Frammenti di riflessioni
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci
Giustizia comunitaria
Se i giudici di appello sono chiamati a decidere sulla fondatezza delle accuse e raggiungono un verdetto di condanna dopo l’assoluzione in primo grado, è necessario che i giudici procedano a un esame diretto delle prove. In particolare, la Corte di appello, che decide la condanna giudicando i testi attendibili dopo che i giudici di primo grado li hanno ritenuti non attendibili, deve procedere a una nuova audizione degli stessi e non può limitarsi a decidere sulla base della trascrizione delle testimonianze (Cedu, Sez. I, n. 63446/13, sent. 29 giugno 2017, con commento di M. Castellaneta, “Per ribaltare in appello un giudizio di primo grado i giudici devono procedere all’esame diretto delle prove”, in Guida dir., n. 33/2017, 96 ss.).
Rileggendo Gervaso
Nel libro di Roberto Gervaso (Italiani pecore anarchiche, Milano, 2003), più volte citato in questi Frammenti, raccomandiamo a tutti di leggere, o rileggere, il lungimirante Prologo del volume (p. 11 ss.).
Il peggiore dei tanti difetti di noi italiani, “figlio dello scarso carattere, è il trasformismo, mix di conformismo e opportunismo”.
È vero che siamo “una stirpe di poeti, santi, navigatori, artisti, ma anche di camaleonti che cambiano idee e casacca secondo l’aria che tira”.
Ma, in Italia, non è facile vivere “perché troppe cose non funzionano, e quelle che funzionano potrebbero funzionare meglio”.
Non funziona la burocrazia, “arrogante e servile, arruffona e sprecona, che ha una difficoltà per ogni soluzione e un cavillo per ogni certezza”.
Non funziona il fisco, “la più affilata e spietata spada di Damocle”.
Non funziona la giustizia, “che in primo grado, dopo dieci anni, ti dà torto; in secondo, dopo altrettanti, ti dà ragione. E a babbo morto, in Cassazione, ti condanna o ti assolve, prosciugando i tuoi risparmi”.
“Il guaio è che la nostra democrazia è nata tardi e male o, comunque, non come sarebbe dovuta nascere… Anche se si proclama tartufescamente tale, la nostra non è una democrazia perché questa presuppone uno Stato forte, che non significa autoritario, ma autorevole”.
“Morale: sforziamoci di cambiare, ma senza farci troppe illusioni… E senza mai dimenticare che questa è l’Italia perché questi sono gli italiani”.
Ancora toghe sporche
In un recente e ben documentato servizio apparso su L’Espresso (n. 26/2019, 36 ss.), Paolo Biondani e Emiliano Fittipaldi tornano sullo “tsumani che ha investito la magistratura”.
Le intercettazioni dei soliti noti “stanno terremotando non solo la giustizia italiana, ma anche molti palazzi del potere, travolti da un vortice di ricatti incrociati, abusi, minacce e dossieraggi… Registrazioni alla mano, i comportamenti di toghe e politici (al di là della rilevanza penale ancora tutta da dimostrare) sembrano lontani da qualsiasi canone istituzionale e deontologico. E raccontano trame di potere intessute nell’ombra, per spartirsi poltrone e per curare interessi personali e giudiziari”.
Gli autori del servizio ricordano, tra l’altro, come, “nel febbraio 2018 il Sistema Siracusa salta in aria: Amara e Calafiore vengono arrestati per associazione per delinquere, corruzione giudiziaria e altri reati assortiti. Sono accusati di aver gestito per anni un sistema di corruzione di magistrati, in particolare giudici amministrativi del Consiglio di Stato, sia a Roma che in Sicilia. A luglio finisce in manette anche il pm Longo”.
Comunque, le indagini sulle toghe sporche si sono, intanto, allargate e intrecciate, disegnando un “sistema complesso di tangenti e favori”.
Ma non è ancora possibile stabilirne la consistenza e la rilevanza concrete. Certo è che l’inchiesta sulle toghe sporche ha seriamente, se non definitivamente, compromesso la credibilità della nostra giustizia, di ogni ordine e grado, già da tempo impantanata in acque limacciose e insalubri, priva oltretutto di un valido nocchiere capace di ricondurla, presto e bene, sulla “diritta via” ormai smarrita.
Un libro da leggere
È quello di T. Nichols, “La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia” (trad. it. di C. Veltri, Roma, 2019).
Come si legge nel risguardo di copertina, il grande sviluppo tecnologico della nostra era ci ha dato accesso a una quantità di informazioni senza precedenti. Il risultato, però, non è stato l’inizio di un nuovo illuminismo, ma il sorgere di un’età dell’incompetenza in cui una sorta di egualitarismo narcisistico e disinformato sembra avere la meglio sul tradizionale sapere consolidato.
Il capitolo iniziale è dedicato a “esperti e cittadini” e, più in particolare, alla categoria degli spiegatori. “Tutti noi li abbiamo incontrati. Sono nostri colleghi, nostri amici, membri della nostra famiglia. Sono giovani e vecchi, ricchi e poveri, alcuni con un’istruzione, altri armati solo di un computer portatile o della tessera di una biblioteca. Ma tutti hanno una cosa in comune: sono persone mediocri che credono di essere dei pozzi di scienza. Convinti di essere più informati degli esperti, di avere conoscenze più ampie dei professori e maggiore acume rispetto alle masse credulone, sono gli spiegatori, sempre felicissimi di illuminare noi e gli altri su qualsiasi argomento, dalla storia dell’imperialismo ai pericoli dei vaccini”.
Ma “la verità è che non possiamo funzionare se non ammettiamo i limiti del nostro sapere e non ci fidiamo delle competenze altrui”.
In definitiva, “nella vita intellettuale, che per la sua stessa essenza richiede e presuppone la qualità, si avverte il progressivo trionfo degli pseudo-intellettuali senza qualifica, inqualificabili o squalificati per la loro stessa struttura”.
Morte di Andrea Camilleri
Il 17 luglio è deceduto in Roma Andrea Camilleri, all’età di 93 anni, suscitando unanime rimpianto. Scrittore prolifico e di indubbio valore, autore di ben cento volumi.