroattiva, prendi “due piccioni con una fava”: dai corpo concreto al Grande Mostro, gli permetti di colpire mortalmente anche Verità, Regole, Etica. La Verità, costituita dal significato univoco che aveva nel passato, vale a dire rapporto contrattuale Cittadino-Stato, viene abbattuta sostituendola con la relativistica verità del potere del momento: diventa improvvisamente “d’oro” una pensione conquistata con il sudore della fronte, a seguito di un patto specifico di lavoro tra il cittadino e lo Stato contratto nel passato. -Le Regole: quelle tra Cittadino e Stato, anche queste abbattute in modo retroattivo, colpendo la parte più debole. Ci lamentiamo della violazione delle regole che ordinano il civile convivere della famiglia e dei cittadini e produce la violenza di coppia, dei giovani sugli anziani, degli adolescenti, dei figli che aggrediscono i genitori, degli uomini che uccidono le donne, di donne che bullizzano altre donne (e stanno cominciando a farlo anche con gli uomini). Ma questi fenomeni di violazione delle regole e dei confini trovano un modello di identificazione “Alto”, un Ideale dell’Io di freudiana memoria, proprio in uno Stato che viola le Regole del suo rapporto con il Cittadino: una decisione, quella del taglio delle pensioni, che introduce il principio della legalità dell’illegalità. Illegale e truffaldino è cambiare le regole con valore retroattivo. Se passa un principio che consente al più forte di turno sul piano del potere politico, non di creare nuove regole per il futuro, ciò è legittimo, ma di intervenire sulle regole del passato, regole che hanno condizionato pesantemente, in termini di correlata responsabilità e fatica, la vita di persone, tante persone, milioni di persone, una volta instaurato questo principio, che cosa dovremo insegnare ai nostri figli e ai nostri giovani? Che non esistono regole certe neppure nel rapporto tra Stato e Cittadino. Che lo Stato ritiene che la democrazia non sia una bandiera da difendere, ma una banderuola che deve seguire là dove spira il vento del più forte di turno o di chi siccome non riesce a rispondere ai problemi reali, quali la disoccupazione giovanile, trova un capro espiatorio per assolversi dalle proprie incapacità! Allora la verità, la giustizia, l’etica, le regole sono solo parole – scatole vuote in cui è” lecito “inserire quello che si vuole, dove la” innovativa Regola Magistrale dello Stato” è predicare bene e razzolare male. E che per ora loro , i giovani, l’unica certezza civica che hanno è che a 70 anni, come gli attuali settantenni, faranno la stessa fine degli anziani settantenni del “paleolitico sardo”. Allora i giovani, vestiti di pelli di pecora (oggi in giacca blu e camicia bianca), buttavano giù da una rupe, uccidendoli, i settantenni, che opponevano come unica forma di affermazione della propria dignità una risata di sfida, che ha poi dato origine all’espressione “riso sardonico”. L’Etica: viene posto in essere e si dà corpo al principio antietico proprio dell’etica relativistica. Qualunque patto tra cittadino e Stato può essere trasgredito, in modo anche unilaterale e retroattivo, in qualunque momento, subordinatamente alle esigenze di parte di uno degli attori del patto: lo Stato, rappresentato da chi esercita il potere pro-tempore. Il principio operativo del relativismo etico anche ad un livello politico. Esso già vige in alcuni settori della giurisprudenza, nella formazione culturale scolastica ed universitaria, nell’attuale concezione del termine famiglia. Sul piano educativo lo Stato rischia di trasmettere così ai nostri giovani nella forma più efficace, cioè quella dei comportamenti, che la legge che domina è proprio quella della trasgressione dei principi e delle regole di base dell’esistenza umana, scritte sulla pietra. Tutto diventa possibile, quando le regole sono liquide! Si introduce una unica legge: quella del Far West. Si fa quello che vuole colui che è più forte e che spara più velocemente degli altri. In questo stiamo all’erta! Se le pratiche educative – comunicative sono centrate per formare sempre più velocissimi pistoleri, non meravigliamoci poi se la desertificazione culturale otterrà il suo primato su quell’umanesimo pedagogico e sulla trascendenza dei valori, vitale per salvaguardare quella dignità umana di cui ogni persona è, indistintamente, portatore! Ma se le cose stanno così unica via di salvezza e sopravvivenza resta la terra promessa per gli anziani italiani del terzo millennio: il Portogallo.
