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Replica dell’Ing. Domenico Giglio alla Prof.ssa Dora Liguori

Replica dell’Ing. Domenico Giglio alla Prof.ssa Dora Liguori

Sono troppo liberale per contestare le libertà fondamentali che risalgono al 26 agosto 1789 e quindi il diritto di riunirsi a convegno. Il mio breve articolo riguardava una località ritenuta inopportuna per il suo passato ad accogliere un convegno neo borbonico, con date ed anche alcuni nominativi tra i più significativi. Punto.

Leggo invece una requisitoria dove si spazia su altri argomenti a cominciare ad esempio dalla non concessa costituzione del Re Carlo Felice al Regno di Sardegna nel 1821. Negare una costituzione era nel diritto di un Sovrano ancora “assoluto”, ma è molto meglio che concederla e “giurarla” per poi cancellarla, se non tradirla come accadde per quella siciliana del 1812 e per le due duosiciliane del 1820 e 1848, da parte di Ferdinando I e II. Forse non ho “quella più ampia visione della storia”, ma che gli eventi del 1799 e poi quelli del 1820 e 1848 avessero scavato un solco incolmabile tra le classi intellettuali e la casa regnante partenopea è un fatto dato per scontato da tutti gli studiosi. Punto.

D’accordo che gli eventi del 1848 sconvolsero molti stati europei. In Francia portarono alla repubblica, a Milano furono le “cinque giornate”, a Vienna portarono alla eliminazione politica del Metternich, ma non degli Asburgo, che regnarono per altri settant’anni, ma nelle Due Sicilie assunsero un aspetto ancora diverso, specie in Sicilia, che tutta si rivoltò contro i Borboni, dichiarati “decaduti” ed in altre parti continentali, non furono i primi sommovimenti perché, come da me scritto, vi erano state rivolte nel 1828, nel 1837, nel 1844, nel 1847 ed infine il 1848 e di questi precedenti significativi, e della sanguinosa riconquista della Sicilia, da parte borbonica, ricordiamo particolarmente Messina, nella requisitoria non si parla. Punto.

Quanto al brigantaggio, lo stesso non nacque nel 1860, ma era endemico nel regno di Napoli, fin dalla prima epoca borbonica, era proseguito nel periodo napoleonico murattiano, continuato dopo il ritorno del Borboni nel 1815, tanto da richiedere l’intervento dell’esercito, e su questo realtà esistente si innestarono soldati sbandati del disciolto esercito borbonico e anche contadini. Parlare però di “guerra civile” è semplicemente assurdo dato il carattere di guerriglia per bande, senza una strategia unitaria. Ricordo pochi nomi di ufficiali o generali, perché quelli, specie stranieri, che avevano raggiunto queste bande, ne erano scappati via inorriditi, un nome per tutti, Borges. Non per sfoggio di erudizione vorrei ricordare che le vere guerre civili furono quelle combattute da eserciti regolari o quasi, con generali, ufficiali e stati maggiori, cominciando da Cesare contro Pompeo, Ottaviano contro Marcantonio, poi dopo secoli, scozzesi stuartiani contro gli inglesi, la rivolta dei coloni americani contro la madre patria inglese, da cui nacquero gli Stati Uniti, la Vandea conto la repubblica francese, poi, sempre nel Nordamerica, Sudisti contro Nordisti, in Russia “Rossi” contro “Bianchi” ed in Spagna franchisti contro la repubblica. Punto

Episodi come quelli dei giovani Garibaldi, sono marginali e contrastanti con l’atteggiamento del Padre, che fu spesso fortemente polemico verso i governi nazionali, ma mai dimenticò il suo motto “Italia e Vittorio Emanuele”. Altri tentativi contro il nuovo stato monarchico si devono a Mazzini, che non aveva accettato la soluzione unitaria sotto Casa Savoia, e quindi continuava a fomentare disordini, anche accordandosi con nemici dell’unità, come a Palermo. Un conto è ribellarsi o sollevarsi contro un governo “assolutista”, dispotico e poliziesco, non essendoci altri mezzi, un conto è sollevarsi contro un governo costituzionale dove esiste un Parlamento, in cui siedono rappresentanti di tutta l’Italia ed esponenti di varie tendenze politiche, che legifera legittimamente, e non incostituzionalmente come nel caso della legge, proposta ed approvata, di un deputato, guarda caso, abruzzese. Tornando all’atteggiamento mazziniano lo stesso è ben diverso da quello, ottantacinque anni dopo, del Re Umberto II, che partendo per l’esilio sciolse gli italiani dal giuramento al Re, ma non da quello alla Patria, così i monarchici, collaborarono, magari senza entusiasmo, con la repubblica, particolarmente per il modo come era nata, e furono determinanti nella rinascita dell’Italia e del “miracolo Italiano”. Punto

I Savoia : questa terminologia è comune a tanti avversari della Monarchia per cui vale la pena di rifletterci. Lasciamo la storia millenaria e andiamo direttamente a Carlo Alberto, primo sovrano dei Savoia Carignano. Carlo Alberto non aveva fratelli. Ebbe due figli, Vittorio Emanuele e Ferdinando, ed un cugino Eugenio. Scese in guerra nel 1848 al comando dell’esercito. Con lui i figli che si comportarono valorosamente. Sul campo di Novara pare cercasse addirittura la morte. Abdicò e morì, solo, ad Oporto pochi mesi dopo. Rimane Vittorio Emanuele, nuovo Re che mantiene tricolore e Statuto. Nel giro di pochi mesi, nel 1854 perde Madre, Moglie e Fratello, per cui rimane solo, essendo ancora troppo giovani i suoi figli e questa solitudine durerà tutta la vita. Nella guerra del 1859 il re fu con il suo esercito in prima linea, mentre, ripeto i figli, Umberto ed Amedeo, erano troppo giovani per potere partecipare anche loro, ma furono a fianco del padre nel 1866, comportandosi valorosamente. Allora chi sono questi Savoia? Un Re, che deve mettere d’accordo Garibaldi con Cavour e nessun altro al suo fianco. Questo plurale che scopo ha se non offensivo? La famiglia si rafforzerà numericamente con i rami Aosta e Genova solo in epoca successiva all’Unità, e quindi non influente nel periodo di cui parliamo. Punto

Quando sia nato il termine Risorgimento non interessa in questa sede, come lo è, ad esempio, quando sia nato il termine Rinascimento. Servono per individuare e circoscrivere un periodo storico, che ha portato a determinati risultati, per cui non vedo motivo polemico, se non nel preconcetto che ha la mia interlocutrice verso questo periodo, il più bello ed unico della storia degli italiani. Ho detto italiani perché l’Italia, come ben disse Giovanni Pascoli, il 9 aprile 1911, celebrando il cinquantenario del Regno, all’Accademia Navale di Livorno: ”comincia cinquant’anni or sono… è cominciata in quel giorno di marzo ed in quell’anno mille ottocento sessant’uno …. la storia dell’Italia vivente come Italia.” Punto

Fuori delle righe è parlare di storici “ingaggiati dai Savoia” (sempre loro), termine più che offensivo, direi diffamatorio, per la memoria di insigni studiosi, in maggioranza proprio meridionali, alcuni repubblicani come l’Omodeo, il Romeo ed il Galasso, che hanno approfondito la storia del faticoso raggiungimento dell’Unità Nazionale. Se questi sono stati al “tavolino”, i borbonici, sia quelli “ vetero”, come il De Sivo, sia i “neo”, dove scrivevano? Le bibliografie citate nei volumi di questi storici sono vastissime e nelle stesse ci sono documenti ed autori di entrambe le parti. Quanto allo storico citato ricordo averne letto dei libri, ma tutto il suo tono è “acido” e sui Savoia poco obiettivo, anche con qualche imprecisione. Il suo non è quindi il Vangelo! Punto.

Per la destinazione dei prigionieri meridionali si parla di isole in stati che in realtà non erano Stati, ma colonie di un paese europeo, per cui trattasi di ipotesi e proposte rimaste inattuate, mentre proprio i Borboni avevano studiato la possibilità di fondare una colonia per prigionieri politici sulle rive del Paranà ed in Uruguay, e le trattative erano andate così avanti che il 13 gennaio 1857 si era giunti ad un vero accordo, tra il Regno delle Due Sicilie e la Repubblica Argentina, per la concessione di un territorio da utilizzare a tale scopo, che non si concretizzò per il rifiuto dei possibili abitanti. Nel marzo 1859 altre decine di prigionieri politici dei Borboni, tra cui Poerio, Spaventa e Settembrini, erano stati imbarcati per raggiungere le Americhe, ma riuscirono a dirottare la nave a Queenstown, in Irlanda, e da lì in Inghilterra e infine per molti il rifugio fu, guarda caso, in Piemonte. Quanto alla citata Guiana francese la sua prigione era anche destinata a prigionieri politici come ad esempio il famoso capitano Dreyfuss, prima che Zola, con il “Io accuso” facesse riaprire il caso. Punto