5 giugno 2019

FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa
Il diploma di massofisioterapista, rilasciato ai sensi della legge 19 maggio 1971, n. 403, non consente ex se l’iscrizione alla facoltà di Fisioterapia, né dà vita, nella fase di ammissione al corso universitario, ad alcuna forma di facilitazione, nemmeno se posseduto unitamente ad altro titolo di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale.
L’iscrizione alla facoltà di Fisioterapia potrà, quindi, avvenire solo secondo le regole ordinarie che postulano il possesso di un titolo idoneo all’accesso alla formazione universitaria ed il superamento della prova selettiva di cui all’art. 4 della legge 2 agosto 1999, n. 264 (Cons. Stato, Ad. plen., 9 novembre 2018, n. 16, con commento di L. Grassucci, Secondo l’Adunanza plenaria il solo diploma di massofisioterapista non è sufficiente ai fini dell’iscrizione alla Facoltà di Fisioterapia, in ItaliAppalti, 13 novembre 2018).
Ai sensi dell’art. 95 c.p.a., l’impugnazione deve essere notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti in causa e, negli altri casi, alle parti che hanno interesse a contraddire; pertanto, è sufficiente la notificazione dell’appello al ricorrente in primo grado e non deve essere disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soccombenti, i quali, avendo una posizione coincidente con quella dell’amministrazione, sono privi di interesse a contraddire e non devono essere, perciò, evocati in giudizio (Cons. Stato, Sez. III, 12 maggio 2017, n. 2245, a cura di A. Corrado, in Guida dir., n. 33/2017, 94).
“Palazzo d’ingiustizia”
È il titolo di una nuova, scottante inchiesta di Riccardo Iacona (Marsilio Editori, Venezia, 2018): “un viaggio dietro le quinte della giustizia italiana, tra opacità, correnti politiche e conflitti personali”.
L’autore ci conduce nelle stanze dei Palazzi dove si esercita la “malagiustizia” italiana, “puntando i riflettori su un intricato groviglio di lotte fratricide e interessi inconfessabili”.
È una demoralizzante storia della giustizia italiana e di “come non viene esercitata”.
Un libro da leggere e da meditare.
Il tricolore non è uno straccio
Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo, nel corso di una cerimonia pubblica, si è servito della bandiera tricolore per lucidare una targa commemorativa.
Come ha ben evidenziato Salvatore Sfrecola (Il disprezzo di Gori per la bandiera gli può costare due anni di galera, in La Verità, 14 maggio 2019, 5), nella condotta del Sindaco “ci sono evidentemente tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi dell’illecito penalmente sanzionato dal comma 2 dell’art. 292 c.p.: l’intenzionalità del gesto, che manifesta disprezzo; il deterioramento del vessillo che, se usato per lucidare o spolverare una targa, avrà certamente subito gli effetti di tale impiego; la natura pubblica della cerimonia” e ciò con evidente vilipendio al valore simbolico del tricolore.
Ora pro nobis
Il Papa regnante rifiuta di ricevere il Ministro Salvini e di stringergli la mano finché non muterà orientamento su migranti e accoglienza.
Da “Il Vangelo secondo Bergoglio”.
Profugopoli
Il libro (Milano, 2016) di Mario Giordano, è un documentato atto di accusa contro “quelli che si riempiono le tasche con il business degli immigrati”.
Si parla troppo spesso di accoglienza e solidarietà, ma – scrive l’Autore – è sufficiente sollevare il velo dell’emergenza immigrazione per scoprire che dietro il paravento del buonismo si nascondono soprattutto affari. Non sempre leciti, peraltro. Fra quelli che accolgono stranieri, infatti, ci sono avventurieri improvvisati, faccendieri dell’ultima ora, speculatori di ogni tipo? che sulla disperazione altrui hanno accumulato notevoli fortune.
Giordano ha percorso le vie della Profugopoli italiana, raccontando sprechi, follie, assurdità, tangenti, corruzione, seguendo il fiume di denaro che circola nel nostro Paese sotto le mentite spoglie della solidarietà.
Addio De Rossi
Con De Rossi, mitico “Capitanfuturo”, è stata ammainata l’ultima bandiera giallorossa.
Conduzione della Società a dir poco disastrosa.
Siamo, purtroppo, tornati tristemente alla “Rometta” d’un tempo.
4 giugno 2019

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