L’indebitamento del Regno di Sardegna fu dovuto alle ingenti opere pubbliche realizzate nel decennio 1850 – 1860 perché non si raggiungono 823 chilometri di strade ferrate, non si costruiscono 414 chilometri di strade nazionali, per cui nel solo 1958 si impegnarono 5.305.000 lire dell’epoca, non si rafforza l’esercito in vista di una nuova guerra all’Austria, non si costruisce un canale di 82 chilometri, largo 40 metri, con una portata di 110 mc al secondo, senza spese, ma la sicurezza e la fiducia che ispirava questo piccolo Stato, il suo Governo diretto da uno statista come Cavour, l’unico fortunatamente salvato nella requisitoria, e, diciamolo pure, questo Re, consentì di trovare i necessari finanziamenti. Punto.

Veniamo ora ad un tema ricorrente delle strutture industriali demolite dopo l’Unità. La prima volta che sentii il nome di Mongiana presi un atlante geografico per individuarla e finalmente la trovai quasi al centro della Calabria, vicino la famosa Serra San Bruno, a 1000 metri di altitudine, distante decine di chilometri dal mare. Nel posto vi erano, senza dubbio, delle miniere di metalli ferrosi, boschi ricchi di legname per gli altiforni, che favorivano una attività siderurgica e tutte queste terre appartenevano alla famiglia principesca dei Filangieri, che ne avevano iniziato e condotto l’attività, la cui antieconomicità per distanze e stato delle strade da percorrersi con muli, era temperata dal protezionismo imperante nello stato borbonico, che consentiva prezzi fuori mercato, non più sostenibili nello stato unitario. Lo stesso destino ebbero le officine di Pietrarsa, sempre opera del Carlo Filangieri, che però, per diversi anni, dopo il 1860, fornirono apparati motori per le navi costruite nei Cantieri Navali di Castellammare di Stabia. Infatti questi cantieri, malgrado le contrarie dicerie degli attuali nostalgici, furono conservati e potenziati e da loro uscirono le più potenti corazzate della Regia Marina, ed altro naviglio minore per centinaia di unità. A questo punto mi si consenta un ricordo familiare. Tra le carte conservate in casa ho trovato il cartoncino con il quale il Comando in Capo del II° Dipartimento della Regia Marina, invitava per il 24 aprile 1913, mio nonno, Domenico, quale Colonnello comandante il 31°Reggimento di Fanteria, di stanza a Napoli, ad assistere appunto nei cantieri di Castellammare, al varo della R. Nave “Duilio”, una delle più belle corazzate della nostra flotta. Un “mostro” di 23.000 tonnellate, lungo 180 metri, armato con 13 cannoni da 305 mm,, che riprendeva il nome di un’altra supercorazzata, la più potente dell’epoca, il 1873, in cui fu impostata sempre negli stessi cantieri. Un’altra istituzione valida mantenuta dal nuovo Regno fu poi la Scuola Militare della Nunziatella, dove fu allievo anche il giovane Vittorio Emanuele poi Re d’Italia. Infatti era nato a Napoli, l’11 novembre 1869, giusto centocinquantanni or sono, perché a Napoli risiedevano il Principe Ereditario Umberto con Margherita. Il governo, d’accordo con il Re, aveva consigliato questa residenza per mantenere a Napoli, già capitale, una presenza di prestigio, ed anche in seguito abitarono a Napoli, nella Reggio di Capodimonte, i Duchi d’Aosta, Emanuele Filiberto ed Elena, poi ancora Vittorio Emanuele, Principe Ereditario, quando assunse il comando del Corpo d’Armata di Napoli, e successivamente il giovane Duca Aosta Amedeo, fino a giungere al Principe Umberto e Maria Josè. Punto.

Certamente l’unità nazionale raggiunta in un strettissimo margine di tempo, dall’aprile 1859 al marzo 1861, tanto che ad esempio Domenico Fisichella intitolò un suo libro “Il miracolo del Risorgimento” ebbe un prezzo elevato, anche territorialmente perché in nome del principio di nazionalità con il quale il Regno di Sardegna si era mosso nel 1848 dovette cedere la Savoia e Nizza francofone, e poste al di là di quelle alpi che sono il confine geografico dell’Italia, ed anche difficoltà iniziali dal punto di vista economico, sociale, amministrativo, ma certamente il brigantaggio, chi lo finanziò o stimolo, provocando reazioni, talvolta anche eccessive, ha una pesante responsabilità perché non rovesciò lo stato unitario, ma ne rese più difficile il cammino, proprio nel mezzogiorno, che stante le sue enormi condizioni di arretratezza, dall’analfabetismo alla mancanza di strade, ferrovie, presidi sanitari più di altri aveva bisogno di interventi in tutti questi campi. Consiglierei di leggere, se ancora esiste qualche copia nel mercato antiquario dei libri, “La vita militare” di Edmondo De Amicis, ed in questo volume il racconto “L’ Esercito Italiano durante il colera del 1867”, per vedere lo stato di abbrutimento delle plebi meridionali, la loro atavica sfiducia e diffidenza nei confronti dell’autorità costituita, dopo secoli di servaggio, per capire la difficoltà del nuovo stato di portare legge ed ordine. Punto.

Per dare ai calabresi quello che loro spetta, non c’è bisogno del cranio di un povero ladruncolo. Basterebbe riprendere a leggere nelle scuole ed a casa quel libro più che centenario, che ha accompagnato generazioni di scolari, il “Cuore” di De Amicis, dove il maestro presenta ai compagni un nuovo scolaro, arrivato dalla Calabria: “Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri…. vogliategli bene.. fategli vedere che.. si trova tra fratelli.. chi di voi offendesse questo compagno, perché non è nato nella nostra provincia (Torino), non si renderebbe degno di alzare gli occhi quando passa una bandiera tricolore”. Quanto al Lombroso non è quel mediconzolo che sembra nella requisitoria. Nacque a Verona nel 1835, studiò e si laureò nella prestigiosa Università di Pavia nel 1858 con una tesi “Ricerche sul cretinismo in Lombardia”(!), fu anche nel 1859 e poi nel 1866 ufficiale medico prima nell’esercito piemontese e poi in quello italiano (da come leggo, sembrerebbe, ma forse mi sbaglio, essere ufficiale medico un titolo di disonore), si interessò di pellagra ed altre malattie endemiche, insegnò all’Università, diresse cliniche ospedaliere ed ebbe molti altri incarichi, oltre a viaggiare per tutta l’Italia, Calabria compresa, ed i suoi studi dettero inizio all’antropologia criminale, riscuotendo interesse e consensi. Se poi successivamente le sue teorie non abbiano più trovato approvazione non è ne sarà l’unico caso del genere nel campo medico e scientifico, come accade ancora oggi con i “no vax” o i tumori curati con le pecore! Punto.

Infine la Vandea! Mai avessi fatto, non un confronto, ma della ironia, forse era meglio dire riferendoci ai borbonici a Cosenza “non parlate di corda in casa dell’impiccato”, ma sia chiaro che non esiste possibilità di confronto tra i vandeani, anche loro contadini, ma guidati da un La Rochejacquelain: “se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi”, un de Bonchamp, uno Charette, ed i Crocco. Ninco Nando e simili. Punto.

Miscellanea finale: riferirsi a stampa estera contraria all’Italia non è nuovo. Purtroppo in Europa l’unità d’Italia fu mal vista “per principio”, specie da stati ufficialmente cattolici, da altri per la “concorrenza” che poteva fare loro. Ricordo un violentissimo attacco del Thiers che poi fece massacrare migliaia di “comunardi” parigini, che avevano certo delle colpe, ma……. Solo in Inghilterra trovammo comprensione, come l’avevano trovata i nostri esuli da Foscolo allo stesso Mazzini e la prova fu nel riconoscimento del nuovo stato che fu immediata per gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra, seguiti dalla Francia e dopo ancora da Prussia e Russia, mentre Spagna e logicamente l’Austria vennero anni ed anni dopo, per cui anche la stampa si allineò in questa contrarietà e quindi è da considerarsi non obiettiva, ma chiaramente di parte. Quanto all’unità degli italiani, senza dubbio la raggiungemmo completamente con la guerra 1915-1918,ma che le guerre, può essere triste dirlo, abbiano contribuito all’unità delle nazioni, il nostro non è né il primo, né l’unico caso. Infine le rivisitazioni storiche possono completare e rivedere dei particolari, ma non il quadro generale, e nel caso dei neoborbonici questo non è avvenuto nelle aule universitarie, ma in giornali e libri dai titoli altisonanti per fare colpo sui lettori, ma così facendo hanno fatto opera di divisione, incitato anche all’odio nelle menti meno razionali, scavando dei fossati (lo vediamo nelle tifoserie calcistiche), che non sarà facile recuperare, perché, lo dico come ingegnere a costruire ci vuol molto più tempo che non a distruggere. E con ciò punto e “satis”.

P.S. La mia interlocutrice non deve diventare “pasionaria”. Lo è già. Almeno, “onoraria”.

19 ottobre 2019

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